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Crepet: “L’indifferenza è il filo rosso”

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AGI – “Orrore”, “indifferenza”, “noia”. Sono le tre parole che lo psichiatra Paolo Crepet usa per definire il delitto di Primavalle, nel quale un ragazzino ancora minorenne ha ucciso a coltellate la fidanzatina di 17 anni per poi abbandonarne il corpo dentro un carrello da supermercato. L’ennesimo femminicidio, ma in cui l’età di vittima e carnefice s’abbassa inesorabilmente.

Professore, cosa ci dice questo episodio? “Intanto sgombriamo il campo da un equivoco: il ragazzino è dello Sri Lanka, ma per favore evitiamo qualsiasi traduzione etnica. Che nessuno si azzardi. Questo è un delitto tra ragazzi, punto, senza altre spiegazioni o fantasie cavillose. E tutto questo rimanda alla enorme aggressività, che oggi tra e nei ragazzi è spaventosa”.

Non è il primo delitto tra giovani nelle ultime settimane e tempi. “Certo, e se noi colleghiamo tutti questi episodi di cronaca, che sono ovviamente tutti diversi tra loro, ma che hanno un punto in comune, che è la violenza, l’odio, l’indifferenza. Accade tra Casal Palocco e Primavalle, da Rovigo ad Abbiategrasso. Chi pero’ non s’accorge e non mette insieme queste cose, mette la testa sotto la sabbia e fa il furbo dicendo che sono cose diverse. Il che è vero, lo sono nel dettaglio, nella motivazione, nell’ambiente in cui sono maturate, ma pero’ non ci si può non accorgere come ci sia un filo rosso di totale indifferenza dell’altro, di totale incapacità di elaborare frustrazioni. Se non ci si accorge di tutto questo significa allora che siamo diventati solo dei ciechi“. 

Ma non c’è una perdita oltreché della morale anche del senso del limite? Del non andare oltre, del “questo non si fa” “è quel che una volta, quando eravamo giovani noi, si diceva la reificazione del corpo femminile, che diventa cosa, oggetto. Tutto questo permane, sicuramente c’è da  illo tempore, perché lo si diceva già nel corso dei processi per stupro in realtà”. È il vilipendio del corpo. “Esatto. Purtroppo siamo ancora li’, siamo di fatto dinanzi a uno stupro tremendo ché finisce con la morte. E uno stupro non nel senso sessuale, ma nel senso della profanazione del corpo. Questo non si fa, dice lei. Ma tutto quello di cui stiamo parlando è immerso in uno strumento che si chiama social media che fa da cassa di risonanza, prolifera il messaggio. Quindi, tutto quel che poteva accadere, venti, trenta, quarant’anni fa, è in parte avvenuto solo nelle grandi tragedie, si veda ad esempio il caso del ‘delitto del Circeo’, di cui si parlo’ per via della tv, delle prime pagine dei giornali e di alcune firme notissime dell’epoca, ma alla fine non si propagando’ dentro una generazione”.

E oggi invece si’? “È cosi’. Oggi c’è uno strumento specifico, il social media, che specificamente gira tra persone di quell’età, quindi in qualche modo il rischio di ripetere quel gesto, di emularlo, diventa altissimo. Ed è esattamente quello di cui ha parlato Durkheim 150 anni fa a proposito del suicidio del famoso “Giovane Werther”, che lui indico’ come possibile esempio di reiterazione di un atto come quello di togliersi la vita. Adesso, se uno pensa al giovane Werther di allora è un missile. è un cerino nei confronti di un missile”. Lei dice, orrore, indifferenza, noia. Tre parole forti, impressionanti nella loro crudezza. Che tipo di generazione ci troviamo davanti? “Parlare di generazione è un po’ generico, dovremmo stare attenti a configurare un caso o più come se si trattasse d’un tutto omogeno. Per fortuna non lo è ed è evidente che non lo sia, perché non è detto che tutti i diciassettenni siano armati di un coltello. Pero’ c’è una quota parte che s’è accumulata nel post-Covid di un’enorme rabbia. E allora quando la rabbia non contiene nessuno strumento di mediazione, che è quello che indicava lei – ‘questo non si fa’- quella rabbia ce l’avevamo anche noi ma possedevamo uno strumento di mediazione razionale, che ci frenava per tante ragioni. Avevamo un servofreno automatico che reagiva. Questa cosa oggi è del tutto saltata, anche per tutto quel che abbiamo detto finora”.

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