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Cultura

Nanni Moretti, uno “splendido 70enne”

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AGI – Nanni Moretti, splendido 70enne. Oggi l’attore e regista romano, nato per caso a Brunico il 19 agosto 1953, taglia oggi il traguardo dei 70 anni. Ed è inevitabile ricordare la sua battuta di ‘Caro diario’ quando urlava che lui era, nel 1993, “uno splendido quarantenne”.

Oggi festeggia 70 anni e lo fa dopo aver regalato al suo pubblico il suo film testamento (o, meglio dire, ‘summa morettina’), ‘Il sol dell’avvenirè dove parla molto di se stesso, fra autocitazioni, versioni aggiornate di celebri scene (vedi il monologo sulle scarpe di ‘Bianca’ diventato il monologo sulle ciabatte) e un po’ di nostalgia. Un regista che ha segnato un’epoca, che ha avuto il merito di avere una voce critica all’interno della sinistra di cui si è sentito rappresentante, al punto di aver inventato una sorta di movimento chiamato ‘i girotondi’ spazzato via dall’onda d’urto berlusconiana.

In quella sinistra che ha cercato di bacchettare e di spingere verso la sua naturale posizione (chi non ricorda il suo appello nel film ‘Aprilè del 1998 all’allora leader del Pd impegnato in un confronto tv con Berlusconi: “D’Alema, dì qualcosa di sinistra! Dì una cosa anche non di sinistra, di civiltà. D’Alema dì una cosa, dì qualcosa! Reagisci!”).

Un regista, Nanni Moretti, che ha dimostrato di essere un grande autore, un ottimo artista in grado di vincere la Palma d’Oro al Festival di Cannes con lo struggente ‘La stanza del figlio’. Come ha spiegato lo stesso Moretti qualche anno fa ospite alla Festa del cinema di Roma, la sua avventura nel mondo del cinema è iniziata da adolescente, anche se ha confessato di aver cominciato tardi ad essere uno “spettatore forte”, dopo i 15 anni, quando alla fine della scuola e degli allenamenti di pallanuoto si recava nei cinema a vedere i film degli anni ’60. Non solo quelli italiani, ha raccontato. Registi che “rifiutavano il cinema e la società avuti in eredità e cercavano di prefigurare un nuovo cinema. E una nuova società”. 

Nel 1972, dopo la maturità, Nanni Moretti ha fatto la sua scelta. “Il mio ex compagno Pietro Veronese, oggi giornalista – ha raccontato – mi chiese cosa volevo fare e io, vergognandomi, risposi che non avrei fatto l’università e che avrei fatto il cinema. Mi chiese se volevo fare l’attore o il regista – ha detto – e io gli ho risposto che volevo fare sia l’uno che l’altro”. E cosi’, ricorda Moretti, iniziai a propormi e frequentare i set dei Taviani, Peter Del Monte e Bellocchio come assistente volontario.

“La stessa confusione che avevo io – ha aggiunto – la portavo sui set: chiedevo ai registi di assisterli ma poi aggiungevo: ‘se c’è un ruolo da attore io sono pronto…'”. Nel 1974 il suo primo mediometraggio, ‘Come parli fratè, con Beniamino Placido (“A cui ho fatto togliere gli occhiali perché si vedesse la sua miopia”, ha spiegato), una rilettura alla Moretti de ‘I promessi sposi’ con lo stesso regista nei panni di un cupo don Rodrigo. Un primo tentativo di cinema che risentiva dell’influenza dei fratelli Taviani (“la telecamera fissa su di me”) e di Carmelo Bene (“La morte di fra Cristoforo” con acqua, sangue e un liquido nero che scorre sulla faccia). Dopo aver recitato nei suoi film e aver fatto un paio di ruoli minori in ‘Padre padrone’ dei Taviani e ‘Domani accadrà’ del suo ex assistente Daniele Luchetti, nel 1991 il primo ruolo da protagonista in ‘Il portaborse’ sempre di Luchetti. Un ruolo in cui tira fuori tutta la sua istintiva e naturale antipatia che dà un valore aggiunto a un personaggio spregevole e arrogante.

“È stato lo stesso Luchetti a volermi nel suo film – ha raccontato Moretti – per spiazzare il pubblico”. Un ruolo importante a cui ne faranno seguito altri, per altri registi, dove ha recitato sempre convinto che l’attore debba capire “cosa il regista vuole raccontare attraverso il personaggio”. “Non mi piacciono gli attori che si identificano in un personaggio al punto di scomparire”, ha detto. Per Moretti solo tre film come attore dopo quello di Luchetti – ‘La seconda volta’ di Mimmo Calopresti nel 1995, ‘Caos calmo’ di Antonello Grimaldi nel 2008 e ‘Il colibrì’ di Francesca Archibugi nel 2022 – oltre a un ‘gran rifiuto’: “Kieslovsky mi voleva come attore in ‘La doppia vita di Veronica’ e io accettai – ha raccontato – poi mi sono ammalato di tumore e non se n’è fatto piu’ niente”. Gia’, il tumore. Colpito da linfoma di Hodgkin, ha raccontato la sua malattia nell’ultimo grande film personale, ‘Caro diario’ del 1994. Col tumore Moretti ha dovuto poi tornare a combattere vent’anni dopo. Anche stavolta ha vinto lui.

E anche stavolta lo ha raccontato, ma lo ha fatto con un cortometraggio che ha presentato alla stampa nel 2017 alla Festa del cinema, un film di 8 minuti da titolo ‘Autobiografia dell’uomo mascherato’. Un video in cui gira per Roma (lungotevere, Auditorium parco della musica, Nuovo Sacher) indossando una rete che lo fascia fino a mezzo busto. Le immagini scorrono e Moretti commenta le varie scene. Nell’ultima si vede l’attore sdraiato a cui montano la struttura. La scena clou è quella successiva: sdraiato su un letto mobile, con la rete-maschera, viene introdotto sotto un macchinario di radioterapia. “Dopo vent’anni, in un’altra parte, è tornato il tumore – ha detto Moretti – e questa è una delle tante sedute di radioterapia a cui mi sono sottoposto”.

Moretti è regista, attore, sceneggiatore. Ma anche produttore. E, come sempre, anche in questa veste è appassionato e ‘rigido’. Un’avventura parallela a quella di regista e attore iniziata oltre trent’anni fa con Angelo Barbagallo. “Producemmo i nostri primi due film di due esordienti – ha raccontato – ‘Notte italiana’ di Carlo Mazzacurati, che avevo conosciuto giocando a calcetto, e ‘Domani accadrà’ di Daniele Luchetti, che era stato mio assistente”.

A differenza dell’immagine che dà di sé nei suoi film, Moretti produttore è un uomo tranquillo. Almeno a suo dire. “Non sono come quei registi che diventano produttori per ‘sadizzare’ i registi meno noti. Niente sadismo – ha aggiunto – né la volontà, come spesso accade, di produrre un sottoprodotto della mia filmografia o di realizzare un film per poter dire: ‘vedete, io ci ho provato purtroppo non c’è ricambio'”. Moretti invece ha spiegato di aver fatto questa scelta per “lavorare con persone con cui sto bene e per restituire un po’ della fortuna che ho avuto io”. Nessun intervento sul set, poi, ma certamente una richiesta di partecipare in fase di scrittura, di casting e di montaggio e di farlo, comunque, “sempre con spirito da spettatore e non da regista”. Moretti vive il cinema a 360 gradi. Da regista ad attore, da produttore a esercente (è proprietario del cinema Nuovo Sacher di Roma), da critico a giurato.

Proprio in quest’ultimo ruolo si è ‘esibito’ in una performance eccezionale. A raccontarla è stato lo stesso Moretti. “A Cannes, nel 1997, sono riuscito a convincere i miei colleghi a premiare Kiarostami: all’inizio eravamo 9 contro uno. Alla fine siamo stati 5 a 5 con un ex aequo (‘Il sapore della ciliegia’ di Kiarostami e ‘L’anguilla’ di Imamura, ndr). Li ho costretti a discutere per due ore e alla fine erano stressatissimi”, ha detto. Ed è assai credibile. Oggi, a 70 anni, per un attimo lascia il cinema per dedicarsi al teatro: curera’ la regia di due atti unici di Natalia Ginzburg, ‘Dialogo’ e ‘Fragola e panna’ con Valerio Binasco, Daria Deflorian, Alessia Giuliani, Arianna Pozzoli, Giorgia Senesi. Prima nazionale al Teatro Carignano di Torino il 9 ottobre. Un nuovo inizio per Moretti? 

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