di Raffaele Bonanni
ROMA (ITALPRESS) – E’ una buona notizia che il Governo voglia dare continuità alla riduzione fiscale. Dopo averle ridotte ai redditi fino a 50 mila Euro, con un guadagno per il lavoro dipendente di 150-200 euro, ora intende andare oltre. Meloni punta ad alleggerire i gravami fiscali anche ai redditi da 50 mila Euro in su: quelli del ceto medio. Un disegno arduo che dovrà vedersela con i guai della finanza pubblica. Il governo vuole recuperare qualche miliardo dal concordato preventivo con partite Iva e autonomi, ponendo un freno a elusioni ed evasioni fiscali. Tale obiettivo è condivisibile, ma serviranno molti più denari per sostenere un proposito così giusto e oneroso.
Per trovarli occorrerà perseguire rigorosamente un programma impegnativo per arginare le note falle che da tempo indeboliscono l’economia del Paese. Molti, io stesso tra questi, pensano che sono tre i guai pubblici da affrontare con spirito repubblicano per far crescere l’economia e fare riforme: la spesa improduttiva colpevole di favorire sprechi, clientele e pratiche economiche pubbliche nemiche del mercato con l’annichilimento degli investimenti privati, procurato dalla trascuratezza dei poteri pubblici sui fattori dello sviluppo.
Tasse alte provocate da un sistema fiscale rinunciatario sulla lotta all’evasione e all’elusione; la larga area della formale povertà, opaca a ragione di tanti falsi poveri. Cioè evasori che si introducono nelle larghe maglie nel sistema previsto al sostegno dei veri poveri. Costoro rubano allo Stato ai contribuenti fedeli, ai poveri. E’ chiaro che in assenza di azioni decise su questi aspetti, naufragherà l’indispensabile nuovo patto tra cittadino e Stato. Eliminando i mali su descritti, potranno riassorbirsi le insoddisfazioni tanto diffuse nel ceto medio, che sinora hanno nutrito populisti e demagoghi. Un segnale forte e a lungo atteso da questa componente importante della società. Il ceto medio italiano negli ultimi decenni è stato relegato a cenerentola con politiche che hanno danneggiato la sua vocazione a risparmiare, investire, la voglia innata a progredire, a premiare chi si impegna e chi vale. Infatti i risparmi sono stati colpiti da tassi d’interesse non sufficientemente ripagati, mentre l’inflazione ha sottratto potere di acquisto. Il mattone e ogni altro bene rifugio tartassato, stato sociale in progressiva riduzione per premiare i falsi poveri, il fisco in costante rialzo in gran parte caricato su di loro.
Il mantra molto diffuso dai media e dai populisti teso ad affermare che chi percepisce 50 mila euro è benestante se non addirittura ricco, ben descrive la distorsione della realtà presente nell’opinione pubblica su cui hanno poggiato molte politiche pubbliche autolesioniste. Infatti gravami oltre il 40% dell’Irpef, quelli sui patrimoni (comunque piccoli risparmi), e quelli delle tasse indirette su tutti i consumi oltre il 20%, non lasciano scampo per investimenti familiari. Insomma un inferno per le formiche, un bengodi dei evasori ed elusori. Questa dinamica politico sociale ha annichilito il ceto medio, quale indispensabile energia di una comunità che spinge al progresso, a fare di più, a promuoversi. Dunque la volontà di rimediare le ingiustizie, ci offre la possibilità di ridare slancio a una forza costruttrice, allo sviluppo, alla civiltà. Un’operazione che richiede larga collaborazione politica pur nella necessaria e produttiva dialettica. Da tale consapevolezza si potranno rimodulare le risorse dei contribuenti, ridare slancio all’economia, alimentare finalmente trasparenza e giustizia, quali requisiti di coesione sociale e sviluppo.
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