Il Forum della Pubblica Amministrazione al Palazzo dei Congressi di Roma, è stato un produttivo confronto di opinioni sulla situazione non certo semplice della Pa italiana. In tale contesto, la discussione non poteva che giungere alle considerazioni che ormai fanno parte della preoccupazione d’obbligo in ogni ambiente culturale, socio-politico ed economico. Il cruccio principale su questi ambiti riguarderebbe almeno due aspetti: se sarà l’uomo in grado di dominare ancora la macchina, oppure se la macchina sarà tanto evoluta da dominare essa stessa l’uomo. L’altro dilemma, assai in voga, sarebbe quello della sicura disgrazia in cui incapperebbero i lavoratori perdendo il “posto” a causa dell’incontenibile pervasività dell’intelligenza artificiale. Ma si potrebbe affermare che sotto il sole non c’è nulla di nuovo. Ogni qual volta una grande invenzione si affaccia al balcone della nostra vita, subito c’è chi va a guardare solo il possibile risvolto negativo. Quando siamo al cospetto di ciò che non conosciamo, si fanno avanti grandi dubbi, subito amplificati da chi cerca consenso a buon mercato. Penso alla nota rivolta degli operai inglesi di fine ‘700. Essi distrussero i primi telai meccanici nelle fabbriche per evitare che si sostituissero a loro. Furono istigati da Ned Ludd, da cui derivò l’appellativo di movimento luddista. Dopo due secoli e più, il loro mantra risuona ancora, rinnovando l’ostilità verso lo sviluppo tecnologico nel lavoro. Ma al contrario di quell’epoca, l’avversione antimoderna non si esprime con propositi di distruzione delle macchine, ma con richieste di risarcimento dello Stato per chi correrebbe il rischio di perdere il lavoro. Infatti, il guru dell’IA Geoffrey Hinton, nella conferenza di Roma, ha proposto un reddito universale garantito per proteggere i lavoratori dall’impatto sull’organizzazione del lavoro dell’intelligenza artificiale, che sottrarrebbe al lavoro umano molto spazio per la produttività, che aumenterebbe fino a cinque volte in più. Insomma, di fronte al calcolo fatto in conferenza del surplus, nella sola pubblica amministrazione sarebbe di oltre 200 mila impiegati su circa 3 milioni di addetti. Stante a queste ipotesi, a detta di Hinton, lo Stato dovrebbe comunque garantire uno stipendio ai suoi dipendenti per supplire ad evenienze quali quelle succitate. Anch’io penso che in questi frangenti il potere pubblico debba in qualche modo intervenire, ma il sostegno da offrire ai lavoratori con i soldi dei contribuenti dovrebbe riguardare il loro aggiornamento professionale per cambiare la loro predisposizione alla rivoluzione in corso. Anzi, occorreva intervenire molto prima in tale modo. Diversamente, come già accaduto con il reddito di cittadinanza, l’aiuto con un mero salario di sopravvivenza deresponsabilizzerebbe i fruitori di assistenza, privandoli di una vita libera e dignitosa; ne soffrirebbero il mercato del lavoro, le aziende e i contribuenti. L’umanità, nella sua storia, ha affrontato mille volte i cambiamenti e ha compreso che per evitare il costo dell’inadeguatezza a gestire lavori nuovi con le vecchie modalità, è necessario prepararsi, studiare, applicarsi fino a giungere al dominio delle nuove tecnologie. Più è veloce l’acquisizione di nuove abilità professionali, più agevole è il passaggio dal vecchio lavoro al nuovo. Il mondo che abitiamo ha potuto progredire sempre in tale modo, nonostante i dubbi e i freni degli onnipresenti antimoderni sempre in agguato.
(ITALPRESS).
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