CANNES (FRANCIA) (ITALPRESS) – Napoli come un sogno che attraversa il tempo: Paolo Sorrentino ha portato in Concorso a Cannes 77 il suo viaggio spirituale nella grande bellezza di “Parthenope”, progetto tanto ambizioso quanto semplice per un autore che alla sua città ha già dedicato il suo precedente film, “E’ stata la mano di Dio”. Da quel canto autobiografico che ripercorreva l’idea di una Napoli intrisa di ricordi e di pulsioni personali, al progetto di “Parthenope” il passo è breve: si tratta di reinventare il mito interiore di una città antica e decadente, vivendola attraverso le illusioni della giovinezza e le disillusioni dell’età adulta. Come sempre Sorrentino costruisce un impianto narrativo trasversale, guardando in trasparenza luoghi, personaggi ed eventi e reinventandoli nell’arco di un immaginario che distilla la grandiosità della visione nella percezione soggettiva minimale, fatta di dettagli, di luci, di sussurri e di un lirismo respirato a pieni polmoni. La protagonista è la “Parthenope” del titolo, ragazza scaturita dal ventre di Napoli e incarnazione ideale di tutte le sue virtù inespresse: a interpretarla è una esordiente destinata a restare nel cinema italiano, Celeste Dalla Porta, milanese in realtà, con studi al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, in curriculum solo una piccola parte nel film precedente di Sorrentino, che poi l’ha lanciata sul set di questo suo nuovo lavoro, mettendo sulle spalle della sua luminosa, immediata ma anche interlocutoria bellezza l’intero vissuto di “Parthenope”. Figlia dell’alta borghesia napoletana cresciuta al servizio di un armatore che ovviamente non si fatica a riconoscere come Achille Lauro, la protagonmista cresce attraversando con la sua intelligenza la realtà decadente della sua città. Legata a doppio filo ad Armando, il fratello maggiore, più sognatore e fragile, Parthenope è nel cuore di tutti: corteggiata da un magnate in elicottero, studia antropologia e vince la diffidente ritrosia del burbero professor Marotta interpretato da Silvio Orlando. L’amore però non lo trova, nemmeno nel devotissimo Sandrino che la segue ovunque con dedizione e passione inespressa…
Tutto finisce con la scomparsa di Armando, che segna la fine di una giovinezza in cui si è belli e felici e l’inizio di un’età adulta segnata dalla lenta, progressiva, inesorabile decadenza, alla quale nemmeno la luminosità di Parthenope potrà resistere. Sorrentino costruisce una narrazione fluida e sontuosa, che riproduce l’approccio intimista e affabulatorio a una realtà che si offre come scenario esistenziale. La rappresentazione di Napoli diventa lo specchio in cui il regista riflette la sua visione della vita, incarnandola nella miriade di personaggi che intrecciano in chiave grottesca la purezza della protagonista: la diva invecchiata interpretata da Luisa Ranieri che trasfigura Sophia Loren gettando veleno sulla sua Napoli, il Cardinale Tesorone di Beppe Lanzetta, l’insegnante di recitazione che dietro la velina nasconde il volto di Isabella Ferrari, lo scrittore decadente e ubriaco che parcheggia la sua tristezza a Capri interpretato da Gary Oldman.
Parthenope ama tutti con dedizione pari solo alla sua sostanziale indifferenza, metafora di una Napoli che non si dà mai davvero. Il film ha tutta la grandezza e tutta la prevedibilità che ha ormai assunto il cinema di Paolo Sorrentino: intarsiato di momenti memorabili, ma anche segnato da cadute di stile dovute all’eccesso visionario cui spesso l’autore si affida, “Parthenope” è un viaggio profondo, sontuoso, lento e estenuante nella grande bellezza e nella persistente decadenza napoletana . C’è cuore e sentimento, ma alla fine si resta un pò tutti schiacciati dal quieto senso di trapasso che Sorrentino disegna sul volto di Stefania Sandrelli, alla quale affida la bellezza ormai trascorsa della “Parthenope” ormai anziana.
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