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Cultura

“Beato lui”, il Cavaliere e il suo “panegirico”

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AGI –  “Ei fu” (egli è) come il duca Valentino, come Cagliostro o Garibaldi: “Tutti uomini totali e arcitaliani, sepolti tutti sotto montagne di bibliografie e leggende”, “persona che diventa personaggio”. Ma solo lui rispetto a loro “s’impone ai posteri con un sovrappiù di fantasia”. “Beato lui” che resta nella storia quando i comprimari delle sue quattro stagioni, e le comparse che vi si succedettero brillando di gloria fatuissima, sono già macinati nell’oblio di questa “pur periferica e infinitamente piccola Italia”.

Beato lui“: s’intitola così il “panegirico dell’arcitaliano Silvio Berlusconi”, che Pietrangelo Buttafuoco ha pubblicato per Longanesi (pagine 144, 17 euro) e approda in libreria quasi come addendum o alternativa letteraria all’omelia che l’arcivescovo di Milano pronunciò in Duomo il 14 giugno scorso, salutando il Cavaliere nei funerali di Stato. Panegirico in forma di rapsodia di una parabola umana, imprenditoriale, politica amatissima e odiatissima, il libro di Buttafuoco è la prima testimonianza che con la morte questa parabola non si concluderà. Come non si è conclusa per il Valentino, Cagliostro e Garibaldi. Perchè Berlusconi, amato o odiato ma difficilmente suscitatore di indifferenza, è come lo Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie, paragone che ricorre tra le pagine di questo “Beato lui”: ne resta l’ammaliante o irritante sorriso anche dopo che se ne è partito – e stavolta più sul serio delle altre. Come nella sala piena di specchi, che Orson Welles organizzò sul finale della “Signora di Shanghai” (e Bruce Lee riprese ne “I tre dell’operazione Drago”), il volto di Silvio si moltiplicava per mille mentre quello degli altri politici rimaneva sempre uno solo.

Si moltiplicava per mille e in mille giurarono, a seconda di chi fossero loro più che lui, su quale fosse davvero l’immagine del Cavaliere puntando per infrangerla la propria personale scommessa: nemici, finti amici, convertiti sulla via di Damasco talora con ticket d’andata e ritorno (vedi il poetico Bondi). E chissà alla fine di questa rapsodia quante cose il lettore ripescherà dalla propria memoria, che alcune aveva serbate e altre – lunga è stata la parabola di Silvio – dismesse nei cantucci meno bazzicati della soffitta.

 Quale specchio fu o sarà quello giusto per collocare il “Beato lui” ieri, oggi e domani? Molte possibili risposte ma una cosa, dice Buttafuoco, sappiamo già: “Chiunque alzandosi al mattino, guardandosi allo specchio, vede uno stronzo. Berlusconi invece vede Berlusconi e fa vedere a tutti noi – a noi che siamo tutti stronzi – Berlusconi”. “Beato lui” era l’uomo che non ebbe con sè un popolo, ma un pubblico. Che fu (e per alcuni resta) uno dei rari “Nemici assoluti”. Uno straricco atipico perché non mai tirchio. Un seduttore ispirato più al paradigma di “Amici miei” che al cliché del playboy alla Gigi Rizzi, oscillando tra il conte Mascetti di quando aveva ancora i miliardi e il professor Sassaroli quando venne spedito a espiare la pena tra i vecchietti nella casa di cura.

“Il più mozartiano degli uomini politici”, scrive Buttafuoco; il “mito forgiato dalla realtà, superiore a qualunque fantasia, sgargiante e vincente nella solennità delle istituzioni, il Silvio che aprirebbe le porte del Paradiso pure a Lucifero se solo mandasse un’educata letterina di saluti al padrone di Casa”; il personaggio quasi sdoganato dagli avversari quando sembrò farsi da parte e raccomandava “vaccinatevi” infuriando il Covid, ma che ridiventò il cattivissimo allorché manifestò velleità quirinalizie e nuovamente si sfilò dallo scaffale, quello a portata di mano, “il catalogo delle contumelie”: la trattativa Stato-Mafia, il conflitto d’interessi, il Bunga-Bunga, la nipote di Mubarak. Fino alla fine e fin dopo la fine.

“L’arcitaliano” è morto ma non è completamente vero e se ne rende conto chi ne seguì la vicenda non da sodale né da avversario, quanto da testimone che ne scrive adesso volgendo le ultime battute della partitura – ché questo panegirico è rapsodia – nel modo minore, quello delle malinconie. Conclude Buttafuoco: “A ciascuno il suo Silvio e ognuno, con lui, per lui, da lui – beato lui – porta un pezzetto di sé”. L’autore scrive e ne chiede conferma telefonando a chi durante tanto tempo c’era stato e non c’è più (ma anche questa, come tutte le morti, non può essere completamente vera). Per sapere a chi telefona Buttafuoco uscendo da Palazzo Grazioli bisogna leggerlo fino alla fine. Spoiler non se ne fanno. (Certo, quanto è passato tra la famosa “discesa in campo” e il rito al Duomo di Milano sono gli specchi, sempre loro, a notificarlo. Ma a chi sa raccontare non mettono paura). 

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