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Cultura

Bruno Todaro, il ‘cavaliere del mare’ nella seconda guerra mondiale

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AGI – Combatteva sopra e sotto l’acqua con lo stesso spirito dei “cavalieri del cielo” della prima guerra mondiale. Per lui il bersaglio da colpire non era l’uomo, ma la nave: immediatamente dopo l’assalto scattava infatti la legge del mare, quella della solidarietà, indipendente dalle bandiere, dagli schieramenti, dalle esigenze militari e dalle convenienze personali.

Il capitano di corvetta Salvatore Bruno Tòdaro è stato un “cavaliere del mare” nel senso più nobile del termine, perché nel pieno della seconda guerra mondiale non abdicò mai ai valori dell’umanità.

Bruno Todaro “cavaliere del mare” 

Glielo riconobbero amici e nemici. Soprattutto i nemici, quelli che furono da lui affondati con i siluri e le cannonate del sommergibile atlantico della Regia Marina “Comandante Cappellini” posto ai suoi ordini dal 26 settembre 1940.

Todaro aveva appena compiuto 32 anni. Nato a Messina nel 1908, appassionato del mare, una volta dall’Accademia navale di Livorno aveva avuto esperienze anche in cielo come osservatore distaccato nel 1933 presso la Regia Aeronautica, riportando un grave infortunio che lo avrebbe segnato nel fisico.

L’anno successivo era stato imbarcato come comandante in seconda sul sommergibileMarcantonio Colonna”, quindi sul “Des Geneys”, per poi, nel 1937, essere promosso comandante. I gradi da capitano di corvetta arrivano venti giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il I luglio 1940.

Dal comando del “Luciano Manara” passa a quello del Cappellini”, inviato a Bordeaux nella base oceanica Betasom, da dove si conduce la guerra sottomarina sulla rotta atlantica per spezzare le linee di rifornimento che da gli Stati Uniti aiutano lo sforzo bellico della Gran Bretagna.

L’Italia possiede nominalmente la più grande flotta sottomarina tra i Paesi in guerra, ma è risaputo che quella tedesca è qualitativamente di molto superiore, e del tutto più evolute sono le strategie dei “branchi di lupi” dell’ammiraglio Karl Dönitz. Tutti i sommergibilisti sono comunque altamente considerati per il loro valore, élite tra tutte le truppe combattenti. Le loro imprese hanno infatti una vasta eco sui mezzi di informazione e sui bollettini militari

L’affondamento del piroscafo “Kabalo” e il salvataggio dei naufraghi 

Gli italiani hanno forse qualcosa in più, come testimonia l’episodio del piroscafo armato “Kabalo”, battente bandiera belga ma aggregato al convoglio britannico OB 223 che ha smarrito nei pressi delle Canarie e con carico bellico a bordo, affondato dal “Cappellini” di Todaro a colpi di cannone.

Fin qui sarebbe una normale operazione, vittoriosa, se non fosse che il comandante, una volta mandata a picco la nave, accosta e raccoglie i 26 naufraghi su una zattera rimorchiata dal suo scafo. Poi, per le condizioni del mare, li fa salire a bordo e li fa sbarcare in salvo alle Azzorre, nel neutrale Portogallo.

Quel gesto prima stupisce i belgi, poi li commuove. Non si commuove Dönitz, per il quale sono prioritarie le esigenze belliche, e si sa che i tedeschi rimproverano costantemente gli italiani per il loro sentimentalismo. Lo faranno anche perché nella Francia occupata, e poi in Jugoslavia e in Grecia a seguito dell’aggressione dell’Asse, i militari italiani si rifiutano di consegnare gli ebrei ai tedeschi.

L’eredità di 2000 anni di storia 

È diventata leggenda la risposta di Todaro alle osservazioni del potente ammiraglio, quando si dirà orgoglioso dei duemila anni di civiltà che sono la sua eredità di italiano. Civiltà contro barbarie, legge del mare contro le leggi di guerra.

E infatti si comporterà allo stesso modo a dicembre con i naufraghi del piroscafo armato “Shakespeare”, anch’esso affondato a cannonate, che porterà in salvo a Capo Verde. L’abilità nel combattimento non solo con i siluri ma pure con l’artiglieria, gli varrà un commento tra l’ammirato e lo sprezzante di Dönitz, secondo il quale avrebbero potuto affidargli il comando di una cannoniera.

Dopo aver colato a picco l’”Emmaus” in un violento combattimento, riuscirà a sfuggire alla caccia britannica, a sbarcare i feriti in un porto spagnolo, a effettuare le riparazioni e a riguadagnare la base di Bordeaux.

Medaglia d’argento al valor militare 

Sul suo petto viene appuntata la prima medaglia d’argento al valor militare, che si aggiunge alle due di bronzo di cui è già insignito e che sarà seguita da un’altra d’argento per le imprese nell’Atlantico e un’altra ancora per l’impresa di Sebastopoli, nel giugno del 1942, sul Mar Nero.

È già transitato, su richiesta, nella Xª Flottiglia Mas, e opera come comandante sui mezzi d’assalto col grado di capitano di corvetta. Il 13 dicembre 1942 il motopeschereccio armato “Cefalo”, che lui comanda, di rientro da una missione notturna al largo della Tunisia  è intercettato e mitragliato da un caccia Spitfire. Una scheggia raggiunge Todaro alla tempia, uccidendolo sul colpo.

Gli viene assegnata la medaglia d’oro al valor militare alla memoria, e nella motivazione è riportato che «dimostrava al nemico come sanno combattere e i vincere i marinai d’Italia». Non c’è scritto che i marinai d’Italia, sanno anche insegnare come si vive.

Il nome di Salvatore Bruno Todaro, capitano coraggioso, è stato perpetuato dalla Marina Militare prima con una corvetta antisommergibile in servizio dal 1966 al 1994, e dal 2007 con un sommergibile.

 

 

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