AGI – Un albero di Natale orizzontale nella città del Bosco verticale: sta registrando un grande afflusso di milanesi e turisti l’installazione nei giardini della Fondazione Rovati, in Corso Venezia a Milano.
L’Albero Orizzontale è una creazione del 68enne artista napoletano Giancarlo Neri fatta di oltre 500 palline bianche che la sera si illuminano di luci colorate. L’albero è stato ‘acceso’ il 6 dicembre e resterà esposto fino al 14 gennaio.
“Poche cose sono pericolose per un artista come il cimentarsi con la decorazione natalizia, direi quasi nessuna”, ha osservato Neri, “se la fai ‘strana’ ti distruggono perché hai voluto essere originale a tutti i costi; se rimani nella tradizione ti distruggono dicendo ‘…e ci voleva un artista per fare questa cosa cosi’ banale?’ Non se ne esce, è una sconfitta annunciata. Questa volta, però, la scusa ce l’ho: nella città del Bosco Verticale faccio un Albero Orizzontale. Non ho saputo resistere, peggio per me”.
AGI – Asini con gli occhi bendati, legati, e costretti a girare per ore seguendo solchi tracciati sul pavimento. Schiavi rinchiusi in un ambiente angusto senza affaccio esterno, con piccole finestre con grate di ferro per far passare un po’ di luce. Una condizione da prigionieri, per uomini e animali, costretti a macinare il grano necessario ogni giorno per produrre il pane.
Un panificio quasi prigione emerge a Pompei nella Regio IX, insula 10, dove sono in corso scavi nell’ambito di un più ampio progetto di messa in sicurezza e manutenzione dei fronti che perimetrano l’area ancora non indagata della città antica più nota al mondo.
Le indagini degli archeologi hanno restituito una casa in corso di ristrutturazione, divisa come è frequente nel mondo romano in un settore residenziale, decorato con raffinati affreschi di IV stile, e locali commerciali, in questo caso destinati alla panificazione.
In uno degli ambienti del panificio, erano già emerse nei mesi scorsi tre vittime, a conferma che nonostante la ristrutturazione in corso, la dimora era abitata. L’ennesima testimonianza del lavoro massacrante a cui erano sottoposti uomini, donne e animali negli antichi mulini-panifici, raccontato anche da una fonte d’eccezione, lo scrittore Apuleio, vissuto nel II secolo d.C., che nelle Metamorfosi IX 11-13, racconta come Lucio, protagonista di una delle sue storie, venga trasformato in asino e venduto a un mugnaio.
Le nuove scoperte rendono possibile descrivere meglio anche il funzionamento dell’impianto produttivo in disuso al momento dell’eruzione del 79 dopo Cristo. Il settore produttivo messo in luce è privo di porte e comunicazioni con l’esterno, l’unica uscita dà sull’atrio, e nemmeno la stalla possiede un accesso stradale come frequente in altri casi. “Si tratta, in altre parole, di uno spazio in cui dobbiamo immaginare la presenza di persone di status servile di cui il proprietario sentiva il bisogno di limitare la libertà di movimento – fa notare il direttore del Parco Archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel, in un articolo scientifico a più mani pubblicato sull’E-Journal degli scavi di Pompei.
“È il lato più sconvolgente della schiavitù antica, quello privo di rapporti di fiducia e promesse di manomissione, dove ci si riduceva alla bruta violenza, impressione che è pienamente confermata dalla chiusura delle poche finestre con grate di ferro”, aggiunge. La zona delle macine, nella parte meridionale dell’ambiente centrale, è adiacente alla stalla, caratterizzata dalla presenza di una lunga mangiatoia.
Attorno alle macine si individua una serie di incavi semicircolari nelle lastre di basalto vulcanico. Data la forte resistenza del materiale, è verosimile che quelle che a prima vista potrebbero sembrare delle impronte siano in realtà intagli realizzati appositamente per evitare che gli animali da tiro scivolassero sulla pavimentazione e contemporaneamente tracciare un percorso, formando in tal modo la curva canalis descritta da Apuleio.
“Le fonti iconografiche e letterarie, in particolare i rilievi della tomba di Eurysaces a Roma, suggeriscono che di norma una macina fosse movimentata da una coppia composta da un asino e uno schiavo. Quest’ultimo, oltre a spingere la mola, aveva il compito di incitare l’animale e monitorare il processo di macinatura, aggiungere del grano e prelevare la farina”, spiega il direttore del Parco.
L’usura dei vari intagli può dipendere dagli infinti giri, sempre uguali, svolti secondo lo schema predisposto nella pavimentazione. L’ambiente riaffiorato, con la sua testimonianza di dura vita quotidiana, integra il quadro raccontato nella mostra “L’altra Pompei: vite comuni all’ombra del Vesuvio”, che inaugurerà il 15 dicembre alla Palestra grande degli scavi dedicata a quella miriade di individui spesso dimenticati dalle cronache storiche, come appunto gli schiavi, che costituivano la maggioranza della popolazione e il cui lavoro contribuiva in maniera importante all’economia, ma anche alla cultura e al tessuto sociale della civiltà romana.
AGI – “Investigare 5.0”, volume curato dal prefetto Vittorio Rizzi e dalla professoressa Anna Maria Giannini, è stato presentato a Bruxelles presso l’Istituto italiano di cultura dell’ambasciata italiana.
Il manuale vuole essere una sorta di giving back degli investigatori alle accademie e alle scienze criminologiche, con la restituzione del sapere scientifico arricchito dall’esperienza sul campo. Come un prisma di vetro che scompone un raggio di luce bianca in mille colori, così Investigare 5.0 affronta la complessità del mondo delle indagini offrendo le diverse prospettive che, oggi, sono richieste per garantire la sicurezza dei cittadini: alla preparazione professionale e all’intuito dell’investigatore si affianca il lavoro del biologo, del chimico, del fisico, dell’ingegnere, dello statistico, dello psicologo, del sociologo, dell’esperto in comunicazione.
Una pluralità di saperi e di esperienze collegati da due temi di fondo, solo apparentemente lontani: l’innovazione tecnologica e una diversa sensibilità culturale in tema di promozione e tutela dei diritti umani. L’innovazione tecnologica, negli anni che stiamo vivendo, a cavallo di due millenni, ha determinato un’accelerazione unica nella storia dell’umanità.
La rivoluzione digitale offre opportunità straordinarie tanto alle indagini che alle minacce criminali, che richiedono studio e un’attenzione costante per intercettare i nuovi pericoli e predisporre per tempo le contromisure. L’altro filo rosso che ispira questo manuale è l’attenzione alla vittima, una sensibilità contemporanea – oggi codificata anche nell’ordinamento giuridico – che ha introdotto nella criminologia una nuova prospettiva vittimologica. Quella che il codice di procedura penale definisce come la persona offesa dal reato non rappresenta più solo il titolare di un’istanza risarcitoria, ma diventa il protagonista della complessa macchina della sicurezza, che deve essere adeguata ad accogliere i bisogni di chi soffre per essere stato vittima di un crimine ed è titolare di un’istanza di giustizia. Tecnologia e vittimologia diventano così due facce della stessa medaglia, in cui la scienza è il fulcro di una nuova conoscenza che deve partire e tornare all’uomo, per regalare alla società livelli sempre più alti di civiltà e umanità.
L’ambasciatrice Federica Favi ha sottolineato il valore assunto dall’Italia nella cooperazione internazionale e l’importanza del modello italiano nelle strategie di prevenzione e contrasto al crimine organizzato. L’onorevole Sabina Pignedoli ha messo in evidenza quanto sia funzionale alle investigazioni, soprattutto in tema di crimine organizzato, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’analisi dei dati.
Il dottor Alfredo Nuzzi di Europol ha posto in luce l’esperienza positiva del modello investigativo italiano sia nelle capacità di prevenzione che in quelle operative in ambito multilaterale, con le esperienze maturate nei pool antimafia ed antiterrorismo.
Il prefetto Rizzi, vicecapo della Polizia, ha rimarcato la necessità di promuovere la cultura del contrasto alle mafie e, nel rispondere alle domande della giornalista Lucrezio in materia di violenza di genere, ha posto l’accento sulla necessità di lavorare culturalmente sul rapporto asimmetrico tra uomo e donna. L’intervista ha toccato diversi temi, quali la criminalità economica finanziaria. Rizzi ha spiegato che in un mondo globale e globalizzato la sfida al riciclaggio è altamente complessa, poiché dall’economia reale si è passati all’economia finanziaria ed oggi si è alla cosiddetta technofin con monete virtuali negoziate su piattaforme: nel centenario di Interpol, l’Italia ha promosso la risoluzione, adottata quasi all’unanimità, per l’istituzione di un nuovo alert, specificatamente la ‘Silver Noticè, sulla scia del principio ‘follow the money’ di Giovanni Falcone.
AGI – Drammatico e romantico, una storia di potere e di amore, senza lieto fine. E’ il Don Carlo di Giuseppe Verdi, firmato da Lluís Pasqual, diretto dal maestro Riccardo Chailly, l’opera più complessa e tormentata del compositore, che stasera ha segnato l’avvio della stagione del Teatro alla Scala di Milano, salutata dal pubblico con 13 di applausi.
Soprattutto per le due cantanti: Anna Netrebko, nel ruolo di Elisabetta di Valois, ed Elina Garanča, in quello della Principessa d’Eboli, che per il sovrintendente Dominique Meyer sono “la leonessa e la tigre”. Hanno brillato. Mentre qualche perplessità c’è stata sulla regia e, a sentire dal brusio, anche per la direzione di Chailly.
Da dire che l’opera è stata accompagnata da un velo di polemica ‘politica’: quella per i posti nel palco Reale. Ieri il sindaco aveva espresso la volontà di ‘scendere’ in platea per sedersi accanto alla senatrice a vita Liliana Segre. Cosa mai successa in passato. Una impasse superata con l’invito “da parte di Sala e di La Russa” a Segre a occupare un posto nel palco delle autorità.
E così è stato. “Non ho mai mosso un sopracciglio di polemica in questa vicenda – ha spiegato La Russa – perché capivo che era un problema logistico e non politico”.
Dunque, alla fine, a rendere omaggio agli artisti nel palco Centrale c’era la senatrice seduta tra il sindaco e il presidente del Senato Ignazio La Russa. Dietro di loro, il vicepremier Matteo Salvini, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, i ministri Sangiuliano e Casellati. In teatro si è sentita la mancanza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, qui sempre molto amato.
Anche Segre ha ammesso di sentirne la mancanza spiegando di considerarlo “come un fratello”. Stavolta gli applausi – sempre tributati al Capo dello Stato – sono stati per lei, salutata dal pubblico in piedi. Dopo l’Inno di Mameli la polemica però ha fatto nuovamente capolino in sala.
Una voce si è levata forte dal loggione, “Viva l’Italia anti fascista” e “no al fascismo”. Un episodio ridimensionato dal presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana secondo il quale “la musica e la Scala vincono su tutto”.
Il presidente la Russa assicura di non aver “sentito nulla”. E per Salvini “se uno viene a sbraitare alla Scala o a fischiare agli Ambrosini ha un problema. E’ nel posto sbagliato. Qui si ascolta e non si urla”.
Altra ‘ombra’: stasera non c’è stato il saluto da parte del presidente del Senato al maestro Chailly e agli artisti e maestranze, che di consuetudine viene fatto dalle autorità durante il primo intervallo.
Pochi giorni fa, le rsa e rls Slc-Cgil e Anpi Scala avevano detto che non avrebbero partecipato “ad alcun cerimoniale di saluto istituzionale rivolto a chi non ha mai condannato il fascismo”.
A salutare il direttore d’orchestra sono andati Sangiuliano, Sala e Meyer. Non La Russa, che però al termine della serata ha spiegato: “Non l’ho voluto dire prima per non fare polemica, ma c’è proprio ignoranza dei ruoli istituzionali. Quando non c’è il presidente della Repubblica, non è che il presidente del Senato è il suo supplente”. Spazio alla musica dunque, e fine delle questioni.
Il cast “glorioso”, forte di grandi voci e ben affiatato era già una garanzia. In scena la super star amatissima da pubblico e critica, Anna Netrebko, e Francesco Meli, che hanno raggiunto le sei inaugurazioni ciascuno. Luca Salsi, era alla quarta.
Con loro Michele Pertusi e la straordinaria Elina Garanča. Lo spettacolo firmato da Lluís Pasqual ha portato in scena un’opera concepita “come tragedia Shakespeariana che ci svela il dietro le quinte del potere. Con il back stage dove i personaggi sono di una solitudine enorme “.
Sul palco pochi colori, oro, alabastro e tanta ‘cupezza’ trasmessa da abiti e mantelli neri. Ma come aveva spiegato il premio Oscar Franca Squarciapino a quel tempo il nero era segno di grande agio e “non di tristezza”.
Nel Don Carlo la trama è complessa, i temi cari al compositore ci sono tutti, l’amicizia, il popolo sottomesso, i problemi tra padre e figlio, il potere, la religione, l’amore tormentato. E ci sono personaggi con diverse sfaccettature. Mettere tutto in scena non è stato facile.
A far sentire “il respiro del compositore” ci ha pensato il direttore d’orchestra Riccardo Chailly che con il Don Carlo chiude la ‘Trilogia del Potere’, iniziata con Macbeth nel 2021 e Boris Godunov nel 2022.
AGI – L’orchestra del Teatro alla Scala di Milano, diretta dal maestro Riccardo Chailly ha eseguito l’inno di Mameli prima dell’inizio dell’opera, il don Carlo di Verdi, che questa sera, inaugura la stagione. Tutti in piedi nel palco reale, dove in prima fila siede anche la senatrice a vita Liliana Segre, tra il sindaco di Milano Beppe Sala e il presidente del Senato Ignazio La Russa. Al termine dell’inno si sono sentite chiaramente un paio di voci che gridavano “viva l’Italia anti fascista”.
“Sulla polemica tra il sindaco Sala e il presidente La Russa “la prima della Scala è sempre un momento in cui escono tante cose vere e false. Io ho chiesto a tutti quelli del teatro di concentrarsi sul nostro lavoro che è quello di produrre uno spettacolo bello e importante. Noi facciamo questo”. Lo ha detto il soprintendente della Scala Dominique Meyer a margine della Prima. A chi gli ha chiesto dell’assenza del presidente Mattarella ha risposto: “Io apprezzo molto il presidente Mattarella, sarei stato felicissimo se fosse potuto venire, ha dimostrato in tutti questi anni un affetto grande nei confronti della Scala, non dimenticherò mai quando al Duomo abbiamo presentato il requiem di Verdi alla memoria delle vittime del covid. Poi era tornato quando abbiamo aperto il teatro dopo la pandemia. Sento la sua mancanza ma è più personale che di altra natura”.
Il Prefetto di Milano Claudio Sgaraglia e il Sindaco di Milano, Giuseppe Sala, hanno accolto la senatrice a vita Liliana Segre all’ingresso del teatro. “Sono un’abbonata. Ho iniziato dal loggione. E questo è un bel momento da ricordare”. Ha detto Segre all’arrivo. La senatrice, che di solito prende posto in platea, stavolta sarà in prima fila nel palco Reale accanto al sindaco e al presidente del Senato Ignazio la Russa. E proprio all’arrivo nel palco reale è stata subito applaudita dal pubblico in sala. Tutti in piedi in platea e nei palchi hanno salutato la senatrice con un caloroso applauso, prima dell’inizio dell’opera verdiana.
Il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini è arrivato al Teatro alla Scala per la Prima del “Don Carlo”. Il leader della Lega è con la compagna Francesca Verdini. “Sono orgoglioso” che Milano oggi sia al centro del mondo “infatti ho scelto Milano per il G7 trasporti ad aprile. Sono ministro di tutta Italia ma sono nato qui e per me Milano è Milano”. Ha detto il ministro e vicepremier arrivando al Piermarini per la prima della Scala.
Ci sono anche il regista spagnolo Pedro Almodòvar e l’attore francese Louis Garrel alla Prima della Scala. “È una serata molto bella. Questa è la mia cultura, perché parla della storia di noi spagnoli. Sono molto felice, questa è la mia prima volta qui, sono davvero molto eccitato”. Così il regista, a margine della prima del Don Carlo, al teatro alla Scala.
“Diciamo che la Prima della Scala è una vetrina sul mondo. La lirica ormai è patrimonio dell’UNESCO e oggi assistere a questa prima di un’opera della maturità di Verdi che un po’ si allontana dalla linea drammaturgica è davvero un grande piacere, con cantanti straordinari, quindi, è una gioia per il cuore”. A dirlo è Maria Elisabetta Alberti Casellati, Ministro per le riforme istituzionali, a margine della Prima del Don Carlo al Teatro alla Scala.
La Scala in carcere “rappresenta il volto migliore della detenzione”. Lo dice il ministro della Giustizia Carlo Nordio rammaricandosi per non poter essere presente alla visione del ‘Don Carlo’ a San Vittore. “So che, come vuole tradizione, a conclusione dell’opera verrà offerto risotto e panettone, frutto del lavoro di persone private della libertà che hanno avuto la possibilità di imparare un mestiere – prosegue Nordio -. Ci stiamo adoperando per cercare di far aumentare il numero delle imprese che investono nel carcere e delle persone che sono impiegate e so di trovare a Milano una società e un’imprenditoria sensibile.
“Milano è al centro del mondo, spero sarà una grande serata di musica come sempre avviene alla Scala. Poi il Don Carlo non è qualcosa che si può ammirare tutti i giorni, è un grande evento”. Lo ha detto il presidente del Senato Ignazio La Russa arrivando al Teatro alla Scala di Milano per la Prima del Don Carlo. “Sono stati solo temi logistici, niente che mi abbia impressionato”, ha detto poi rispondendo a una domanda sulla polemica che si è scatenata sui posti a sedere.
“Stasera mi aspetto bellezza”. Lo ha detto Patti Smith arrivando al Piermarini per la Prima della Scala. A chi le ha chiesto un commento sulla situazione politica la cantautrice ha risposto: “Sono qui per i bambini, non per la politica”.
Ramtin Ghazavi il tenore iraniano che questa sera prenderà parte alla prima del Don Carlo cantando nel coro, è arrivato mostrando una maglietta “Donna, vita, libertà” in segno di solidarietà alla rivoluzione delle donne iraniane.
AGI – “Troppo facile da dietro uno schermo senza assumersi le responsabilità di ciò che si scrive. Vi giuro su quello che ho di più caro che scoprirò chi siete, conigli infami”. Così Fedez su X sbotta contro gli haters che hanno rivolto minacce e malauguri ai due figli, Il rapper nei giorni scorsi aveva annunciato di aver già sporto denuncia alla polizia postale contro gli odiatori seriali che affollano i suoi profili.
AGI – È battaglia legale intorno alla messa all’asta a Bruxelles di un disegno originale di Albert Uderzo del 1963, la copertina di “Asterix e Cleopatra”, una tempera di 32×17 cm, il cui valore è stimato tra i 400.000 e i 500.000 euro. A metterla in vendita è il figlio di un uomo che ne divenne proprietario più di 50 anni fa “a seguito di una donazione fatta da Albert Uderzo”, assicura la casa d’aste.
Ma Sylvie Uderzo, figlia del disegnatore, contesta la proprietà dell’opera e alla fine di novembre ha incaricato un avvocato francese di sporgere denuncia alla Procura di Bruxelles per “abuso di fiducia o furto”.
Nel disegno Uderzo fa una parodia del manifesto della produzione hollywoodiana del 1963 “Cleopatra”, all’epoca il film più costoso della storia. La Cleopatra di Uderzo ha la stessa posa di Elizabeth Taylor, Asterix sostituisce Giulio Cesare interpretato da Rex Harrison e Obelix Marco Antonio, interpretato da Richard Burton.
AGI – Un romanzo breve destrutturato in tredici storie che hanno per secco titolo dei nomi. Personaggi che mutano ruolo da una all’altra trascolorando da protagonisti in comparse. Un puzzle di punti di vista emozionali che sottotraccia prende la forma del monologo interiore collettivo. Con La nostalgia che avremo di noi (Neri Pozza) una voce nuova bussa agli ingressi del palazzo buono della letteratura italiana optando per la porta dell’originalità.
E rifiutando di classificarsi come “femminile” con la scelta di interpretare anche il sentire degli uomini. Sta suscitando interesse l’esordio in libreria di Anna Voltaggio, anche perché non è affatto un nome sconosciuto nell’ambiente.
Una professionista della comunicazione editoriale che passa dall’altra parte della barricata: come ci si sente?
Leggermente a disagio, grazie. Entro incerta, in punta di piedi, in un mondo che per altri versi pratico da molti anni. L’approccio è agli antipodi, come il livello di esposizione. So che sarò e guardata e giudicata, ma da esordiente accetto di provare insicurezza nella mia zona di confort.
Il suo libro racconta la generazione dei quaranta/cinquantenni di oggi puntando a una cifra minimale in termini di riferimenti spazio temporali: perché ha scelto di descrivere più il dentro che il fuori?
Dando parola alla sfera interiore più segreta vorrei far venire a galla un’età vissuta con smarrimento. Senza generalizzare, tratteggio un gruppo di adulti che rispetto ai loro omologhi del passato non hanno riferimenti. Perché la mia generazione è andata nel futuro a mani nude. Non alludo solo alla tecnologia: non abbiamo più trovato sentieri tracciati, tappe esistenziali definite nel privato e nel lavoro, e quasi sempre ripiegato sul piano B perché quello A non era praticabile.
Introduzione dell’euro, crisi economica: tutte le certezze smottate. A chi ci ha preceduto va detto grazie per tante cose, ma non hanno costruito. Noi a 30 anni non potevamo permetterci un appartamento, anche chi veniva dalla borghesia: il precariato era esistenziale e ha inciso nella costruzione dei nostri legami.
Coordinate emozionali: sono quelle che contano di più in letteratura?
Ne offro meno di altro tipo perché mi concentro più su sentimenti ambigui come desiderio e nostalgia. L’esterno è in parte omesso, ma le emozioni non prescindono dalla società. Inoltre la forma breve del racconto limita lo spazio e spinge a utilizzare simboli che rimandino a concetti. Una città fragile come Venezia specchia le fragilità di un personaggio, una di frontiera come Trieste rappresenta un confine da raggiungere andando incontro al dolore.
Una periferia persa nel nulla era la quinta giusta per un racconto più onirico. Ho cercato di essere precisa soprattutto nel ritmo e nel posizionare le parole dove volevo che fossero, inserendole nel tempo dell’oggi.
I suoi personaggi oscillano tra scelte dettate dalla casualità, se non dal disturbo psichico, e una facciata di normalità: sono così le persone che per ragioni di età stanno prendendo le redini del mondo?
Nessuno dei miei personaggi sarà parte della classe dirigente. Mi incuriosisce l’umanità che sbaglia, la solitudine affamata di vita, la ricerca di qualcosa perche si sente una mancanza. C’è compassione. Ho scritto delle incrinature di persone che tengono in piedi una vita esatta, ma sanno bene di non essere perfette e allineate e che quando deraglieranno finiranno in vicoli ciechi.
Eppure non cambiano le loro decisioni perché è come si sentissero intere nell’errore, si riconoscessero scegliendo uno spazio libero e non conformato a ciò che secondo logica dovrebbe essere. Qualcuno mi ha detto che ho dato ai personaggi maschili tocchi più romantici: non è stato voluto, ma ci tenevo ad essere empatica con entrambi i sessi. Spesso autori uomini hanno fatto parlare le donne, meno il contrario. A me è piaciuto.
Da addetta ai lavori: è vero, come sostengono le case editrici, che i lettori non amano la brevità dei racconti? Suona strano, in un tempo in cui la comunicazione si è fatta acronimo fino a trasformare ti voglio bene in tvb.
In effetti è raro esordire con dei racconti. Avuto il mio testo in valutazione, alcuni editori hanno mi chiesto di trasformarlo in romanzo infatti, ma non mi sono arresa. Resto innanzitutto una lettrice e la forma breve mi arriva dritta, ferocissima e commovente. Secondo me le storie frammentate spiegano il contemporaneo e se si ricominciasse a proporle dalle librerie arriverebbero ottime risposte. Non a caso Veronica Raimo e Marco Balzano sono da poco usciti con delle raccolte.
Consigli per aspiranti autori: posto che un libro è per tutti, a chi deve rivolgersi un’esordiente?
Io ho pensato alle mie autrici e ai miei autori preferiti come lettori ideali, ma molti sono morti. A parte gli scherzi, parafrasando Rodari credo che un giovane debba scrivere quello che se non lo scrive gli fa male il braccio.
Due autrici o autori che ama. E due che l’hanno ispirata.
Amo Clarice Lispector, perché, appunto, tratta di sentimenti ambigui, desiderio, nostalgia, gioco e ricerca dell’amore. E ovviamente mi ispira perché i suoi temi familiari e di amicizia sono anche miei. Lo stesso vale per Yasmina Reza. Poi amo Daniele del Giudice per la scrittura suggestiva, profonda e lucida. Ed amo Roberto Bolaño per l’immaginazione.
Un suo personaggio è chiamato Cartesio, ma poi si ritrova a giocare a dadi la sua vita: così vanno le cose?
Cartesio chiude il libro discostandosi da tutti gli altri caratteri, incerti e in cerca di qualcosa lasciato in sospeso in un passato che li condiziona ancora. Lui invece ha un vita serena che non mette in discussione, ma il destino lo sgambetta costringendolo a prendere coscienza che il coraggio di un istante determina il risultato dell’esistenza di tutti noi, in termini di pace interiore e mancanza di rimpianti. Perché ci vuole una dose di audacia per guardarsi in faccia.
AGI – La Prima del Don Carlo di Verdi, che inaugura la stagione del teatro alla Scala di Milano, sarà seguita come ogni anno da una cena di gala alla Società del giardino. Organizzata per il dodicesimo anno da Caffè Scala, marchio del gruppo Fincav, di Milano, si avvale per la seconda volta dello Chef Enrico Bartolini affiancato da Davide Boglioli, Executive Chef del Ristorante tristellato Enrico Bartolini al Mudec.
“Per il menu di questa prestigiosa cena – spiega Bartolini – ho pensato a dei piatti che celebrassero il ricco territorio che ha dato i natali Giuseppe Verdi, utilizzando ingredienti tipici per rendere omaggio alla cucina tradizionale. Il dessert sarà invece un omaggio al Principe protagonista dell’opera verdiana”. In evidenza i partner della cena: saranno serviti il Bellavista Teatro alla Scala annata 2019, i panettoni di Elisenda Classico Edizione 2023 e Caffè Borbone.
Intento rinnovato anche questo anno di Caffè Scala è di promuovere l’inclusione dei giovani, dando loro la possibilità di contribuire al successo dell’evento. Dopo aver coinvolto la scuola Capac in cucina e in sala nell’edizione 2022, questo anno il progetto di allestimento dei tavoli è affidato agli studenti del Triennio di Scenografia NABA, Nuova Accademia di Belle Arti coordinata da Margherita Palli e Francesca Guarnone.
“Incentrandoci sul personaggio, vediamo prevalere nell’allestimento i colori bordeaux, oro e antracite, ritrovati anche nei dipinti “Ritratto dell’infante di Don Carlos” di Diego Velàzques e “Ritratto dell’infante di Don Carlos di Spagna” di Alonso Sànchez Coello”. In parallelo alla cena alla Società del Giardino, verrà servita la cena per la festa di tutte le maestranze del Teatro nel retro-palcoscenico, un gran buffet per 500 persone.