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Il libro piace ancora, soprattutto se parla

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AGI – L’audio entertainment piace agli italiani che dedicano ad audiolibri e podcast sempre più tempo, specie quando guidano, fanno ginnastica, cucinano o mettono in ordine. Una montagna di ore e un business in crescita, se è vero che quasi metà degli italiani che ascolta audiolibri ne ascolta più di uno al mese (non poco visto che la durata media di un titolo è una decina di ore) e soprattutto un volano culturale, dato che l’87% afferma di conoscere nuovi autori proprio grazie all’ascolto. 

I numeri diffusi da Audible Compass 2023, un’indagine internazionale realizzata da Kantar per conto della società Amazon che produce e distribuisce audiolibri, podcast e serie audio saranno presentati a Roma in occasione di “Più Libri Più Liberi” e mostrano un aumento del 5% di quanti nel 2023 hanno consumato audio entertainment. 

Le cifre sembrano smentire le cassandre che vedevano nell’ascolto un nemico giurato della lettura: le due fruizioni, dice la ricerca, sono complementari: l’84% degli ascoltatori di audiolibri è anche lettore di libri, in formato cartaceo ed ebook.

Certo, l’Italia resta un mercato marginale rispetto a quello tedesco, ma mentre in Germania Audible – di fatto una sorta di monopolista del mercato dell’audiolibro – è arrivato nel 2005, nel nostro Paese è sbarcato solo nel 2016, In sette anni e mezzo, però, ha messo insieme numeri importanti: sedicimila titoli, più di tremila dei quali originali (prodotti cioè dall’azienda e disponibili solo sul servizio). Numeri e investimenti importanti, se si considera che solo nel 2023 sono stati spesi in creazione di contenuti circa 4 milioni di euro. 

La voce è uno dei fattori guida nella scelta all’ascolto: il 77% degli intervistati preme play se ritiene il narratore accattivante e coinvolgente. La saga completa di “Harry Potter” di JK Rowling, letta da Francesco Pannofino, continua a essere l’audiolibro più amato anche nel 2023 insieme a “La portalettere” di Francesca Giannone e a “Il Conte di Montecristo”, narrati da Sonia Barbadoro e Moro Silo; “Maxi” di Roberto Saviano è al primo posto nella classifica dei podcast  seguito da “Nero come il sangue” di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi e da “Le grandi battaglie della storia” di Alessandro Barbero.

In sette anni l’audiolibro non ha sottratto mercato a nessuno, ma è andato a occupare uno spazio che prima era vuoto” dice all’Agi Juan Baixeras, Country Manager Spagna e Italia di Audible, “È stato possibile grazie alla tecnologia – la diffusione di cuffie auricolari e l’evoluzione degli smartphone e del traffico dati – e il percorso che abbiamo intrapreso ci ha consentito di incrementare in modo considerevole il catalogo locale, passando dai 2.000 contenuti iniziali agli oltre 16.000 in italiano di oggi con 6.900 ore di contenuti prodotte solo quest’anno”. 

Ma quali sono i gusti degli italiani in fatto di audiolibri e podcast? Il primo fattore a determinare se un contenuto valga la pena di essere ascoltato o no, per l’84% degli italiani è il genere. Per quanto riguarda gli audiolibri, il primo tra tutti è letteratura e narrativa (51%), seguito da gialli e thriller (49%) e dalla storia (43%)

Parlando invece di podcast, in cima alle preferenze degli italiani ci sono i contenuti dedicati agli approfondimenti (40%), seguiti da Storia e Scienza (a parimerito al 38%) e dal True Crime (30%). La casa si conferma il luogo preferito per ascoltare audiolibri e podcast (69%), che vengono scelti per rilassarsi (45%), come compagni durante le faccende domestiche (21%), o come forma di intrattenimento “alla larga” dagli schermi (19%). Le storie in cuffia si confermano anche tra i migliori compagni di viaggio degli italiani intervistati (45%): si ascolta sia in auto (25%) che sui mezzi pubblici (20%) per raggiungere luoghi di lavoro, di studio o di svago. 

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Cultura

Bari 1943, il colpo di coda di Hitler e il segreto di Churchill

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AGI – La sorpresa totale dell’eclatante raid tedesco sul porto di Bari il 2 dicembre 1943 era niente rispetto alla scoperta che gli Alleati stavano stoccando migliaia di bombe all’iprite da utilizzare probabilmente sulla Linea Gustav.

La sanguinosa battaglia sul fiume Sangro si era appena conclusa con la vittoria dell’8ª Armata di Bernard Law Montgomery, ma senza lo sfondamento strategico che doveva dare una svolta alla guerra in Italia, quando sul cielo di Bari illuminato dalle tinte del tramonto si erano materializzare all’improvviso le sagome di 88 bombardieri Junkers Ju-88 della Luftwaffe.

La tempistica era stata perfetta, i caccia alleati erano rientrati alle basi, il diversivo per l’accecamento dei radar con migliaia di striscioline di stagnola aveva funzionato e il porto era ingolfato da una quarantina di navi da carico e da guerra. Gli esperti piloti tedeschi, decollati dagli aeroporti del nord Italia e da Atene, avevano solo l’imbarazzo della scelta sui bersagli a distanza ravvicinata e raggruppati.

Gli sganci erano iniziati poco dopo le 19.30 da bassissima quota e il risultato era stato devastante. La Luftwaffe non compiva da tempo un bombardamento su vasta scala e gli Alleati da Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941, non erano mai stati colti così di sorpresa. Esplosioni e fiamme dappertutto. Pure l’acqua del porto bruciava. Antonio Virno era un giovane che lavorava per gli inglesi alla mensa militare. Aveva appena fatto in tempo a tuffarsi in mare e a mettersi al riparo degli scogli, assieme al suo ufficiale.

«Era un inferno. Ho visto l’inferno a 17 anni. Indescrivibile quello che accadeva sull’acqua e sulla terra. Morti dappertutto, esplosioni senza tregua». All’àncora c’era anche una nave americana di classe Liberty, la SS John Harvey. Era salpata il 18 novembre da Orano, in Algeria, ai comandi del capitano Edwin F. Knowles, e nelle stive portava duemila bombe M47A1, ognuna delle quali con 60-70 libbre di gas mostarda: la terribile e temutissima iprite della prima guerra mondiale, vietata per l’utilizzo dalle convezioni internazionali che però non ne proibivano la produzione, e sulla cui distribuzione il presidente Franklin Delano Roosevelt aveva segretamente tolto il veto ad agosto.

Lo scafo aveva fatto tappa ad Augusta, in Sicilia, per un’ispezione del 7th Chemical Ordnance Company, e il 26 novembre aveva fatto rotta verso Bari, dov’era stata centrata la sera del 2 dicembre dai bombardieri tedeschi ed era esplosa uccidendo il comandante e 77 uomini di equipaggio. Parte del carico era fuoriuscito disperdendosi nell’aria in alte concentrazioni e parte ancora era colato a picco nelle acque portuali.

Il raid della Luftwaffe aveva provocato l’affondamento di 18 navi e il danneggiamento di altre 15, otto delle quali gravemente, al prezzo di appena due apparecchi. Perdite pesanti, pesantissime, nonché la messa fuori uso del porto fino a febbraio. Quasi duemila le vittime tra militari e civili, a terra e in mare, nelle case e nelle imbarcazioni. Il cielo di Bari era illuminato a giorno dagli incendi e dalle continue esplosioni che non risparmiavano neppure la città. Il comando del generale Harold Alexander, a una dozzina di chilometri di distanza in linea d’aria, riportò la rottura di tutti i vetri.

I rifornimenti per l’esercito di Montgomery erano perduti, ma la vera portata del bombardamento emerse subito dopo, quando marinai, soldati, personale ausiliario italiano e cittadini baresi cominciarono a manifestare problemi respiratori e strane vescicole sulla pelle. Qualcuno capì subito di cosa si trattava, strinse le maglie della sicurezza e l’8 dicembre il Quartier generale alleato diffuse un memorandum nel quale si raccomandò di diagnosticare una generica “dermatite non identificata”.

Ai corrispondenti di guerra non venne fatta parola di quel problema collaterale, perché era estremamente imbarazzante dover ammettere che gli angloamericani si preparavano alla guerra chimica sul fronte italiano. Il comandante supremo Dwight Eisenhower istituì una segretissima commissione d’inchiesta che a marzo 1944 sancì che le “dermatiti” erano dovute alla contaminazione da gas mostarda fuoruscito dalla John Harvey, con la sottolineatura che gli Alleati non l’avrebbero mai usato se non per reazione al loro impiego da parte di Hitler.

Winston Churchill, da parte britannica, aveva fatto immediatamente classificare Top Secret la documentazione medica limitandosi a far apporre la formula ambigua sulle morti per iprite dovute a «ustioni a causa di un’azione nemica». Dopo sedici anni la documentazione americana venne declassificata ma solo nel 1967 l’Istituto navale pubblicò un saggio in argomento che sarà seguito dal volume di Glenn B. Infield “Disaster at Bari”.

Il riconoscimento dell’esposizione ai gas tossici da parte dei sopravvissuti avverrà solo nel 1986 e limitatamente ai fini pensionistici. Ancora a fine millennio, come riporta uno studio dell’Istituto di medicina del lavoro dell’Università di Bari datato 2001, si verificavano contaminazioni tra i pescatori che incappavano con le loro reti nelle bombe corrose dal tempo sui fondali.

C’erano stati centinaia di casi e almeno cinque decessi potevano essere imputati all’iprite dispersa nel 1943 durante un’azione di guerra avvolta dal mistero. Uno dei segreti meglio conservati della seconda guerra mondiale ha avuto comunque anche un risvolto positivo, grazie agli esperimenti del chimico Stewart Francis Alexander sui tessuti prelevati durante le autopsie delle vittime dell’iprite. Le sue scoperte, ampliate farmacologicamente da Louis S. Goodman e Alfred Gilman, sono state alla base  della moderna chemioterapia per la cura dei tumori.

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Cultura

Prima alla Scala. Segre, Sala e Larussa nel palco reale

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AGI – Evento musicale, culturale e mondano per eccellenza. La Prima della Scala, che domani, giorno di sant’Ambrogio patrono di Milano, darà il via alla stagione scaligera è dedicata al Don Carlo di Giuseppe Verdi, diretto dal maestro Riccardo Chailly, nella versione in quattro atti che il compositore pensò proprio per il Piermarini.

La première della Scala che raduna ogni anno nel capoluogo meneghino alta società, uomini e donne della politica, della danza, dello spettacolo e della moda, stavolta forse avrà un palco Reale meno affollato, poiché sarà assente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, impossibilitato per motivi di agenda, e il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, presente l’anno scorso accanto a Ursula von der Leyen.

Hanno confermato la presenza il vice premier Matteo Salvini, “da milanese non potevo mancare” ha osservato un paio di giorni fa, il presidente del Senato Ignazio La Russa, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, la ministra per le Riforme Istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati, i Sottosegretari alla Cultura Gianmarco Mazzi e Vittorio Sgarbi, il Prefetto Claudio Sgaraglia, il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, il Sindaco di Milano Giuseppe Sala, i Senatori a vita Liliana Segre e Mario Monti, il Capo di Stato Maggiore Giuseppe Cavo Dragone. Per la Rai è atteso l’AD Roberto Sergio.

Come sempre numerose le personalità del mondo dell’arte, dello spettacolo e della cultura: dall’attrice Andrea Jonasson, alle cantanti Ornella Vanoni e Patti Smith. L’icona rock aveva già assistito a una Prima scaligera nel 2019, quando andò in scena la Tosca.

Dal soprano Raina Kabaivanska (che è stata Elisabetta nel 1964 con Gabriele Santini e nel 1969 con Claudio Abbado), al presidente della Triennale Stefano Boeri, all’architetto Mario Botta che ha completato con la nuova torre di via Verdi il progetto di ampliamento dell’edificio storico del Piermarini, e l’editore Luca Formenton.

Tra i volti del giornalismo spiccano Natalia Aspesi e Corrado Augias. Presenti anche il direttore del Piccolo Teatro Claudio Longhi, la direttrice del Teatro Franco Parenti Andrée Ruth Shammah e la scenografa Margherita Palli; particolarmente nutrita la pattuglia dei Teatri d’Opera con il Direttore Generale dell’Opèra di Parigi Alexandre Neef, il Direttore Generale e Artistico della Monnaie di Bruxelles Peter de Caluwe, il Direttore artistico del Real di Madrid Joan Matabosch e i Sovrintendenti dell’Accademia di Santa Cecilia Michele dall’Ongaro, dell’Opera di Roma Francesco Giambrone, del Carlo Felice di Genova Claudio Orazi, del Regio di Torino Mathieu Jouvain, del Comunale di Bologna Fulvio Macciardi. Con loro gli ex sovrintendenti del Teatro alla Scala Carlo Fontana e Alexander Pereira.

In scena un “cast favoloso” come l’ha definito il sovrintendente Dominique Meyer e all’altezza della difficoltà di quest’opera “dei primati”, scelta per la nona volta per l’inaugurazione (1868, 1878, 1912, 1926, 1968, 1977, 1992 e 2008).

Le grandi voci che ascolteremo, sono ‘di casa’ alla Scala, a cominciare da quella della “leonessa” Anna Netrebko e dalla “tigre” Elna Garana, come le ha ribattezzate Meyer (rispettivamente nel ruolo di Elisabetta di Valois e in quello della Principessa d’Eboli). Per continuare con Francesco Meli (come Don Carlo), Michele Pertusi (come Filippo II), Luca Salsi (come Marchese di Posa) e Jongmin Park (come Grande Inquisitore). Protagonista di non minore rilievo il Coro del Teatro alla Scala diretto da Alberto Malazzi. Le scene sono di Daniel Bianco, i costumi della “leggendaria” Franca Squarciapino, le luci di Pascal Mèrat, i video di Franc Aleu e la coreografia di Nuria Castejòn. 

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Cultura

Non solo lirica, anche ceviche e bolero diventano patrimonio immateriale Unesco

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AGI – Il belcanto lirico italiano da oggi è patrimonio immateriale dell’umanità dell’Unesco. Rientrerà cioè nella lista di quelle tradizioni culturali che l’Unesco s’impegna a salvaguardare nell’ambito dei suoi sforzi per promuovere e la diversità e il patrimonio culturale in tutto il mondo. La notizia non poteva arrivare in un momento più indovinato, ovvero alla vigilia dell’inaugurazione della stagione del teatro La Scala di Milano, da oltre due secoli il tempio della lirica che tutto il mondo ci invidia. 

In attesa dell’opera inaugurale – il Don Carlo di Verdi – domani sera, il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ha dato voce alla propria soddisfazione evidenziando ai microfoni di Rai Radio Uno il “grande riconoscimento” ricevuto e di cui il Paese deve essere orgoglioso: “è un fatto storico”, ha affermato. 

Sangiuliano ha sostenuto e portato avanti la candidatura del canto lirico italiano a patrimonio immateriale dell’umanità. Una candidatura che era stata avanzata nell’aprile del 2022, dall’allora ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini e dal Sottosegretario Lucia Borgonzoni, e che la sessione competente del comitato, riunita a Kasane, ha evidentemente riconosciuto come una delle espressioni culturali più autentiche e originali del Bel Paese. 

BREAKING

New inscription on the #IntangibleHeritage List: The practice of opera singing in #Italy .

Congratulations!https://t.co/c2HMPpStCA #LivingHeritage pic.twitter.com/IkBohsGBLa

— UNESCO ️ #Education #Sciences #Culture (@UNESCO)
December 6, 2023

“Il canto lirico in Italia è un modo di cantare fisiologicamente controllato che esalta la potenza della voce in spazi acustici come anfiteatri e chiese – ha spiegato l’Unesco in una nota – È associato a specifiche espressioni facciali e gesti del corpo e prevede una combinazione di musica, dramma, recitazione e messa in scena. “È un mezzo di libera espressione e di dialogo intergenerazionale e il suo valore culturale è riconosciuto a livello nazionale e internazionale”, conclude l’organizzazione.

Ma non c’e’ solo il canto lirico italiano tra le ‘new entry’ nella lista del patrimonio immateriale dell’umanità stilato dall’Unesco, Nella riunione di oggi in Botswana e’ stato deciso di includere anche piatti prelibati come il ceviche peruviano o la Man’ouchè libanese e la musica, come il bolero cubano e messicano. Sono molte le realtà culturali riconosciute peculiari dalla 18esima commissione dell’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, e tra queste alcune sono transnazionali, come l’arte del vetro lavorato a mano la cui candidatura era stata proposta da Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria e Spagna, e altre estremamente locali, come la tessitura a motivi Naga del Laos o quella del perizoma in Costa d’Avorio o la costruzione di barche di legno in Martinica. Altre particolarità entrate per la prima volta nella lista sono l’Elechek, il tradizionale copricapo cilindrico indossato dalle donne in Kirghizistan o la danza Garba dello stato indiano del Gujarat. 

BREAKING

New inscription on the #IntangibleHeritage List: Transhumance, the seasonal droving of livestock [Extension], #Albania , #Andorra , #Austria , #Croatia , #France , #Greece , #Italy , #Luxembourg , #Romania , #Spain .

Congratulations! … pic.twitter.com/L52DZTlabV

— UNESCO ️ #Education #Sciences #Culture (@UNESCO)
December 5, 2023

Interessante notare che anche la pratica stagionale della transumanza, con la migrazione delle greggi da un pascolo all’altro, è rientrata a pieno titolo nella lista Unesco del Patrimonio immateriale. Una pratica, sottolinea l’Unesco, presente in almeno una decina di Paesi incluso l‘Italia, la Francia, l’Albania, la Croazia e la Grecia.

Come era stato annunciato, la sessione del comitato, che si sta tuttora svolgendo a Kasane, in Botswana, si chiuderà domani, 7 dicembre. Da lunedì i membri della commissione sono stati impegnati nell’esaminare le candidature per l’iscrizione di 55 pratiche culturali presentate in tutto da 72 Stati membri.

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Cultura

Il Laboratorio dei Restauri dei Musei Vaticani compie 100 anni

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AGI – Nel 2023, il Laboratorio di Restauro Dipinti e Materiali Lignei dei Musei Vaticani, una delle strutture del settore più antiche al mondo, compie 100 anni.

Per celebrare questo importante traguardo di esperienza, innovazione e cura delle opere d’arte, lunedì 11 dicembre, alle ore 10:30, verrà presentata, nella Sala Conferenze dei Musei Vaticani, una mostra che permetterà a visitatori e appassionati di esplorare le storie affascinanti che si celano dietro ogni opera d’arte: un’opportunità unica per apprezzare da vicino i dettagli che spesso sfuggono al visitatore, ma che si svelano sotto la lente del restauro. 

Sarà possibile ammirare, attraverso gli occhi dei restauratori, le tecniche di esecuzione, la storia conservativa, le scelte differenti che caratterizzano ogni intervento di restauro.
I contenuti, pubblicati online, saranno accessibili lungo il percorso museale tramite la scansione di un QR Code, posizionato nelle vicinanze del dipinto restaurato.

Il Laboratorio Restauro Dipinti costituisce una delle realtà storiche nel settore della conservazione non solo per lo Stato della Città del Vaticano, ma a livello internazionale. L’attività di tale dipartimento prevede la conservazione del patrimonio della Santa Sede, formato da decine di migliaia di metri quadri di decorazioni murali e circa 5.300 dipinti mobili inventariati, attraverso monitoraggi, controlli preventivi, manutenzioni, pronti interventi, movimentazioni, studio, collaborazioni, ricerca scientifica, che spesso concorrono e culminano nell’articolato atto di realizzazione di un restauro completo. 

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Cultura

L’Apollo di Salerno sbarca nel digital 

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AGI –  A novant’anni esatti dal primo restauro da parte di Giulio Raccagni, la Testa di Apollo, ‘icona’ della città di Salerno, rivive in due progetti centrati su digitalizzazione, animazione e attualizzazione dello straordinario manufatto. La tutela di manufatti straordinari come questo (alto una cinquantina e orientativamente databile tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.), ripescato nelle acque del golfo di Salerno nel dicembre del 1930 e collocato nel Museo archeologico della città, è doverosa  ma oggi è diventato altrettanto indispensabile sfruttare le nuove tecnologie per facilitare la conoscenza del patrimonio culturale e la sua fruibilità. 

Rispondono a questo doppio obiettivo i due progetti – ‘Apollo 4.0‘ della Fondazione di Comunità Salernitana e ‘Around Apollo‘ dell’associazione Duna di Sale – risultati tra i vincitori del bando Tocc (transizione digitale organismi culturali e creativi) del ministero della Cultura, finanziato con fondi Pnrr.

Con ‘Apollo 4.0’, partendo dalla digitalizzazione della scultura, si potranno elaborare opere d’arte, sia digitali che materiali, attraverso animazioni computerizzate, video mapping e stampa 3D. Il progetto punta a rendere fruibile a tutti la testa bronzea del dio, parte superstite di una statua di grandezza superiore al naturale realizzata con la millenaria tecnica della fusione a cera persa, e prevede anche la realizzazione di un manufatto copia dell’opera a uso di persone ipovedenti.

Per la conservazione del bene, il progetto poi prevede la stabilizzazione del microclima della sala espositiva che accoglie la testa bronzea di Apollo, attraverso l’installazione di sensori ad alta tecnologia. Il progetto si evolverà, successivamente, con la realizzazione di una avventura grafica, un videogioco target 6-11, da promuovere nelle scuole per sensibilizzare le nuove generazioni all’apprezzamento del proprio patrimonio storico artistico e culturale. Sara’ pubblicato anche un volume che illustri, step by step, lo sviluppo digitale del progetto.

Con ‘Around Apollo‘, l’iconica testa del dio, simbolo di bellezza ma anche dell’identità salernitana (la testa di Apollo non a caso è raffigurata nel ‘logo’ del Museo archeologico) diventerà anche protagonista di un’app turistico-culturale che guiderà il visitatore in un tour inedito – tra i monumenti e il paesaggio verticale, tra cielo e mare – di Salerno, attraverso contenuti multimediali originali, realizzati ad hoc. L’itinerario condurrà il visitatore in un percorso culturale totalmente immersivo, tra suggestioni presenti e testimonianza del passato, pe rendere l’esperienza ancora più coinvolgente. Le tappe dell’app comprendono il Museo provinciale, piazza della Libertà, la Stazione marittima, la villa comunale, il teatro Verdi, il Giardino della Minerva, il Tempio di Pomona e il complesso di San Pietro a Corte

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Cultura

Baby Gang è il rapper italiano più ascoltato all’estero

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AGI – Baby Gang è il rapper italiano più ascoltato all’estero su Spotify, secondo Spotify Wrapped 2023. La sua musica in questi anni ha scalato le classifiche di oltre 30 Paesi con più di 1,5 miliardi di stream complessivi!
Un altro importante risultato che si va ad aggiungere alla carriera già ricca di successi in campo musicale di Baby Gang che, a soli 22 anni, ha oltre 6,4 milioni di ascoltatori mensili su Spotify, conta oltre 2,2 milioni di follower su Instagram e 1,5 milioni di iscritti al canale Youtube, dove ha totalizzato oltre 650 milioni di views complessive. è nella top 10 degli italiani più ascoltati nel mondo, insieme a artisti leader nel loro genere come Maneskin, Gabry Ponte e Laura Pausini. In meno di tre anni ha collezionato 2 Platino (“Lei” e “Paradiso artificiale”) e 15 Oro. Con la sua musica è il portavoce dei giovani italiani di seconda generazione, cresciuti sulla strada ma con l’idea di costruire un futuro migliore in cui ci siano rispetto e parità.

 Il suo ultimo album “Innocente” uscito a maggio 2023 è stato certificato Oro.

Il singolo “Cella 4” ha oltre 25 milioni di visualizzazioni su YouTube. Tra le sue hit più conosciute anche “Casablanca” del 2021 con 40 milioni di visualizzazioni su YouTube e 68 milioni di ascolti su Spotify e “Mentalitè” del 2022 con 77 milioni di views su YouTube e 87 milioni di stream su Spotify, entrato nella Viral di Spotify di oltre 15 Paesi. Zaccaria Mouhib questo il nome di Baby Gang,è nato a Lecco il 26 giugno 2001 da genitori immigrati, originari del Marocco.

A soli undici anni lascia la famiglia per non gravare sulla difficile situazione economica ma si scontra con i forti pregiudizi della società odierna nei confronti delle sue origini. Crescere sulla strada senza un posto sicuro in cui dormire e senza delle figure di riferimento lo porta a mettersi talvolta contro la Legge, finchè scopre di avere una voce che non viene ignorata, grazie alla musica.

Il suo primo brano “Street”, pubblicato su YouTube a 17 anni, raggiunge un successo inaspettato. Baby Gang inizia a credere nelle sue capacità artistiche, grazie anche all’aiuto di don Claudio Burgio dell’associazione Kayros, e comincia una nuova fase della sua vita. Quello che rimarrà costante, nella sua scalata alle classifiche, sarà la sua scelta sociale e politica di cantare con fierezza delle proprie origini e delle difficoltà che ha vissuto. Ha all’attivo due ep, “EP1” (2021) e “EP2” (2022), e due album “Delinquente” (2021) e “Innocente” (2023) tutti e 4 certificati Oro. “Innocente” è uscito con la nuova etichetta da lui fondata No Parla Tanto Records / Warner Music Italy. 

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Cultura

Renato Zero presenta ‘Autoritratto” e invita ‘bisogna scendere in piazza’

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AGI – “Bisogna scendere in piazza. Non restare fra quattro mura. Noi lo abbiamo fatto per cose più leggere in passato. Oggi, davanti a tutto quello che succede c’è una vera urgenza. E invece ce ne stiamo davanti alla tv che è una grande bugia. Quello che offre oggi la tv è vergognoso. Gli abbiamo dato troppa importanza togliendo tempo agli amici, all’affetto, ai figli, a chi amiamo. Ci manca il coraggio”. È un Renato Zero combattivo e determinato quello che si presenta in conferenza stampa a Milano per il lancio del suo nuovo album dal titolo “Autoritratto” annunciando panche alcuni live a partire dal prossimo anno.

“Le vittorie – spiega l’artista- si ottengono sempre sulla piazza mettendo la propria faccia. E proprio adesso la piazza dovrebbe ripopolarsi. Viviamo in un giro vizioso dove non siamo più attori, ma spettatori impotenti” 

Zero affronta il tema dei femminicidi: “Ancora non abbiamo imparato la lezione- dice Zero – è incredibile. La donna paga tutto quello che un uomo non è riuscito a realizzare nella vita. E alla donna tocca subire questa rabbia”. Per il cantante, “è inutile partecipare ai talk in tv, oltretutto pagati. Trovo odioso che la gente venga pagata per esprimere opinioni. Bisogna chiedersi: e se succedesse a me? Bisogna denunciare solo che a volte questo è un percorso lento e fra la denuncia e la salvezza della ragazza coinvolta passa troppo tempo. Serve la piazza per farsi sentire”.

Il tema diventa poi quello dei giovani e dei testi a volte violenti delle canzoni: “Se un padre si rivolge alla madre insultandola, dicendole ‘sei una z” i figli acquisiscono questa espressione e poi raggiungono un microfono. Ed ecco come viene fuori un atteggiamento non adatto a un 18enne”, spiega Zero sottolineando che comunque “non dobbiamo giudicare il ragazzo, dobbiamo andare presso le famiglie e la risposta la troveremo sicuramente in quella sorta di non educazione. Sono vittime di una gestione cattiva e perversa di certe normative che nascono nelle famiglie. Ci aspettiamo che questi ragazzi non abbiano bisogno di menare le mani, far volare bedtemmie, ma vivano la spiaggia, il mare, l’orizzonte, il futuro”.

 Per Zero, “i giovani di oggi sono insicuri, e allora quando è così tutto diventa più difficile. Io dico sempre che si è giovani una volta sola così come per l’essere vecchio. Ma se da giovane sei stato bene, lo sarai anche da vecchio. Ora, come si può pretendere che questi giovani vengano su bene? La politica è disattenta rispetto ai giovani. Fateci caso, non li menziona. Guardate la vicenda degli alloggi universitari. Seicento euro per un posto letto sono assurdità. I ragazzi dovrebbero semmai spendere questi soldi in viaggi culturali, utili al loro studio. E invece li spendono per un posto letto! è offensivo! So che comunque qualcosa si sta muovendo. Ma il tempo gioca un ruolo fondamentale”.

Zero ne ha anche per la troppa burocrazia: “è una bestia vera, blocca tutto. A Roma ci vuole il contabuche e l’ortopedico accanto”. Niente capodanno a Milano per mancanza di fondi? “Ma come – si chiede l’artista – con tutte le mostre e le fiere che fanno mah” La prima della Scala?” Che occorre fare per partecipare? Se facciamo una foto alla platea – dice ridendo- alla fine ci accorgiamo che sono sempre gli stessi. Come i cartonati. Alcuni si fanno anche beccare mentre ronfano”.

Capitolo Sanremo ed eventuale tifo per Loredana Bertè sua storica amica.”Faccio il tifo per tutti quelli che nel corso del tempo hanno dato e avuto vicinanza tangibile con me”.

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Cultura

Prima del 5 dicembre: l’80° della Brigata Maiella

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AGI – Per arrivare a quella firma con una matita sotto un impegno d’onore c’era stato un accidentato percorso di coraggio, scetticismo, caparbietà, disprezzo e persino umiliazione. Il 5 dicembre 1943 nel castello di Casoli, in provincia di Chieti, quindici volontari si impegnarono a coadiuvare i soldati inglesi nelle operazioni militari contro i tedeschi nell’ambiente sconosciuto e ostile del massiccio della Maiella, in cambio dell’aiuto a evitare la distruzione dei paesi che sorgono nei pressi della Linea Gustav, nel mirino dei genieri della Wehrmacht che bloccano le vie comunicazione e ricorrono alla tattica della terra bruciata.

Gli inglesi avevano sistematicamente rifiutato le offerte avanzate da un avvocato di Torricella Peligna, Ettore Troilo, socialista, già segretario di Giacomo Matteotti, antifascista da sempre, e non avevano lesinato pesanti insulti, fino all’intercessione di un maggiore di Londra, di origini ebraiche: Lionel Wigram, destinato a cadere alla loro testa nella prima battaglia dell’unità italo-inglese, a Pizzoferrato nel febbraio 1944.

Per la prima volta venivano infatti armati e inquadrati i civili italiani, contrariamente alla regola mai più violata di disarmare le unità partigiane. Non avranno mai modo di pentirsi di questo credito di fiducia: quei 15 diventeranno 1.500 che combatteranno l’intera Campagna d’Italia, col più lungo ciclo operativo, unica formazione decorata di medaglia d’oro al valor militare. Conosciuta come Brigata Maiella e spesso inserita erroneamente o dolosamente tra le brigate partigiane, l’unità costituisce un unicum nella storia della Resistenza: i volontari che aprirono la loro esaltante epopea il 5 dicembre di 80 anni fa non facevano parte del Corpo volontari della libertà, non rispondevano a nessun partito perché esterni al Comitato di liberazione nazionale, non avevano commissario politico, non conducevano guerriglia autonoma ma solo attività bellica inserita nei piani strategici alleati e sotto loro comando, dipendevano dal punto di vista amministrativo dall’esercito italiano ma prendevano ordini solo dall’8ª Armata britannica (fino a giugno 1944 V Corpo d’armata inglese e fino alla fine della guerra II Corpo polacco del generale Władysław Anders), avevano tesserino militare da legittimi combattenti (209ª divisione di fanteria e poi 228ª) con uniforme inglese, mostrine tricolori al posto delle stellette regie  e scudetto col profilo della Maiella sul braccio.

Il comandante nominale era Ettore Troilo, quello tattico il suo vice l’ex tenente della Regia Aeronautica Domenico Troilo (i due non sono parenti e neppure si conoscevano prima), ma la responsabilità di comando è inglese e poi polacca. Sono tutti volontari, possono andarsene a casa in qualsiasi momento, ma non ci sarà mai nessuna diserzione e nessuna richiesta di congedo nella fila della Maiella che arriverà a riportare la libertà fino ad Asiago, in Veneto, dopo essere entrata per prima a Bologna il 21 aprile 1945. Gli inglesi pensavano che con la fine della guerra in Abruzzo, nel giugno 1944, i patrioti si sarebbero sciolti, e invece avevano chiesto di rimanere in servizio e di continuare a battersi per gli altri italiani sotto occupazione nazifascista.

Costituita come unità di fanteria da montagna, con armamento pesante e persino un’unità di commandos, la Maiella aveva sempre più richieste di arruolamento di quante ne potesse accettare. È apartitica ma non apolitica, poiché sono tutti repubblicani e hanno rifiutato l’inquadramento nel Regio esercito per non giurare fedeltà ai Savoia sostituendo le stellette col nastrino tricolore. Quasi sempre in prima linea e impegnata sul fronte adriatico, dove libera diversi centri, era stata citata più volte per valore sui bollettini di guerra britannici, come a Monte Mauro dove i volontari agli ordini di Domenico Troilo colsero quella che venne definita dagli inglese «la vittoria impossibile», tant’è che gli ufficiali tedeschi sconfitti e fatti prigionieri si congratularono cavallerescamente.

Non cantarono mai «Bella ciao», come di recente si è persino cercato di affermare pur di dare una dimensione partigiana che la celebre canzone non ha mai avuto, perché, come raccontavano i veterani, non c’era tempo per cantare e comunque la formazione aveva inno e motivi propri.

Alla fine della guerra conterà 55 caduti e 151 feriti (di cui 36 mutilati), 15 medaglie d’argento al valor militare, un encomio solenne sul campo, 45 medaglie di bronzo, 145 croci di guerra, e altre decorazioni sul campo da parte dei polacchi. La medaglia d’oro, promessa signorilmente da Umberto di Savoia luogotenente del Regno agli irriducibili repubblicani, e non consegnata nel 1945 durante la cerimonia ufficiale con la Maiella già schierata in quanto annullata all’ultimo momento per motivi mai ben chiariti, sarà concessa dalla nuova Italia con venti anni di ritardo perché all’epoca qualcuno si accorse che era la prima della guerra di liberazione e probabilmente apparve scabroso decorare la bandiera di una formazione irregolare. Poi si cercò persino di negare la verità, dimostrata da Ettore Troilo con un lungo e certosino lavoro di ricostruzione documentale.

La Brigata  Maiella, che peraltro solo sul tesserino inglese si chiamava così, è stata celebrata dal presidente Sergio Mattarella nella cerimonia ufficiale del 25 aprile 2018 che si è tenuta proprio a Casoli, dove tutto era cominciato nel 1943, a pochi chilometri dal Sacrario di Taranta Peligna che ricorda i patrioti caduti, sovrastato dalla montagna che diede il nome a una delle storie di uomini  più luminose della Resistenza.

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Cultura

Il dolore diventa sociale se ha un messaggio politico

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Ada D’Adamo è morta il 1° aprile 2023, poche settimane prima che il suo memoir, dedicato all’esperienza di crescere una figlia affetta da una malformazione congenita al cervello ed alla propria battaglia contro il cancro, mettesse in subbuglio migliaia di anime e coscienze.

“Come d’aria” ha fuso critica e pubblico in un plebiscito concretizzatosi  nelle vittorie dei premi Strega, Mondello, Super Mondello e Flaiano, in una menzione speciale al Campiello e nella non comune cifra di oltre 150.000 copie vendute. Un’onda che non accenna ancora a fermarsi, come testimonia la vittoria al The Bridge che certifica la sua pubblicazione negli USA, e ha sommerso d’affetto riflesso un uomo che vive il momento più difficile della propria vita, il marito della D’Adamo Alfredo Favi.

“Come d’aria” ha fuso critica e pubblico in un plebiscito concretizzatosi  nelle vittorie dei premi Strega, Mondello, Super Mondello e Flaiano, in una menzione speciale al Campiello e nella non comune cifra di oltre 150.000 copie vendute

Da un certo punto di vista decidere di contattarlo non è facile – si può avere la sensazione di violare una volta di troppo qualcosa di intimo.  Ma l’aggiudicazione di un riconoscimento che porterà il libro della D’Adamo oltre Oceano ha un significato che ormai non riguarda solo il singolo, ma la comunità.

In una recente intervista all’AGI Chiara Valerio ha detto che la memoria ha la forma di un libro: sembrano parole dedicate a “Come d’aria”.

Io conservo tanti altri ricordi, ma certo: la memoria di mia moglie è un libro. Che testimonia di come ha vissuto e si è posta verso il destino. Attraverso questo libro, anche ora, la sua presenza non smette di essere e tenere anche me in costante relazione con le idee che ha lasciato.

“Come d’aria”, grazie anche al Premio The Bridge, sarà tradotto in inglese: per quanto sia difficile, lei è forse l’unico che possa immaginare con un buon grado di approssimazione cosa ne avrebbe pensato sua moglie. 

Ada non immaginava nemmeno di entrare tra i primi 12 dello Strega, ne ha avuto notizia con sorpresa appena prima di lasciarci. Tutto ciò che è avvenuto intorno a “Come d’aria” da quel giorno l’avrebbe sbigottita. In effetti non sapeva nemmeno se pubblicare o meno il manoscritto: l’hanno convinta le sua amiche, soprattutto Elena Stancanelli che da anni la spingeva a scrivere, il suo analista e il sottoscritto. Erano “gli altri” a crederci.

Il privato che diventa pubblico è un tema del nostro tempo: cosa cambia quando a renderlo tale non è la tecnologia – attraverso l’esposizione social – ma la letteratura?

Dietro i social non vedo pensiero, i post si bruciano nell’attimo in cui viene pubblicata una foto, digitata una frase o apposto un like. Durano il soffio di un istante,  il tempo di diventare visibili, perché subito dopo succede altro. A risultare attraente, sui social,  è prima di tutto la semplice percezione di un’immagine. Un libro invece è un testo che fa immaginare. E quando diventa messaggio è perché non rappresenta semplicemente una vita, ma un pensiero sulla vita.

Altro tema forte: entro quali limiti raccontare il dolore assume una valenza sociale?

Il dolore diventa sociale quando il suo messaggio è politico. L’idea del libro di Ada è germinata dalla lettera scritta a Corrado Augias, e pubblicata su Repubblica nel 2008, in cui denunciava la mancanza di sostegno dello Stato verso le famiglie con figli disabili. C’era dignità in quelle parole, contenevano un segno fortissimo che riguardava tutte le donne. Quando la sofferenza va oltre il personale  può assumere valenza collettiva. E’ stato questo a colpire i media, i votanti dei premi ed anche tanti giovani, come gli studenti delle superiori che all’Università La Sapienza, nell’ambito di un Convegno del Telefono Rosa, hanno recentemente indicato “Come d’aria” loro libro d’elezione. Un attestato che ha colpito la mia sensibilità più di altri.

Negli ultimi mesi lei è suo malgrado entrato da protagonista nel mondo letterario italiano, e  non solo, come testimone: sta pensando di scrivere qualcosa della sua esperienza, una memoria della memoria?

No, perché non so farlo: il linguaggio che conosco e pratico per mestiere è quello della pubblicità. E’ vero, sono autore della copertina di “Come d’aria”  e forse potrei esprimermi usando i miei codici, ma in questa fase non ho nemmeno elaborato la perdita. Ci vorrà più tempo del normale, perché sono ancora troppo impegnato  a difendere il pensiero di mia moglie ed essere presente dove lei avrebbe dovuto essere. E soprattutto, voglio evitare che il mio sentire diventi metro di lettura del suo: si deve parlare solo dell’opera. Io proteggo un lascito.

The Bridge allarga i confini della scrittura di sua moglie: ha una dedica per questo premio?

Non rida, lo dedico al Gruppo T.N.T., come scherzosamente si è autodefinito il circolo di amici che si è stretto attorno al libro dopo la scomparsa di Ada. Sono le persone, di cui ora non voglio fare i nomi, che hanno sostenuto “Come d’aria”, lo hanno portato in teatro ed in giro per l’Italia e, insieme alla casa editrice Elliot, fatto sì che una cosa piccola guadagnasse una visibilità enorme. T.N.T. è il gruppo di Alan Ford, non a caso nel fumetto un grafico pubblicitario, ed è composto da ragazzacci che ne combinano di tutti colori.

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