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Un weekend dolcissimo con il Dolce Roma Fest

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AGI – Cresce l’attesa per la prima edizione del Dolce Roma Fest – The World of Pastry, due giornate ricche di incontri che vedranno pastry chef di fama internazionale, professionisti del settore e produttori dolciari incontrare il pubblico di appassionati sul palcoscenico di Roma. Più di 100 appuntamenti animeranno i suggestivi spazi del Palazzo dei Congressi, uno dei luoghi più prestigiosi della Capitale, cornice perfetta per ospitare un programma ricco di incontri e di proposte.

Dalla cioccolateria al gelato, passando per la pasticceria secca, fino ai lievitati e al cake design, Roma Dolce Fest racchiude, in un weekend d’incontri tra aziende, addetti ai lavori e li pubblico capitolino, le migliori espressioni della pasticceria nazionale.

“Dolce Roma Fest è la naturale evoluzione del Festival della Pasticceria da noi organizzato precedentemente – commenta Giammarco Mineo, ideatore del format e con Elena Morabito e Giuseppe Cicconi nel board di Alcama, la società che cura l’organizzazione dell’evento – una crescita dettata dalla sempre maggiore attenzione che il mondo dei dolci riscuote presso il grande pubblico. Logica quindi la scelta del Palazzo dei Congressi come location, per un percorso ancora più immersivo e variegato nel magico universo della patisserie. Quella che andremo a proporre sarà un’esperienza unica nel suo genere, in grado di coniugare le produzioni dolciarie artigianali alla pasticceria d’autore, i gusti tradizionali alle tecniche più innovative, l’assaggio alla conoscenza. Una combinazione che contraddistingue il nostro formate offre una panoramica su molti talenti e sulle eccellenze dolciarie del nostro Paese”.

Dolce Roma Fest ha un programma denso di appuntamenti, che spazia dalla degustazione delle specialità di alcune tra le pasticcerie più note della scena romana e di tutta Italia, a momenti di dialogo e formazione. Oltre 35 corsi di pasticceria rivolti ad appassionati e pasticceri, per conoscere le ricette dei dolci della tradizione fino alle tecniche di cucina più moderne; tantissimi cooking show incentrati su alcuni dei dolci più iconici della Penisola, dal tiramisù al babà, fino al panettone e al maritozzo.

Non mancheranno le sfide con due contest, uno per pasticceri amatoriali e uno per professionisti; 15 le masterclass dedicate al cake design e una selezione di stand di produttori per far conoscere e assaggiare ai visitatori le proprie specialità. Sarà possibile acquistare gli stessi prodotti con i token, al moneta di acquisto Dolce Roma Fest da acquistare online o direttamente in sede d’evento.

Tanti i momenti di formazione, seminari, workshop che daranno la possibilità a professionisti e appassionati di conoscere i nuovi trend e tutte le tecniche del settore, con il talento e l’esperienza dei maestri pasticceri più talentuosi d’Italia. Allestito anche uno spazio su misura per i più piccoli con il Pasticcio MiniClub, l’area dedicata a bambini e bambine per impastare, sfornare e decorare le proprie creazioni e per imparare senza trascurare il divertimento.

Spazio anche al tema della salute e della sicurezza alimentare. Saranno molti gli incontri incentrati sulle intolleranze alimentari, sulla pasticceria vegana, gluten free e senza lattosio, per imparare a realizzare dolci per tutte le necessità senza trascurare il gusto. Grande attenzione al sostenibile con numerosi focus sulla pasticceria green, sulla ricerca e scelta degli ingredienti a km 0, con l’obiettivo dichiarato di sensibilizzare il pubblico sul tema della sostenibilità in pasticceria.

Dolce Roma Fest mette al centro del palcoscenico anche l’impegno etico e solidale: valori fondamentali che si concretizzano nella realizzazione di un villaggio di Babbo Natale in pasta di zucchero e in una raccolta fondi, entrambi destinati all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.

Non mancheranno, infine, gli incontri con le stelle del settore. Tra i tanti special guest dell’evento Damiano Carrara, uno tra i pasticceri più amati d’Italia e grande interprete della pasticceria gluten free, sarà protagonista di due imperdibili show cooking; Loretta Fanella, celebre volto della pasticceria d’avanguardia, conquisterà il palato dei visitatori con lo show cooking sweet carbonara; Giuseppe Amato, tra i migliori 10 Pastry Chef d’Italia ed insignito di molti altri premi a livello internazionale, sarà protagonista del seminario sulla sostenibilità in pasticceria; Dario Nuti, Executive Pastry Chef del Rome Cavalieri Warldorf Astoria Hotel 5 stelle L, presenterà la sua rivisitazione dei cantucci e vin santo. E ancora, in questa due giorni ad alto tasso di gusto, Sara Papa, uno dei volti più talentuosi dell’arte bianca; Irene Tolomei, pastry chef del ristorante stellato Aroma, e Salvo Leanza, gelatiere e maestro dei grandi lievitati.

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I Beatles tornano in cima alle classifiche con “Now and then”

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AGI – La discussa canzone “postuma” dei Beatles, realizzata grazie all’intelligenza artificiale, ha riportato il mitico gruppo musicale di Liverpool in testa alla classifica britannica cinquantaquattro anni dopo l’ultima volta.
Now and Then‘, pubblicata nella versione finale lo scorso 2 novembre, fu registrata da John Lennon nel 1978 e completata molti anni dopo la sua morte dagli altri membri del gruppo, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr.

L’ultima volta che un brano dei Beatles aveva raggiunto la vetta della classifica settimanale britannica fu nel 1969 con “The Ballad of John and Yoko”, come riferisce The Official Charts Company in una nota proclamando “il ritorno della Beatlemania”. Complessivamente la band, che si sciolse nell’aprile del 1970, ha scalato per diciotto volte la vetta delle hit, cominciando con “From me to You” nel 1963.

“È strabiliante. Sono sbalordito. È anche un momento molto emozionante per me”, ha commentato Paul McCartney, 81 anni. La prima traccia di “Now and Then” fu registrata da John Lennon nel suo appartamento newyorkese e dopo il suo omicidio nel 1980 la vedova Yoko Ono la consegnò in una cassetta agli ex membri del gruppo, ma questo brano cantato al pianoforte fu considerato troppo “sporco” perchè la voce di Lennon vi fosse recuperata. Soltanto le ultime tecnologie dell’intelligenza artificiale hanno permesso di isolarla e mixarla con le voci degli altri, compresa quella di George Harrison scomparso nel 2001. Il brano ha tuttavia ricevuto un’accoglienza tiepida da parte della critica: Washington Post ha giudicato il titolo “banale” e secondo il Times “è lungi da essere un capolavoro perduto”. 
 

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La Sagrada Familia non sarà più un’opera infinita. Stop ai lavori fra 10 anni

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AGI – Ancora una decina d’anni e la ‘Sagrada Familia’ potrebbe non essere più sinonimo di eterna incompiuta. Il presidente delegato del Comitato per la costruzione, Esteve Camps, ha dichiarato che la struttura sarà ultimata entro al massimo 10 anni se non ci saranno battute d’arresto come la pandemia, che ha rallentato la costruzione della basilica di Barcellona.

In un’intervista pubblicata sul settimanale d’informazione religiosa Catalunya Cristiana, Camps ha affermato che, una volta terminate le torri degli Evangelisti, il prossimo passo sarà quello di terminare quella di Gesù Cristo – la più alta dell’intero complesso architettonico – e che è prevista per 2026.

Un altro degli elementi in attesa di completamento è la facciata della Gloria, per la quale si sono candidati “artisti internazionali”. La costruzione della facciata sarà supervisionata dall’architetto direttore, Jordi Fauli, che avrà il compito di seguire il lavoro degli scultori “con il consiglio dei teologi”.

“Ci saranno un minimo di tre artisti, ma deve esserci lo stesso filo conduttore”, ha affermato Camps che ha fatto riferimento anche alla scalinata della facciata della Gloria, sottolineando che non si rinuncia “al progetto che Antoni Gaudì presentò nel 1915 e che tutti possono vedere nell’Archivio Comunale di Barcellona”.

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Al Maxxi Dalisi e Jodice per indagare il Mediterraneo

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AGI – Due mostre, con il Mediterraneo al centro, sono il primo atto della nuova governance del Maxxi di Roma. Il direttore del Maxxi Architettura Lorenza Baroncelli chiama due artisti diversi, ma legati da stessa origine e vocazione internazionale, a indagare sul Mare Nostrum come luogo di convivenza e dialogo, custode di un patrimonio culturale e identitario comune che oggi più che mai è necessario ribadire. E la lente è quella dell’arte, dell’architettura e del design.

A Riccardo Dalisi (Potenza 1931 – Napoli 2022), a un anno dalla scomparsa, dedicata una retrospettiva, mentre Mimmo Jodice è omaggiato dall’esposizione di un suo nucleo di fotografie della serie Mediterraneo, aprendo così la stagione autunnale della nuova programmazione del Maxxi Architettura.

“La sfida è quella di considerare il museo al pieno delle sue potenzialità ed essere consapevoli che la programmazione culturale è uno strumento di diplomazia culturale. Una responsabilità da interpretare con drammaticità e fantasia, proprio come ci insegnano i due artisti”, sottolinea Alessandro Giuli, presidente Fondazione Maxxi.Dalisi e Jodice sono accomunati da uno sguardo sul Mediterraneo, o forse dovremmo dire uno sguardo verso il Sud – spiega Baroncelli – entrambi hanno avuto la capacità di anticipare temi attualissimi al punto tale che ancora oggi, forse soprattutto oggi, le loro domande ci mettono in discussione. Passato e presente si intrecciano in una ricorrenza senza tempo di temi e problemi”.

 ‘Radicalmente’, l’esposizione dedicata a Dalisi, uno dei più poliedrici progettisti italiani degli ultimi decenni, presenta per la prima volta la sua opera nella sua estrema varietà e vastità, dai laboratori creativi con i bambini di Napoli (quelli al Rione Traiano sono raccontati da una serie di fotografie di Mimmo Jodice), al rivoluzionario lavoro nel campo del design; dall’architettura costruita (come la Borsa Merci di Napoli, realizzata con Michele Capobianco e Massimo Pica Ciamarra nel 1964, o gli interventi di restauro creativo nei paesi dell’Irpinia colpiti dal terremoto del 1980) a quella immaginata.

Ma ci sono anche pitture e sculture, spesso in grande formato, in cui rivivono i personaggi della cultura partenopea e mediterranea. Esposta per la prima volta la Sedia del cece, serie di disegni che Dalisi chiese, tra gli altri, a Andy Warhol, Joseph Beuys, Ettore Sottsass, Enzo Mari, Bruno Munari, Paolo Portoghesi, Gae Aulenti e Hans Hollein, avendo come punto di partenza, la suggestione di una piccola sedia realizzata da una bambina napoletana con legno di scarto e una molletta per i panni, con adagiato un cece.

Tra le sue opere più famose c’è la rielaborazione della caffettiera napoletana, frutto di una ricerca svolta tra il 1979 e il 1987 per l’azienda Alessi e premiata con il Compasso d’Oro. Questa ricerca ha generato, oltre a un modello andato in produzione, centinaia di oggetti a metà tra la caffettiera e la marionetta, in cui si fondono la ricerca funzionale, il design anonimo e la dimensione rituale del caffè, in forma di “Totocchi” (Totò Pinocchio), guerrieri, cavalieri, robot, Pulcinella e altri personaggi fiabeschi e mitologici.

Attraverso disegni, schizzi, arredi, ricami, oggetti, libri, sculture, dipinti, fotografie, documenti d’archivio, filmati e altri materiali, si scopre il carattere radicale e rivoluzionario della sua opera, sbocciata nel clima culturale e artistico della Napoli degli anni Sessanta e Settanta, espressione di una mediterraneità resistente a una modernità omologante e fallimentare nutrita di influenze ben più ampie, dal punto di vista geografico e disciplinare che la mostra punta a valorizzare.

Mediterraneo’, poi, è uno dei progetti più noti di Mimmo Jodice (Napoli, 1934), autore partenopeo tra i maggiori interpreti della fotografia contemporanea. Dal 10 novembre 2023 al 14 aprile 2024, il Centro Archivi del Maxxi Architettura espone un nucleo di fotografie vintage di questa serie, entrate a far parte della Collezione di Fotografia del museo grazie al contributo degli Amici del Maxxi.

Esposti anche documenti d’archivio, provini a contatto, interviste, materiali di studio e bibliografici per approfondire la genesi del progetto, elaborato da Jodice nel corso degli anni ’80 e ’90 quando, dopo le sperimentazioni degli anni ’60 e ’70, sviluppa un crescente interesse per i temi dell’antico, della memoria, delle origini e al contempo precisa la sua poetica incentrata sul concetto di “perdersi a guardare”, vale a dire inseguire visioni che si collocano al di fuori dalla realtà.

Tutto questo si traduce in diversi progetti dedicati alla cultura mediterranea e all’archeologia, che iniziano con una prima esplorazione dell’area a lui più vicina (Paestum, Neapolis, Pompei, Cuma, Baia) per poi estendersi al Mare Nostrum – dalla Grecia alla Tunisia, dalla Giordania alla Libia – fino ai musei di tutto il mondo.

L’incontro con gli Atleti della Villa dei Papiri al museo Archeologico di Napoli intorno al 1985, testimoniato in mostra da un video dell’epoca, rappresenta un momento di snodo per questa ricerca, che viene ripresa in modo sistematico negli anni Novanta e trova pieno riconoscimento internazionale in una grande mostra al Philadelphia Museum of Art del 1995.

In ‘Mediterraneo’ i volti e i corpi delle statue, così come le architetture, i paesaggi, le antiche rovine, i miti, sono trasfigurati attraverso profonde ombre, superfici mosse, improvvisi bagliori, assottigliamenti e dilatazioni dei contorni realizzati attraverso sapienti movimenti in camera oscura, che restituiscono la dimensione espressiva del linguaggio di Jodice.

La differenza tra i provini, presentati nelle teche, e l’opera finale mette in luce l’unicità di ogni stampa e la complessità di questo processo, raccontato dallo stesso autore in un video inedito prodotto dal Museo di Capodimonte di Napoli. 

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Cultura

Presto a Praga una via dedicata a Angelo Maria Ripellino

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AGI – Praga come luogo dell’anima, la cultura slava diffusa vivificandola negli schemi espressivi della lingua italiana, luoghi ed emozioni della Mitteleuropa illuminati con la solarità mediterranea. Angelo Maria Ripellino ha raccontato Praga con la sensibilità del poeta e ora la capitale ceca si appresta a onorarlo dedicandogli una via, sperabilmente entro il 2023, anno in cui ricorrono il centenario della nascita e il cinquantesimo della pubblicazione del suo volume più celebre: “Praga magica“.

Una petizione promossa dall’editore di Progetto Repubblica Ceca ha già raccolto numerose e autorevoli adesioni dal mondo culturale irradiandosi proprio dalla capitale, e si inserisce come punta di diamante in una serie di manifestazioni promosse dall’Istituto italiano e supportate dall’Ambasciata per ricordare e attualizzare il pensiero e gli scritti dell’intellettuale palermitano scomparso prematuramente a 55 anni a Roma.

L’ambasciatore  Mauro Marsili ha scritto al sindaco di Praga per appoggiare a titolo personale e istituzionale la proposta di intitolazione “di una via, di una piazza o di un altro spazio pubblico di Praga alla memoria di Ripellino. Un artista che non ha mai smesso di credere nella funzione creatrice e liberatrice di forme dell’arte, nel potere evocativo e catartico della parola. Ritengo inoltre che ad Angelo Maria Ripellino devono molto sia la città di Praga, sua seconda patria, che l’Italia, da lui avviata ad una conoscenza della civiltà slava e mitteleuropea con testi e strumenti di indagine che vanno al di là del perimetro accademico”.

Praga appare fisicamente nell’orizzonte di Ripellino nel 1946, fresco di laurea in letteratura slava conseguita con una tesi sulla poesia russa del Novecento. È il suo professore, Ettore Lo Gatto, a indirizzarlo verso la Cecoslovacchia, tornata democrazia dopo sette tremendi anni di Protettorato nazista e il distacco temporaneo della Slovacchia nel periodo bellico. Un Paese che riallaccia i fili col passato, la repubblica di Tomáš Garrigue Masaryk  e di Edvard Beneš nata dalla dissoluzione dell’impero degli Asburgo, in un mondo sconvolto dal secondo conflitto mondiale e dal rimescolamento degli equilibri di forze.

Ripellino tiene un corso sulla letteratura italiana del XX secolo e torna nuovamente nel 1947, anno in cui poi si sposa a Roma con la studentessa praghese Ela Hlochová. Non assiste pertanto al colpo di stato che nel 1948 cancella la Terza repubblica e sposta il Paese dal cuore dell’Europa verso il sistema sovietico. Sale in cattedra all’Università di Bologna dove insegna Filologia slava e lingua ceca e terrà quell’incarico per un quadriennio, prima di approdare alla Sapienza di Roma dove nel 1961 succederà proprio a Lo Gatto.

È autore instancabile nell’analisi e nella divulgazione firmando articoli e saggi su riviste letterarie e culturali, sui giornali e alla radio. Nel 1950 pubblica il suo primo libro, “Storia della poesia ceca contemporanea” e diviene consulente di Einaudi curando edizioni di opere di Fëdor Dosto’evskij, Aleksandr Puškin e Mikhail Lermontov. Si confronta con la realtà dell’Unione Sovietica nel 1957 e qui conosce, con il giovane Evgenij Evtušenko, Boris Pasternak di cui fa pubblicare i versi per la prima volta in Italia nel 1957.

Praga torna continuamente nella sua vita, sia come elemento di riappropriazione delle origini familiari, sia per le relazioni intessute con esponenti della cultura cecoslovacca. I suoi problemi di salute, che l’hanno già costretto a sottoporsi a un intervento e a un ricovero in Italia, lo portano nel 1965 in un sanatorio nei dintorni di Praga, esperienza che finirà in una raccolta di poesie edita da  Rizzoli. La storia bussa però nuovamente alla porta della nazione slava, con la ciclicità del numero “8” che fa davvero credere alla cabala, ai corsi e ricorsi, a un destino scritto nelle lettere e nelle cifre: la repubblica indipendente nacque nel 1918, fu colpita dalla coltellata alla schiena del Patto di Monaco nel 1938, sterzò verso il comunismo nel 1948, tenterà di riconquistare la libertà nel 1968 con una primavera gelata dal totalitarismo sovietico.

L’Espresso lo invia in quell’anno nella sua Praga che vedrà martoriata dai carri armati con la stella rossa e soffocata nelle aspirazioni di rinascita democratica. La racconta prima e dopo l’abbandono forzato dall’invasione e vi tornerà per l’ultima volta nel 1969, per una serata in onore del presidente Alexander Dubček. Poi, non potrà più. Praga da tempo, però, si è impossessata del suo cuore e della sua mente, lo ha sedotto con la bellezza, la cultura, il suono della lingua, i volti e le voci, gli echi di un grande passato e la propensione verso il futuro, e pure con il sentimento nostalgico, languoroso e straniante, di un distacco imposto e lacerante.

Elabora allora quel mondo e lo consegna nel 1973 alle pagine di “Praga magica” che è insieme atto di amore e di lucida corrispondenza di sensi, rapporto intellettuale e sublimato, slancio romantico e razionale, mistero e rivelazione, spleen et idéal. E, pure, il mondo perduto del Cabaret Viola e delle birrerie che punteggiano i dedali di Malá Strana, quello mitizzato del sognatore di Rodolfo II e della sua corte di architetti, astronomi e artisti ma anche di alchimisti e ciarlatani, quello di una città che scolorisce e ingrigisce avvolta dalla cappa ideologica conservando però sottopelle lo smalto vivido dell’identità e dell’antico splendore, del sentimento e delle idee, dei grandi autori divenuti giganti del pensiero come Franz Kafka, Jaroslav Hašek, Karel Čapek e Bohumil Hrabal, della musica di Antonín Dvořák e Bedřich Smetana, dei concerti e delle rappresentazioni al Rudolfinum e al Teatro Nazionale.

“Praga magica” fa in qualche modo pendant con “Storie del bosco boemo“, di due anni successivo, l’altro aspetto di un Paese fascinoso che stilla miti e leggende dalle pietre e dalla terra, dai fiumi e dagli alberi, dalle città e dai villaggi.

Nel centenario della nascita di Ripellino il nome dell’italiano innamorato della Cechia e propagatore instancabile della sua cultura, viaggia in lungo e in largo nella capitale sui tram e sui vagoni della metropolitana grazie alla traduzione dei versi di “Sinfonietta n. 37” a cura della scrittrice Sylvie Richterová. Un viatico per l’intitolazione di uno spazio urbano, dove passeggiare respirando “Praga magica”, che c’era e che ancora c’è.

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 La Maria Callas “privata” in mostra a Milano 

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AGI – C’è la Callas ‘privata’, più ‘intima’, quella fuori dal palcoscenico, in giro per le strade di Milano o Portofino, mentre passeggia con il suo amato barboncino, al ristorante, in aeroporto, in costume da bagno davanti al mare di Ischia, ma anche sullo yacht di Onassis o in Tribunale nei giorni in cui si discuteva la causa di separazione dal marito.

Immagini di ‘dietro le quinte’ della vita della grande cantante lirica, che in occasione del centenario della sua nascita sono esposte alle Gallerie d’Italia di Milano, dal 9 novembre al 18 febbraio, nella mostra “Maria Callas, ritratti dall’archivio di Publifoto Intesa Sanpaolo”. L’esposizione ricca di 91 immagini che il curatore Aldo Grasso ha selezionato dall’archivio dell’agenzia fotografica, coprono gli anni dal 1954 al 1970.

Scegliere non è stato facile, ha ammesso, “perchè le fotografie erano tutte significative, abbiamo usato il criterio di scegliere quelle che fossero ‘vive, soggette a continue riletture. In mostra ci sono foto che ‘parlano, al di là del dato dell’epoca ancora oggi hanno significato incredibile. Soprattutto per la vita della Callas. Sono foto di vita quotidiana, con amori e tormenti, c’è la sua vita fuori dalla scena”. Solo due immagini ritraggono il soprano al teatro, e aprono e chiudono la mostra. 

La prima è del 1 dicembre 1954, e ritrae la Callas insieme ai tre grandi direttori d’orchestra Arturo Toscanini, Victor De Sabata e Antonino Votto dopo una delle prove del La Vestale; l’ultima è del 7 dicembre 1970 e rappresenta il suo ritorno alla Scala, come spettatrice, accanto a Wally Toscanini. Tutte le altre, 89 immagini, sono di vita quotidiana, certo sempre di una star, quindi al veglione a Monte Carlo, sul megayacht o a Capri.

Il formato è quello originale, come ha osservato Giovanni Bazoli, Presidente emerito di Intesa Sanpaolo. “Ho trovato giusto lasciare le foto nel loro formato. Oggi una rarità perchè ci sono tali possibilità di valorizzarle. Ma queste foto così piccole obbligano il visitatore ad avvicinarsi e a leggere le didascalie. Mi ha dato una grande emozione, mi è parso di conoscerla.

Fu proprio questa agenzia d’altra parte a fare lo ‘scoop’ dell’affaire tra la Divina e Onassis, il 3 settembre del ’59 a Milano. In mostra c’è l’evoluzione di Maria Callas, la sua ‘trasformazione da ‘ciabattona’, come l’aveva definita poco gentilmente la cognata, a cigno che riesce a entrare in un aderente tubino confezionato dalla stilista più famosa del tempo, Biki. E che si emancipa dal marito, rimasto un pò provinciale e che male si integrava nel jet set internazionale del quale lei ormai faceva parte, frequentando anche la principessa Grace.

E il suo grande amore, l’armatore Onassis “che per lei era la rivincita sulla brutalità della vita”. La scintilla scoccò sul panfilo Christina, di cui ci sono diverse foto. Ma la relazione come è noto non ebbe un epilogo felice. A consolarla ebbe accanto gli amici di una vita, Antonio Ghiringhelli, Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Franco Zeffirelli e naturalmente Pier Paolo Pasolini, con cui girò il film Medea.

Ogni foto è una tessera di un mosaico che non finirà mai, ma “una mi ha folgorato – dice Aldo Grasso – è del ’55. Ritrae una cena al Savini, al suo fianco c’è Visconti, si intravede Ghiringhelli, Meneghini in un angolo. E c’è un signore che porte alla Callas un mazzo di rose, mi colpisce il gesto, l’omaggio, era Valentino Bompiani. Callas resiste nel tempo perchè diventa un mito, che si tramanda alimentato dai racconti”.

L’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo è “l’isola del tesoro”, ricca di testimonianze. Negli anni presi in riferimento tra l’altro la tv era agli esordi, nata nel ’54. Quello era il periodo dei grandi rotocalchi, per i quali Publifoto lavorava.

“Abbiamo sia foto posate, tra cui l’unica a colori, insieme al marito, Giambattista Meneghini, che la guarda adorante, nel salotto della casa milanese in via Buonarroti, o in atelier mentre prova gli abiti, sia foto rubate, catturate – spiega il curatore Aldo Grasso -. Sono foto che ci raccontano la sua vita, con i personaggi che ne fanno parte”.

 

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Cultura

Cinema del Mediterraneo, al via il Festival

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AGI – In un momento drammatico per tanti dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, parte stasera al Maxxi la ventinovesima edizione del MedFilm Festival, la rassegna del cinema del Mediterraneo. Per 11 giorni si potranno incontrare i protagonisti del grande schermo e assistere in sei diversi luoghi romani, oltre che online, ad anteprime e visioni di film provenienti da 40 Paesi.

Come ha scritto nella sua introduzione la fondatrice e direttrice artistica del Festival, Ginella Vocca, “sono tempi che attentano alla pace, spargono il sangue e ritrovano l’homo homini lupus: arrendersi all’esistente è rischio sensibile e sciagura incipiente”. Proprio contro questo rischio il Festival “rimane dentro la sua vocazione di essere immagine e immaginario di vita, dove si incontrano istituzioni e società civile, per vedere e soprattutto ascoltare, le voci di chi è considerato “gli altri”, le voci di un Mediterraneo di vita e di ipotesi di futuro da costruire insieme”.

I film in concorso sono 8, da 8 Paesi diversi; quello che inaugura il festival è Endless Borders del regista iraniano Abbas Amini, dedicato al tema purtroppo sempre più attuale dell’esilio e dei rifugiati. L’ospite d’onore dell’edizione, nel semestre di presidenza del Consiglio Ue, è la Spagna, con un premio alla carriera alla madrina del festival, l’attrice spagnola Angela Molina. Ci sarà poi un focus speciale sulla figura della grande cantante greca Maria Callas, “voce del Mediterraneo” nel centenario della nascita. 

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A Roma la mostra che racconta Tolkien

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AGI – Una mostra per raccontare, l’uomo, il docente, l’autore di uno dei libri più conosciuti del ‘900. “Tolkien. Uomo, Professore, Autore” è la mostra ospitata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea dal prossimo 16 novembre all’11 febbraio dell’anno prossimo. Un viaggio che permetterà agli appassionati e al grande pubblico di comprendere John Ronald Reuel Tolkien, creatore della celebre epopea della “Terra di Mezzo”, straordinario conoscitore del mondo antico, a cinquant’anni dalla sua scomparsa e dalla prima edizione italiana de ‘Lo Hobbit‘.

La mostra romana, la prima esposizione di queste dimensioni mai dedicata in Italia allo scrittore, è ideata e promossa dal Ministero della Cultura, con la collaborazione dell’Università di Oxford, realizzata da Creare Organizzare Realizzare con la curatela di Oronzo Cilli e la co-curatela e l’organizzazione di Alessandro Nicosia. Roma  sarà la prima tappa di un percorso che proseguirà nel 2024 in altre città italiane. 

Rispetto alle grandi mostre allestite a Oxford (2018), Parigi (2020) e Milwaukee (2022), che hanno esaltato particolari aspetti delle opere letterarie dello scrittore inglese, questa pone Tolkien al centro di tutto, raccontando l’uomo, il padre e l’amico; ma anche l’accademico, autore di studi e pubblicazioni ancora oggi fondamentali nello studio della letteratura in antico e medio inglese; e il narratore e sub-creatore della “Terra di Mezzo“. Ci sarà anche spazio per tutto ciò che ha ispirato nell’arte, nella musica e nel mondo dei fumetti. 

L’immersione nell’universo da lui creato si realizza mediante un articolato percorso espositivo tra manoscritti autografi, lettere, memorabilia, fotografie e opere d’arte ispirate alle visioni letterarie di un autore unico e poliedrico. Uomo del suo tempo, romanziere, linguista e filologo, il professore di Oxford viene raccontato nella sua complessità artistica e umana. Particolare rilevanza viene data al suo rapporto con l’Italia.

“Sono innamorato dell’italiano, e mi sento alquanto sperduto senza la possibilità di provare a parlarlo”, si legge in una sua lettera, e nella rassegna non mancano le testimonianze del viaggio a Venezia e Assisi nel 1955, cosi’ come i tanti contatti, diretti e indiretti, con studiosi e intellettuali del nostro Paese. Spazio anche agli adattamenti cinematografici vecchi e nuovi, dal film d’animazione di Ralph Bakshi alla trilogia de ‘Il Signore degli Anelli’ del regista Peter Jackson, capace di rappresentare sul grande schermo una delle saghe piu’ ambiziose e popolari della letteratura mondiale conquistando 17 premi Oscar.

Molte le istituzioni internazionali coinvolte nel processo di collazione della documentazione: l’Archivio Apostolico Vaticano, la Bibliothe’que Alpha dell’Università di Liegi, l’Università di Reading, l’Oratorio di San Filippo Neri di Birmingham, il Venerabile Collegio Inglese di Roma, la Tolkien Society, la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, la Biblioteca civica di Biella, le case editrici Astrolabio-Ubaldini e Bompiani, il Greisinger Museum di Jenins e la Warner Bros Discovery.

Il catalogo che accompagna la mostra si avvale dei contributi di Adriano Monti Buzzetti Colella, Giuseppe Pezzini, Emma Giammattei, Francesco Nepitello, Chiara Bertoglio, Gianluca Comastri, padre Guglielmo Spirito, Fabio Celoni, Davide Martini, Roberta Tosi, Salvatore Santangelo, Stefano Giuliano, Claudio Mattia Serafin, Gianfranco de Turris, Paolo Paron e Domenico Dimichino.
 

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Una targa per Mario Tronti. Renato Zero: “Mio zio, politico del popolo”

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AGI – Scoperta una targa in via Ostiense 56 in memoria di Mario Tronti, filosofo e politico italiano nato nel 1931 e morto lo scorso 7 agosto. Tronti era considerato uno dei principali fondatori ed esponenti del marxismo operaista teorico degli anni sessanta. Insegnò a lungo all’università di Siena ma visse per molto tempo a Roma, data anche l’attività di parlamentare. La targa è stata scoperta dalla moglie e dal presidente dell’ottavo municipio Amedeo Ciaccheri alla presenza del cantautore romano Renato Zero nipote per parte di madre, di Mario Tronti.

“Finalmente giustizia – ha detto all’AGI l’artista – questi esempi meravigliosi in questo nostro paese che da qualche tempo a questa parte è smemorato, non ha idea di quello che è stato, sono importanti. Forse è la nostra piccolezza che non ci permette di valorizzare chi ci ha rappresentato”.

Mario Tronti, aggiunge Renato Zero, “è stata la punta di diamante della nostra famiglia ma in più, ha dato  un contributo davvero tangibile alla causa degli operai italiani, al rinnovamento di certe mentalità ristrette. E poi la politica prende sempre delle direzioni abbastanza incomprensibili perché l’urgenza diventa burocrazia e il bisogno diventa negligenza. Mio zio non era così. E siamo qui non solo perché era mio parente ma anche perché era un esempio per tutti. Non ha mai mollato, non aveva velleità. Andava in Senato con il tram. Ha sempre condiviso umilmente il suo pensiero e aveva doti di aggregazione. Oggi è diverso, il politico va, presenzia ma non aggrega. Stare nel cosiddetto Palazzo, non è il posto migliore per aiutare gli italiani”. Mario Tronti era cugino della mamma di Renato Zero, la signora Ada. 

Sulla targa posta alla sinistra del portone d’ingresso, come ha ricordato il presidente del municipio c’è scritto: “Sono cresciuto nel quartiere Ostiense di Roma, una periferia urbana, i miei lavoravano ai mercati generali, mio padre faceva lo scaricatore ed era comunista, mia madre aveva un banchetto. Gli operai e i tramvieri della sezione Ostiense del Pci dove mi sono iscritto negli anni ’50, sono stati la mia scuola politica. Mi insegnavano che cos’era la lotta per la buona causa e le regole per ben condurla. Considero tutto questo il mio plusvalore umano”.

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Cultura

Milano, in coda per ‘Amazonia’ di Salgado. Mostra prorogata fino al 28 gennaio

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(AGI) – Sarà prorogata fino al 28 gennaio 2024 la mostra di Sebastiao Salgado, ‘Amazonia’, alla Fabbrica del Vapore di Milano curata da Lélia Wanick Salgado, compagna di viaggio e di vita del grande fotografo. Sono stati i numeri, costantemente alti, degli ingressi a imporre questa scelta al centro artistico e culturale polifunzionale meneghino.

Dopo il progetto ‘Genesi’, dedicato alle regioni più remote del pianeta per testimoniarne la maestosa bellezza, Salgado ha intrapreso una nuova serie di viaggi per catturare l’incredibile ricchezza e varietà della foresta amazzonica brasiliana, con gli usi e i costumi delle popolazioni che vi abitano. Per riuscirci, il maestro ha vissuto nei loro villaggi per settimane, condividendone il quotidiano e fotografando le popolazioni indigene incontrate via via.

Un progetto complesso, durato sette anni, durante i quali ha fotografato la vegetazione, i fiumi, le montagne e le persone. “Non so se Salgado sia più un grande artista o un benefattore dell’umanità”, aveva affermato il Sindaco di Milano Giuseppe Sala presentando il maestro brasiliano durante l’inaugurazione della mostra, lo scorso 12 maggio. “In Amazzonia – aveva aggiunto – ha realizzato un’opera di forestazione da cui tutti noi dobbiamo imparare e ha fatto un regalo immenso all’umanità”: 

Per Sebastiao Salgado, queste immagini testimoniano ciò che ancora sopravvive a dispetto della progressiva scomparsa di cui è vittima la più grande foresta pluviale tropicale del Pianeta: “il mio desiderio, con tutto il cuore, con tutta la mia energia, con tutta la passione che ho dentro – ha sottolineato il fotografo brasiliano –  è che tra 50 anni questa mostra non assomigli a una testimonianza di un mondo perduto”. “L’Amazzonia deve continuare a vivere e avere sempre, nel suo cuore, i suoi abitanti indigeni.”

Con oltre 200 fotografie esposte, ‘Amazonia’ propone di immergersi totalmente nella realtà amazzonica ma anche di sensibilizzare i visitatori.

La mostra si sviluppa attorno a due temi. Il primo è costituito dalle fotografie di ambientazione paesaggistica, con le sezioni che vanno dalle vedute aeree della foresta ai fiumi volanti: la foresta amazzonica è l’unico luogo al mondo dove il sistema di umidità dell’aria non dipende dall’evaporazione degli oceani. Ogni albero disperde centinaia di litri d’acqua al giorno, creando il singolare fenomeno dei “fiumi volanti”, correnti d’aria cariche di umidità che originano dalla traspirazione delle piante nelle foreste pluviali e sono anche più grandi del Rio delle Amazzoni.

L’allestimento prosegue con la sezione sulla foresta, per finire con il parco di Anavilhanas – Isole nella Corrente, l’arcipelago che conta tra le 350 e le 450 isole di ogni forma immaginabile che emergono dalle acque scure del Rio Negro. Il secondo corpo di immagini è dedicato alle diverse popolazioni indigene incontrate nel suo lungo viaggio mentre al centro del percorso espositivo si trovano tre alloggiamenti che rappresentano le case indigene chiamate “ocas”.

Le fotografie delle popolazioni dell’Amazzonia, un centinaio in tutto, sono intervallate da interviste video dei leader indigeni. La mostra include i ritratti degli esponenti di ben 12 gruppi indigeni che Salgado ha immortalato nei suoi numerosi viaggi.

Come spiegato dallo stesso Salgado, “questa mostra vuole ricreare l’ambiente della foresta amazzonica, che ho vissuto, documentato e fotografato per sette anni, dando la possibilità al visitatore di immedesimarsi e immergersi sia nella sua vegetazione rigogliosa sia nella quotidianità delle popolazioni native”.

Il maestro, in occasione dell’inaugurazione, non aveva fatto mistero di essere “particolarmente felice” di tornare a esporre a Milano. “Una città – aveva precisato – che ha dato sempre molto spazio al mio lavoro, offrendo ai cittadini l’occasione di vedere immagini che testimoniano ciò che resta di questo patrimonio immenso e che rischia di scomparire”.

Salgado, da sempre artista e fotografo impegnato, crede fermamente che spetti proprio all’essere umano fare la propria parte per contribuire a tutelare il patrimonio amazzonico, “affinché la vita e la natura possano sottrarsi a ulteriori episodi di distruzione e depredazione”. 

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