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Fiorello: “Non condurrò mai Sanremo: non è mio mestiere”

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AGI – “Condurre Sanremo? Non è il mio mestiere, non lo avete ancora capito? Quando mi chiedono ‘quando condurrai Sanremo’ non dico che mi offendo ma quasi. Io faccio altro, se conducessi Sanremo dopo la quarta canzone presentata mi sarei già stufato”. Lo ha detto Fiorello rispondendo a una domanda su Sanremo nel corso della conferenza stampa di presentazione del programma Viva Rai2!.

“Ho fatto cinque Sanremo di fila – ha ricordato – quest’anno andremo molto probabilmente, sicuramente. Ci andiamo?” ha chiesto all’ad Rai, Roberto Sergio, seduto al suo fianco nella sala di via Asiago. “Sì, andremo” ha risposto l’ad. 

“Come ospite o come concorrente mi piacerebbe vedere Calcutta sul palco di Sanremo“. Lo ha detto Fiorello rispondendo ai giornalisti al termine della conferenza stampa di presentazione di ‘Viva Rai2!’ a viale Asiago

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‘Peda’gio’ di Carolina Markowicz trionfa alla Festa del cinema di Roma

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AGI – ‘Peda’gio (Toll)’ di Carolina Markowicz vince il premio come miglior film della 18esima Festa del cinema di Roma. Il riconoscimento è stato assegnato da una giuria presieduta dall’attore, regista e produttore Gael Garcia Bernal e composta dalla regista britannica Sarah Gavron, dal regista, sceneggiatore e poeta finlandese Mikko Myllylahti, dall’attore e regista francese Melvil Poupaud e dall’attrice e regista italiana Jasmine Trinca.

Il film di Markowicz, una produzione Brasile/Portogallo, è interpretato da Maeve Jinkings, Kauan Alvarenga, Thoma’s Aquino, Aline Marta Maia e Isac Graca. Il film è ambientato a Cubatao, città della regione metropolitana di Sao Paulo, che si vanta di un primato ecologico ma è tra le più industrializzate del Brasile, sospesa tra il verde della campagna e i fumi della polluzione.

Lo skyline contraddittorio di Cubatao domina il secondo film di Carolina Markowicz (autrice del durissimo ‘Charcoal’, 2022), e tra le pieghe della città si muovono Suellen, addetta al pagamento del pedaggio sulla trafficatissima autostrada, e suo figlio Tiquinho, diciassettenne appassionato di dive classiche, che si riprende mimando le loro canzoni, indossando golfini rosa e circondato di luci stroboscopiche. Le esibizioni di Tiquinho finiscono on line e Suellen è in imbarazzo, per cui decide di iscrivere il figlio a un seminario di riconversione sessuale. Surreale e quotidiano, un dramma di tutti i giorni intinto nell’ironia.

Gli altri riconoscimenti

‘C’è ancora domani’ di Paola Cortellesi vince due importanti riconoscimenti, il premi speciali della Giuria (insieme a ‘Achilles’ di Farhad Delaram e ‘The Monk and The Gun’ di Pawo Choyning Dorji) e il Premio del Pubblico.

Il Gran Premio della Giuria va a ‘Urotcite Na Blaga (Blaga’s Lessons)’ di Stephan Komandarev, quello che la miglior regia a Joachim Lafosse per ‘Un silence (A Silence)’. Miglior attrice – Premio “Monica Vitti” va a Alba Rohrwacher per ‘Mi fanno male i capelli’, mentre quello per miglior attore – Premio “Vittorio Gassman” a Herbert Nordrum per ‘Hypnosen (The Hypnosis)’. Miglior sceneggiatura della festa del cinema a Asli Ozge per lack Box. 

Una giuria presieduta dal cineasta Paolo Virzì e composta dalla produttrice e distributrice francese Adeline Fontan Tessaur e la drammaturga e sceneggiatrice Abi Morgan ha assegnato il Premio Miglior Opera Prima Bnl Bnp Paribas (scelta fra i titoli delle sezioni Concorso Progressive Cinema, Freestyle e Grand Public), al film: ‘Cottontail’ di Patrick Dickinson. Sono state inoltre assegnate due Menzioni Speciali Miglior Opera Prima Bnl Bnp Paribas ai film ‘C’è ancora domani’ di Paola Cortellesi e ‘Avant que les flammes ne s’eteignent (After the fire)’ di Mehdi Fikri.

Una giuria presieduta dall’attrice francese Philippine Leroy-Beaulieu e composta dal regista e sceneggiatore italiano Alessandro Aronadio e la sceneggiatrice italiana Lisa Nur Sultanha assegnato il Premio “Ugo Tognazzi” alla Miglior commedia (scelta fra i titoli delle sezioni Concorso Progressive Cinema, Freestyle e Grand Public), al film ‘Jules’ di Marc Turtletaub. È stata inoltre assegnata la Menzione Speciale del Premio “Ugo Tognazzi” ad Asta Kamma August e Herbert Nordrum per ‘Hypnosen (The Hypnosis)’.

Lo scorso maggio è stato lanciato il bando per il Premio SIAE Cinema che va al progetto con la migliore sceneggiatura – scritta da uno sceneggiatore o una sceneggiatrice under 35 di nazionalità italiana o residente stabilmente in Italia – per la realizzazione di un’opera prima o seconda. Il riconoscimento del valore di 150 mila euro è destinato alla produzione italiana che realizzerà il film tratto dalla sceneggiatura vincitrice. I progetti sono stati valutati da una giuria composta dallo sceneggiatore Nicola Guaglianone, il produttore cinematografico Carlo Cresto-Dina e il compositore Pivio che ha premiato ‘Il primo figlio’ di Mara Fondacaro. 

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“Il potere di uccidere”. Il giallo di Roncone che racconta Roma e la politica  

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AGI – Non dite che “Il potere di uccidere” di Fabrizio Roncone è un romanzo giallo. La storia misteriosa c’è, l’indagine e i carabinieri pure. E nelle pagine spuntano killer e politici senza scrupoli. Ma “Il potere di uccidere” va oltre.  Il libro, edito da Marsilio, è una finestra su Roma, sulla ‘grande bellezza’ che troppo spesso rimane ostaggio della sua antitesi, la ‘grande bruttezza’ che contagia modi di essere e di pensare degli eredi di Romolo e Remo. Il volume è anche un ritratto del Potere, con le sue liturgie e i suoi lati più oscuri. Una fotografia scattata dall’inviato del ‘Corriere della Sera’, noto per essere il più beffardo dei castigatori della casta. 

Nelle 270 pagine convivono almeno tre libri diversi, che tengono incollati gli appassionati della politica e gli amanti della città eterna. Il protagonista è un ex giornalista licenziato per aver dato uno schiaffone al ministro dell’Interno. Chissà se è mai stato un desiderio dell’autore. Il suo alter ego letterario ha aperto una vineria nel cuore di Roma ma si occuperà di un caso spinoso: cercare il figlio del vecchio capo della tipografia del giornale, misteriosamente scomparso dopo aver lavorato come autista per un politico corrotto, l’onorevole Pignataro, uno di quelli senza coscienza, con una Jaguar e un odio viscerale verso il suocero. 

Quella della politica non è l’unica pista su cui si concentreranno Paraldi e la sua amica Chicca, di vent’anni più giovane, innamorata di lui da tempo. Impressiona la capacità di Roncone di illuminare dettagli che arricchiscono il racconto e l’uso della tagliente ironia che è il suo marchio di fabbrica. Con una vena di speranza che s’intravede tra le righe e senza i moralismi tipici di una parte dei cronisti che raccontano la politica: “Meritano rispetto le nostre esistenze, che sono quasi sempre disperati tentativi di restare in bilico sul precipizio. Paraldi ancora guarda giù, certe volte” scrive Roncone. Disincantato ma pronto a tutto, con lo sguardo dei vecchi cronisti che del precipizio hanno fatto un’arte. Quella di stare al mondo.

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Sgarbi nella ‘bufera’ per le consulenze. Sangiuliano: “Devo rimediare ai suoi guai”

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AGI – E’ di nuovo ‘bufera’ su Vittorio Sgarbi: dopo le polemiche di luglio legate a sue dichiarazioni finite nel mirino come sessiste e sopra le righe in occasione di un evento al Maxxi, il sottosegretario alla Cultura è nell’occhio del ciclone questa volta per l’accusa di avere percepito denaro in violazione di una norma che riguarda i componenti di governo.

A scriverne è il Fatto Quotidiano che ha parlato di 300mila euro in consulenze, presentazioni e mostre, emolumenti incassati dall’inizio, ancorchè riscossi anche attraverso società intestate a un suo collaboratore o alla fidanzata del sottosegretario. 

Compensi incompatibili, fa rilevare l’inchiesta giornalistica, con la carica, in base a quanto disposto dell’articolo 2 della legge 215/2004: “Il titolare di cariche di governo non può esercitare attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse alla carica di governo, di qualunque natura, anche se gratuite, a favore di soggetti pubblici e privati”. 

“Se ho guadagnato 300mila euro in 9 mesi? Non lo so, forse è una cifra sottostimata, spero che siano molti di più”, ha risposto sempre sui giornali lo stesso Sgarbi. 

“La mia attività non è vietata dalla legge. Sono come un ministro che scrive libri”, ha aggiunto, sostenendo di avere una lettera dell’Anac che giustifica le sue “attività divulgative”. 

Le “illazioni” della stampa per Sgarbi “nascono dalle denunce di un mio collaboratore con lettere anonime. Ma sono infondate. E comunque non prendo una lira dal ministero per le missioni”. 

Anche a fronte di nuove indiscrezioni di stampa, è il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che già a luglio aveva riferito al Parlamento, a prendere le distanze, sempre dalle colonne dello stesso quotidiano, dal ‘suo’ sottosegretario. 

“Non sapevo nulla delle consulenze. Ho già avvertito Meloni. Del resto – ha puntualizzato il ministro – non l’ho voluto io. Cerco di tenerlo a distanza e di rimediare ai suoi guai”. 

Sgarbi, che definisce “falsa” l’intervista di Sangiuliano, non ha alcuna intenzione di mollare: c’è la possibilità che si dimetta? “Nessuna”, ha risposto ad Affaritaliani.it, rivendicando, tra l’altro, che “ogni libera prestazione, conferenza, spettacolo, deve essere pagata”. 

Sul ‘contenzioso’ in atto, è intervenuta l’opposizione. “Il Partito democratico si associa alla richiesta di informativa in aula del ministro Sangiuliano – ha commentato la deputata dem Irene Manzi, capogruppo Pd in commissione Cultura -. Questa mattina siamo rimasti abbastanza stupiti, leggendo le dichiarazioni del ministro che sostanzialmente ha scaricato sulle spalle della presidente del Consiglio, la soluzione dell’affaire Sgarbi. Quello che vogliamo evidenziare è la gravissima inopportunità rispetto al ruolo di un rappresentante delle istituzioni”. 

La procura di Roma, al momento, non ha avviato alcuna inchiesta per questa storia delle consulenze. A piazzale Clodio è, invece, ancora aperto, ma è alle battute finali, il procedimento che vede indagato il critico d’arte per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Una vicenda che riguarda l’acquisto di un quadro ad un’asta e che risale all’ottobre del 2020.

Seconda l’accusa Sgarbi non ha pagato i debiti con l’Agenzia delle Entrate per un totale di circa 715 mila euro. A luglio il sottosegretario ha ricevuto l’elezione di domicilio, ma non è stato ancora ascoltato dai pm. 

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Saranno pubblicate migliaia di pagine inedite di Salinger

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AGI – Lo scrittore americano J.D. Salinger, autore de “Il giovane Holden” ha lasciato alla sua morte nel 2010 migliaia di pagine inedite che saranno pubblicate quando suo figlio ed esecutore testamentario, Matt Salinger, finirà il lavoro di trascrizione.

Era il 1963 quando J.D Salinger, nato a New York nel 1919, pubblicò l’ultimo dei suoi libri, “Sollevate l’architrave, carpentieri / Seymour: un’introduzione”, e da allora, 60 anni fa, ha pubblicato solo una storia sulla rivista New Yorker.

Il cosiddetto “blackout Salinger” fu un silenzio che divenne una delle leggende letterarie più intriganti, quella dello scrittore che aveva deciso di rinunciare a pubblicare, alla fama, alle interviste e alle apparizioni pubbliche, e di ritirarsi per il resto della sua vita.

Ma non smise mai di scrivere e, quando morì, disse al figlio “molto chiaramente”: “Pubblica tutto, anche ciò che era brutto. Sebbene in quelle pagine ci sia più bellezza che bruttezza”, ha detto Matt Salinger in un incontro con i giornalisti a Madrid.

Matt Salinger, che insieme alla vedova del padre gestisce la sua eredità letteraria, è in Spagna per una serie di incontri per il 70esimo anniversario della pubblicazione del primo volume di racconti del padre – “I nove racconti”, che contiene il famoso “Una giornata perfetta per i pesci banana”.

Il lavoro di trascrizione andrà avanti ancora per un anno e mezzo o due ha detto Matt Salinger. Il Salinger che il lettore troverà nei suoi inediti è lo stesso del resto della sua opera, poiché “seguì sempre la ricerca dei valori dell’arte, della bellezza, della gentilezza, con un senso di umorismo particolare”, ha precisato il figlio, avvertendo però che “ci saranno delle sorprese”. 

Matt Salinger ha anche ricordato che l’aver preso parte alla Seconda Guerra Mondiale e alla liberazione dei campi di concentramento nazisti hanno influenzato la scrittura del padre e gli abbiano fatto apprezzare ancora di più la bellezza, l’amore e ciò che di effimero c’è nella natura. 

Ma anche che suo padre mantenne vivo per tutta la vita il conflitto sulla decisione se continuare o meno a pubblicare, un impegno che, temeva, avrebbe portato via tempo alla scrittura.

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Al via un restauro lungo 14 anni, Il Museo di Pergamo di Berlino riaprirà nel 2037

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AGI – Per un restauro che durerà ben 14 anni, ha chiuso le porte il Museo di Pergamo, il più visitato a Berlino, la cui riapertura è prevista non prima del 2037. Si tratta di lavori vitali per il polo museale che ospita tesori archeologici spettacolari, come la Porta babilonese di Ishtar che ha 2600 anni.

L’intervento dovrà rafforzare le fondamenta pesantemente danneggiate dal peso fisico delle collezioni e dal tempo, in quanto il museo è costruito sul letto di un fiume dell’era glaciale. L’usura dell’edificio e i danni permanenti risalenti alla Seconda Guerra Mondiale hanno causato perdite d’acqua durante le ultime piogge.

“E’ un intervento urgente. L’edificio è in pessime condizioni e sta crollando“, ha spiegato Barbara Helwing, direttrice del Museo del Vicino Oriente antico dei Musei statali di Berlino. Si tratta quindi di un’impresa titanica dal costo stimato in quasi 1,5 miliardi di euro per proteggere le preziose collezioni e garantire la sicurezza dei visitatori.

L’ala nord del museo era già stata chiusa per lavori di ristrutturazione nel 2012 e l’altare di Pergamo è già nascosto dietro le impalcature dal 2014. Se tutto andrà secondo i piani, questa sarà la prima parte del museo che potrà essere nuovamente visitata nel 2027.

Migliaia di oggetti – sculture, urne, tappeti – saranno immagazzinati nei depositi, mentre una piccola parte verrà prestata ad altri enti. Grandi monumenti, come la Porta babilonese di Ishtar, protetti da una copertura, rimarranno invece al loro posto durante i lavori. 

Le critiche ai lavori programmati non mancano, in particolare sui costi esorbitanti della ristrutturazione e sul fatto che non sarà un museo ecologico, ad eccezione di qualche pannello solare.

“Quando sarà completamente ristrutturato nel 2037, il Pergamon Museum sarà, in termini di tecnologia climatica ed energia, un edificio del passato alimentato da combustibili fossili”, ha sottolineato sul settimanale tedesco Die Zeit il critico di architettura, Nikolaus Bernau.

Altro problema in prospettiva: la possibile richiesta di restituzione di alcune opere, mentre sempre più istituzioni occidentali riconsegnano beni culturali ai Paesi di provenienza, in Africa e Asia. Sul quotidiano tedesco Tagesspiegel, l’archeologa del Ministero della Cultura turco, Zeynep Boz, si è chiesta se la Germania avesse davvero il diritto di possedere l’altare di Pergamo, pertanto durante i lavori di ristrutturazione proseguiranno le ricerche sulla provenienza delle collezioni del museo.

Inaugurato nel 1930, il Pergamon Museum attira più di un milione di visitatori all’anno quando tutte le mostre sono accessibili. Negli ultimi mesi l’annuncio di questa profonda ristrutturazione ha attirato berlinesi e turisti desiderosi di dare un’ultima occhiata ai capolavori ospitati.

Dopo aver scoperto le rovine dell’altare romano di Pergamo nell’attuale Turchia, tra il 1878 e il 1886, gli archeologi tedeschi le trasferirono a Berlino, in base a un accordo tra la Germania e l’Impero Ottomano. La ricostruzione di questo altare durò fino al 1902. Il Museo di Pergamo, la cui architettura ricorda un antico tempio, fu a suo tempo appositamente progettato per esporre e mettere in risalto in particolare questo altare e la Porta babilonese di Ishtar. 

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Biglietto nominativo al Colosseo, Sangiuliano pensa di estenderlo

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AGI – I biglietti nominativi per il Colosseo stanno dando un riscontro “positivo“. A dirlo è il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, a margine di un convegno a Nocera Superiore.

“Abbiamo organizzato tutto in pochissimo tempo perché abbiamo ereditato una situazione disastrosa di contenziosi, di gineprai legali. Per esempio, c’era un concessionario che da vent’anni, senza gara, veniva prorogato. Per il Colosseo sta andando bene, e laddove è necessario potrebbe anche essere replicato”, conclude Sangiuliano. 

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Zubin Mehta è morto, anzi no. Chi è il ‘bufalaro’ che ha diffuso la notizia

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AGI – Un lavoro ‘di fino’ iniziato addirittura a maggio scorso, con l’apertura di un account (fasullo) a nome dell’ufficio stampa della Filarmonica di Los Angeles. Qualche post, alcuni retweet e poi il colpo: l’annuncio della morte di Zubin Mehta.

Seguito dopo circa tre ore da una dicitura ormai diventata familiare nel mondo dei ‘bufalari’ e delle loro vittime: “Questo è un account falso creato da Tommaso Debenedetti”. ‘Ancora lui’ hanno sospirato quelli che da più di una decina d’anni ormai si destreggiano nel campo minato delle fake disseminate da Debenedetti.

‘Ancora lui’ deve aver sospirato chi per anni ha dato credito a interviste totalmente inventate a personaggi di caratura spacciate a giornali di medio cabotaggio. Ma chi è Tommaso Debenedetti e perchè da nipote di un celebratissimo critico letterario e figlio di apprezzato giornalista è finito a fare lo spacciatore di bufale?

La panzana come forma d’arte, si potrebbe dire. Volendo si potrebbe addirittura citare il piè illustre dei precedenti, la ‘Guerra dei mondi’ di Orson Welles diffusa via radio in un’America incredula. Ma qui siamo in tutt’altra sfera e la storia di Debenedetti la illustra bene.

A smascherarlo, nell’aprile del 2010, fu un’intervista a Philip Roth in cui una giornalista chiedeva allo scrittore di approfondire un discorso sul disincanto dell’America nei confronti di Barack Obama di cui aveva parlato in un’intervista a un altro quotidiano.

Ma Roth, orripilato, smentiva di aver mai detto quelle cose e di aver mai rilasciato un’intervista a quel giornale. Alla faccenda si appassionò il New Yorker che, si sa, non molla l’osso facilmente e scopriì che oltre ad aver inventato di sana pianta l’intervista a Roth, Debenedetti aveva fatto lo stesso con John Le Carrè, Gore Vidal, Herta Mueller e David Grossman. Fine carriera. Almeno quella di (pseudo) intervistatore.

Ma iniziò di quella di ‘bufalaro’ di professione, agevolata dalla diffusione dei social network e dalla facilità di creare falsi profili. Uno dei colpi più clamorosi risale al 2018 quando fece dire, attraverso un account fake, al ministro della cultura greco che era morto Costa Gavras, finchè non fu il regista in persona a smentire la notizia in diretta tv, dopo che l’Associated Press e poi molti media internazionali l’avevano ripresa.

Come avrebbe amato dire Mark Twain, “spiacente di deludervi, ma la notizia della mia morte è grossolanamente esagerata”. Salvo scoprire che anche questa citazione è un fake. 

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Il “nemico” che salvò Pietro Nenni dall’arresto 

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AGI – Marzo 1942. La Francia è spaccata a metà da due anni: il nord e Parigi sono occupati direttamente dalla Germania nazista; nel centro-sud è stato instaurato il regime di Vichy, libero solo sulla carta.

L’ex segretario del Psi, Pietro Nenni, si è rifugiato in un piccolo paese sui Pirenei francesi, sperando di non essere notato. Anche se si trova in una zona della Francia “libera”, infatti, la collaborazione di alcuni elementi del governo di Vichy con il regime nazista è forte. Il suo nome, inoltre, figura in un elenco di elementi antifascisti di cui Mussolini ha chiesto l’estradizione in Italia. 

In quei giorni viene redatta una nota interessante, che contribuisce a salvare Nenni dall’arresto. A scriverla è Angelo Tasca: storico e giornalista di spessore, ma anche un ex comunista, che, iscrittosi al Psi a metà degli anni ’30, era diventato il principale avversario politico di Nenni.

Dopo il crollo della Francia, Tasca aveva deciso di sostenere le autorità di Vichy e questo gli consentiva di intervenire in favore di ex compagni in difficoltà. Il documento, trovato nel Fondo Angelo Tasca conservato alla Fondazione Feltrinelli, è un tentativo di mettere in buona luce Nenni: mette in rilievo, infatti, i particolari che possono “ammorbidire” la posizione delle autorità di Vichy verso il leader socialista.

Quello dell’aiuto di Tasca a Nenni è un piccolo “giallo” storico. Dopo la fine della guerra, la voce era circolata. Il leader socialista non ci ha mai creduto e ha sempre ritenuto Tasca un personaggio ambiguo. 

È certo, però, che l’ex comunista si impegnò per tentare di aiutare alcuni ex compagni di lotta, come ad esempio Giuseppe Faravelli, Giovanni Faraboli e Mario Levi. Questi, liberati dal campo di concentramento del Vernet, gli mandarono un telegramma di ringraziamento il 3 aprile 1942.

L’appunto ritrovato

Nonostante la diffidenza mostrata da Nenni, Tasca si mosse davvero a suo favore. Nel suo libro “In Francia nella bufera”, l’ex comunista ricorda che nella richiesta di estradizione avanzata da Roma, “Nenni era accusato di tramare non so che cosa coi comunisti”.

Così, su consiglio di un funzionario di Vichy, decide di stilare la nota in favore del suo ex avversario politico. Il testo del documento, redatto in francese, recita: “27/3/1942. Pietro Nenni non è mai stato e non è comunista. È un giornalista, che è stato amico di Mussolini.

Nel 1914-1915 guidò, al suo fianco, la campagna a favore dell’intervento dell’Italia in guerra contro gli Imperi Centrali. In Italia fu il direttore del grande quotidiano socialista l’Avanti, che si pubblicava a Milano. Molto conosciuto nell’ambiente giornalistico di Parigi e di Bruxelles, dove è stato corrispondente di diversi giornali.

Lui è stato il segretario del Partito Socialista Italiano. Ha tre figlie (quattro in realtà, ndr), di cui due sono diventate francesi per il loro matrimonio con dei francesi. Egli è anche molto conosciuto negli Stati Uniti, dove si è rifiutato di recarsi nel giugno 1940, malgrado l’invito che egli aveva ricevuto”. 

Vengono messi in evidenza dettagli favorevoli al leader socialista: il fatto che non sia mai stato comunista; la sua vecchia amicizia con Mussolini; che sia molto conosciuto nell’ambiente giornalistico; che abbia rifiutato di fuggire negli Stati Uniti.

Toni molto diversi da quelli che Tasca aveva usato contro Nenni nel pieno del loro scontro politico e che testimoniano come, al di là di conflitti e anche di rancori personali, la solidarietà tra gli esuli spesso era più forte di tutto il resto. 

Comunque, oltre all’intervento di Tasca, Nenni aveva altre carte da giocare: non gli mancavano conoscenze, tra cui quella di Pierre Laval, un ex socialista divenuto uno dei capi più influenti del regime di Vichy. 

Nenni evitò l’arresto per oltre un anno, fino a quando la relativa autonomia della Francia di Vichy dai nazisti si ridusse ulteriormente e quando le pressioni del governo fascista per la sua cattura divennero insostenibili. Arrestato dalla Gestapo, arriva in Italia il 5 aprile 1943 e viene mandato al confino a Ponza. 

Si chiederà per tutta la vita se il suo “amico-nemico” Mussolini fosse intervenuto per toglierlo dalle mani dei nazisti e per spedirlo su un’isola italiana, dove di fatto viene messo agli “arresti domiciliari” ma non rischia la vita. Non troverà mai una risposta certa. Secondo il direttore scientifico della Fondazione Pietro Nenni, Antonio Tedesco, “è plausibile, invece, che il regime non volesse lasciare nelle mani tedesche i “fuoriusciti” italiani di spicco come Nenni.

Mussolini considerava i leader dei partiti antifascisti i peggiori traditori e nemici del regime e riteneva fondamentale “neutralizzarli”, per poi giudicarli dopo la fine della guerra. Era – come sottolineato dallo storico Gaetano Arfè – anche un fatto di orgoglio nazionale: visto che erano italiani, rivendicava al fascismo il compito di punirli”.

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Diodato canta ‘La mia terra’ per il film di Riondino

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AGI – Fantastica coppia Michele Riondino e Diodato, entrambi tarantini, entrambi impegnati per salvare la città dal disastro ambientale creato dall’Ilva. Oggi Riondino porta alla Festa del cinema di Roma il suo film d’esordio da regista, ‘Palazzina Laf’, in cui racconta un aspetto meno noto dell’acciaieria maledetta, quella dell’azienda i cui vertici, primi in Italia, sono stati condannati per mobbing nel 1997 quando questa forma di tortura psicologica non era aveva neppure un nome.

Riondino è attore, sceneggiatore (con Maurizio Braucci) e regista, mentre Diodato è autore della canzone che si sente mentre scorrono i titoli di coda con le immagini vere dei protagonisti di quella stagione all’Ilva, ‘La mia terra’ (Music Union Srl – Gli Alberi Srl – Carosello Records). In conferenza stampa il cantautore pugliese ha accennato al brano.

Un testo che, ha spiegato Riondino, “ho voluto lasciare alla fine come una sorta di epilogo di questo film. ‘La mia terra’ – ha detto il regista – è una dichiarazione d’amore per Taranto e doveva essere accompagnata da immagini reali, vere e mostrare il passaggio dal 1997 a oggi. Il suo pezzo è per oggi”.

In mattinata, durante un incontro ristretto con i giornalisti, Diodato stesso aveva spiegato: “Con Michele siamo fratelli da alcuni anni, per una sorta di destino che ci lega alla nostra terra. Quando ho saputo che stava lavorando al suo primo film da regista – ha detto – mi sono permesso di proporgli una collaborazione perché sentivo che poteva essere un bel modo per raccontare insieme qualcosa.

‘La mia terra’ è una canzone che parte dal mito della fondazione di Taranto, dal re dei Parteni che viene esiliato da Sparta a cui l’oracolo dice: troverai la tua terra quando vedrai piovere col cielo sereno. Arrivato dopo tanto peregrinare nel porto di Taranto – ha spiegato – il re si addormenta sulle gambe della moglie e questa, ripensando a tutto quello che avevano passato, inizia a piangere. Lui quindi si risveglia con queste lacrime che confonde con la pioggia e, guardando il cielo sereno, pensa di aver trovato la sua terra. Queste lacrime a ciel sereno – ha detto ancora Diodato – è un po’ come se ci avessero segnato. È il destino a cui sembriamo essere condannati noi tarantini. Ma da qualche anno nella nostra città c’è una sorta di rivoluzione e deve molto all’impegno di Michele. E in questa canzone volevo unire i due mondi – ha spiegato ancora – il mito della fondazione e ciò che è accaduto e continua ad accadere a Taranto. Nella canzone ripeto più volte la parola amore perché è basata su quello, sull’amore per una terra che è stata contaminata da scelte scellerate fatte in passato. Ma chi la ama – ha concluso – conserva in sé la speranza per un futuro migliore per cui però bisogna lottare”. 

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