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Fosse, il Nobel annunciato all’innovatore dei fiordi

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AGI – Un premio Nobel per la Letteratura annunciato quello assegnato a Jon Fosse, lo scrittore norvegese che da una ventina d’anni finiva tra i candidati al massimo riconoscimento dell’Accademia di Svezia ed e universalmente considerato tra i più importanti scrittori contemporanei. Lui stesso si è detto “sorpreso ma non troppo” all’annuncio dal premio “per le sue opere teatrali e la prosa innovativa che danno voce all’indicibile”, come è scritto nella motivazione.

Fosse, 64 anni, si è affermato come un autore eclettico, sia di romanzi che di testi teatrali, raccolte di poesie, saggi e libri per bambini e adolescenti, sempre con la capacità di scavare nelle contraddizioni dell’uomo. Le sue opere sono state tradotte in oltre 50 lingue, anche grazie a una prosa e a uno stile asciutti ma inconfondibili.

Nato nel 1959 a Haugesund, sulla costa occidentale della Norvegia, il suo lavoro “tocca i sentimenti più profondi che si provano, le ansie, le insicurezze, le domande sulla vita e sulla morte”, come ha affermato Anders Olsson, poeta e presidente del Comitato Nobel incaricato di scegliere la shortlist dei finalisti. “Per me scrivere è come pregare”, ha spiegato Fosse in diverse interviste.

L’ultimo norvegese a ricevere questo premio era stato Sigrid Undset nel 1928, l’ultimo autore scandinavo a ottenerlo era stato invece nel 2011 il poeta svedese Tomas Transtromer. “Sono sopraffatto dall’emozione e anche un po’ spaventato, ma al tempo stesso sono felicissimo e grato“, ha affermato Fosse, “commosso”, attraverso la sua casa editrice norvegese Samlaget.

“Sono abituato alla suspense ed ero anche abituato a non ottenere il premio”, ha dichiarato a una tv, “mi ero però preparato mentalmente alla felice evenienza nell’ultimo decennio. Non si arriva più in alto del Premio Nobel. Dopo di questo, è tutto in discesa”. Fosse vive nella residenza onoraria di Grotten, a Oslo, concessagli dal Re per i suoi meriti letterari.

Ha esordito nel 1983 e da allora ha alternato diversi generi. I suoi testi teatrali sono stati messi in scena in tutto il mondo, a partire dalla produzione parigina del 1999 di Claude Règy della sua opera teatrale del 1996 “Nokon kjem til a komme” (“Qualcuno sta per arrivare”). Presso La nave di Teseo ha pubblicato Mattino e sera (2019) e L’altro nome. Settologia I-II (2021). Settologia – libro dell’anno per “The New Yorker” e scelto come editor’s choice da “The New York Times” – e stato finalista nel 2022 all’International Booker Prize, al National Book Award e al National Book Critics Circle Award.

Il 10 ottobre uscirà in Italia ‘Io è un altro’, che raccoglie il terzo e quarto volume di Settologia, il romanzo-mondo strutturato in sette parti, sempre con ‘La nave di Teseo’, che vede protagonisti due pittori con lo stesso nome, Asle: uno è un uomo di successo, ma ha perso sua moglie. L’altro alza il gomito troppo spesso. Viene da pensare che siano la stessa persona, eppure a volte si incontrano e si parlano. 

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A Firenze la prima mostra del collettivo artistico Numero Cromatico

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AGI – Da sabato 7 ottobre, in occasione della Giornata del Contemporaneo, e fino a febbraio 2024, gli spazi del Gallery Hotel Art, Lungarno Collection, di Firenze ospitano il collettivo artistico Numero Cromatico con la mostra A burning fire a cura di Valentina Ciarallo.

La Lungarno Collection torna a parlare e nutrirsi d’arte con un esclusivo progetto che arricchisce la rosa di collaborazioni che sin dal 2012 il Gallery Hotel Art di Vicolo dell’Oro 5 porta avanti, continuando a far da tramite nel dialogo creativo tra arte contemporanea, i fiorentini e i suoi ospiti.

“Il mio amore per te non sarà mai semplice luce, ma un fuoco che arde. Mi mancherai e io ti cercherò ovunque. Aprirò le finestre su spazi senza fine” è uno dei versi di I.L.Y., acronimo di I Love You, intelligenza artificiale creata e istruita per la scrittura di poesie d’amore dal collettivo artistico Numero Cromatico.

Le frasi generate da input linguistici e materializzate su texture di tessuto colorato aprono una riflessione sull’interazione tra intelligenza umana e artificiale e la conseguente sfida progressiva della tecnologia.

Il gruppo, nato nel 2011 e composto da artisti, linguisti, neuroscienziati e designer, si basa sull’interdisciplinarietà e su una metodologia procedurale che coinvolge le neuroscienze e le intelligenze artificiali, mediante una precisa e originale ricerca che porta a una nuova percezione e teoria estetica.

La mostra A burning fire nasce quindi dal desiderio di stimolare lo spettatore a una partecipazione diretta e attiva nella costruzione dell’esperienza artistica offrendo una nuova modalità di percepire l’arte e aprendo una riflessione riguardo a tematiche culturali e sociali condivise dall’umanità.

La scrittura di Numero Cromatico entra nella sfera delle emozioni come la scrittura tradizionale e la fruizione dell’opera si completa come esperienza multisensoriale. L’algoritmo creativo I.L.Y. genera poesie inedite legate all’amore in tutte le sue forme e ai rapporti interpersonali attingendo dai grandi autori del passato.

“Your eyes look and I listen to them”, “Flowers tremble, my kisses, your words”, “I will miss you and I look for you everywhere”: sono frasi poetiche che vivono in uno spazio sospeso, atemporale e che invitano a riflettere sull’esistenza del tempo stesso. L’opera supera il confine della pura lettura e instaura con lo spettatore un rapporto di natura fisica e tattile grazie ai morbidi tessuti utilizzati.

L’abilità artigianale della lavorazione su stoffa, eredità di un passato, con l’utilizzo di colori primari su pattern geometrici o camouflage è unita a processi tecnologici. Visioni creative tradotte in realtà portano a percepire l’opera di Numero Cromatico in maniera singolare e personale in ognuno di noi entrando nella dimensione in cui il pubblico diviene soggetto e oggetto dell’opera stessa.

Il Collettivo segue per molti aspetti la ricerca legata alle Avanguardie del Novecento, fra tutti il Futurismo, come movimento aperto all’utilizzo delle espressioni che attraversano i territori artistici e culturali proponendo una teoria dell’arte liberata dalla pura estetica e basata su studi scientifici. Metafora di un prodotto artistico spontaneo e reale, frutto di una macchina, a sua volta frutto dell’ingegno umano.

Altra influenza significativa per il gruppo è l‘Eventualismo, teoria estetica degli anni Settanta a cui fa capo l’artista Sergio Lombardo, antesignano di valori artistici connessi al dato scientifico e promotore di un’esperienza pragmatica tra artista e pubblico, tra spettatore e opera, il cui compimento si realizza nella risposta del pubblico stesso.

La mostra è poi arricchita il progetto “Somnium” nato dalla collaborazione con Untitled Association. Un dispositivo creato per stimolare l’attività onirica come manifestazione vitale ma anche come rivelazione atavica. Il kit “Somnium” è fornito di relative istruzioni d’uso ed è a disposizione degli ospiti dell’hotel come mezzo per favorire il ricordo dei sogni al risveglio. L’occasione espositiva diviene così per “Somnium” il campo dove studiare e registrare le reazioni percettive. La raccolta dei sogni viene condivisa su display come un sogno collettivo.

Inoltre una serie di lavori inediti su carta a base di impasto di kiwi arricchiscono la selezione dei suggestivi arazzi scelti per A burning fire. L’uso di carta ecologica è ricorrente nella produzione editoriale del collettivo, con l’utilizzo della stampa a freddo Risograph, chiamata anche “ideale” per l’uso di inchiostri e materiali sostenibili.

“My love for you will never be a mere light, but a burning fire” è l’intervento site-specific realizzato all’esterno del Gallery Hotel Art che invita il pubblico al percorso esperienziale di Numero Cromatico che, anche in questa occasione, si conferma essere come un “dispositivo” aperto al confronto e in continua evoluzione e ricerca.

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Nobel per la Letteratura a Jon Fosse

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Lo scrittore e drammaturgo norvegese Jon Fosse, 64 anni, ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura 2023

BREAKING NEWS
The 2023 #NobelPrize in Literature is awarded to the Norwegian author Jon Fosse “for his innovative plays and prose which give voice to the unsayable.” pic.twitter.com/dhJgGUawMl

— The Nobel Prize (@NobelPrize)
October 5, 2023

Esordì nella scrittura nel 1983 ed è reputato tra gli autori più significativi del teatro contemporaneo. Ha sperimentato diversi generi, dal racconto alla poesia, dalla saggistica ai libri per l’infanzia. Diverse sue opere sono state tradotte in italiano da La nave di Teseo.

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La deportazione dei Carabinieri di Roma nei campi nazisti

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AGI – La razzia e la deportazione dei Carabinieri erano necessarie per poter procedere al rastrellamento e all’invio nei campi di sterminio degli ebrei romani. E infatti, con la radicata presenza dei militari dell’Arma nella capitale, l’operazione originariamente prevista per il 26 settembre 1943 era stata rinviata a ottobre dall’Obersturmbannführer Herbert Kappler, comandante del Sicherheitsdienst, della polizia tedesca e della Gestapo a Roma, l’SS che aveva avuto un ruolo di primo piano nell’intelligence che aveva portato alla liberazione di Mussolini il 12 settembre dall’albergo-prigione di Campo Imperatore.

Kappler aveva altresì realizzato il sequestro e l’invio in Germania della riserva aurea della Banca d’Italia e aveva ideato e portato a compimento l’ignobile ricatto alla comunità ebraica per farsi consegnare 50 chili d’oro entro 36 ore e non procedere così alla deportazione, che invece avverrà il 16 ottobre. Era, questo, il suo piano B, fatto scattare proprio il 26 settembre, con un inganno criminale, non potendo mettere subito le mani sui circa 12.000 ebrei romani del ghetto di Portico d’Ottavia fino a quando i Carabinieri non fossero stati tolti di mezzo.

Le forze tedesche erano infatti numericamente scarse, i fiancheggiatori fascisti anche, mentre i militari dell’Arma erano apertamente dalla parte della popolazione, oltre che ligi al giuramento di fedeltà al Re: si erano infatti rifiutati di partecipare a retate e rappresaglie, e sugli ebrei avevano un atteggiamento che non era quello delle autorità naziste. Temendo, a ragione, che si sarebbero opposti al rastrellamento, Kappler aveva guadagnato tempo per consentire che le autorità della Repubblica Sociale Italiana appena fondata da Mussolini a Salò effettuassero le loro mosse d’intesa col Reich.

La vendetta sui “traditori”

Il 6 ottobre un foglio d’ordine con protocollo riservato 296 del Maresciallo d’Italia e ministro per la difesa nazionale della RSI Rodolfo Graziani, nel sottolineare con fastidio l’«inefficienza numerica, morale e combattiva» dei Carabinieri, si rivolgeva al generale Casimiro Delfini, facente funzioni di comandante generale, e al generale Umberto Presti comandante della Polizia dell’Africa italiana (PAI), disponendone il disarmo, la consegna in caserma e il divieto di allontanamento dai reparti dei Carabinieri di Roma.

Gli ufficiali che non avessero adempiuto erano passibili di fucilazione e i loro familiari sottoponibili all’arresto, secondo il barbaro Sippenhaft adottato dal Terzo Reich, la responsabilità oggettiva familiare che è ripudiata da qualsiasi ordinamento penale che riconosce la sola responsabilità personale. Il controllo delle caserme di Roma passava quindi ai militi della PAI alla quale veniva assegnato anche il servizio d’ordine nella Città aperta, ed era evidente che fosse per conto dei tedeschi, in attesa che potessero farlo loro. Alla raccolta delle armi, l’indomani, 7 ottobre, provvedono i paracadutisti tedeschi che hanno l’ordine di sparare a vista contro chiunque tenti la fuga.

I Carabinieri vengono quindi portati alla stazione ferroviaria e fatti salire sui treni sostenendo che dovranno prendere servizio nelle caserme del nord Italia, quando invece è già stabilito che oltrepasseranno il Brennero e avranno come destinazione finale i lager nazisti, dove andranno a ingrossare le fila già mostruose degli Internati militari italiani, i soldati disarmati e rinchiusi dopo l’armistizio dell’8 settembre: gli IMI sono un’invenzione lessicale di Hitler, che così può vendicarsi dei “traditori” e non applicare le convenzioni internazionali a tutela dei prigionieri che possono altresì essere utilizzati come mano d’opera forzata nelle fabbriche del Reich.

La resistenza dell’Arma

Non conosciamo il numero esatto dei Carabinieri deportati, una cifra che oscilla tra i 1.500 e i 2.500, poiché la documentazione di fonte tedesca è andata perduta, ma è evidente che qualche notizia su quello che sarebbe accaduto fosse filtrata alla vigilia per consentire di sfuggire alle maglie tedesche. Non a caso buona parte dei Carabinieri la loro scelta di campo, etica prima ancora che militare, l’avevano già fatta.

Il 25 settembre a Bosco Martese, nel Teramano, la prima battaglia campale della Resistenza antitedesca era stata guidata dal capitano Ettore Bianco. Il giovane ufficiale di complemento Carlo Alberto Dalla Chiesa, in servizio nelle Marche, condannato a morte dai tedeschi per la sua attività entrò subito in clandestinità mettendosi alla testa di «bande di patrioti» e responsabile «di intere popolazioni civili»; e, con loro, poco meno di 200 ufficiali che si distinsero nella Guerra di liberazione.

Lo scollamento tra l’Arma e il rinato regime fascista repubblicano è comprovato dalla decisione di neutralizzare i Carabinieri nell’Italia del nord sciogliendoli l’8 dicembre 1943 nella Guarda nazionale repubblicana, esercito di partito sul modello delle SS. Nei lager nazisti, come ricorda l’oggi centenario Abramo Rossi che il 7 ottobre 1943 venne deportato da Roma assieme ai commilitoni, «quando ci chiesero se volevamo essere liberati in cambio del giuramento a Mussolini noi Carabinieri rispondemmo tutti di no».

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Sono state ritrovate sette storie inedite di Cortazar

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AGI – Sette storie inedite dello scrittore argentino Julio Cortazar rinvenute in una biblioteca privata dopo la morte del suo proprietario saranno vendute all’asta in Uruguay, il 12 ottobre. I testi sono stati scoperti nel dattiloscritto originale della raccolta intitolata “Storie di cronopios e di famas”, che comprende decine di brevi racconti scritti a Parigi, con relative annotazioni dello stesso autore. L’asta di Montevideo è organizzata dalle case Zorrilla Subastas (Uruguay) e Hilario (Argentina), che hanno fissato la base a 12 mila dollari mentre il valore del manoscritto è stato stimato tra 15.600 e 21 mila dollari.

I curatori assicurano che si tratta di un materiale “eccezionale”, per giunta “in ottimo stato”, raccolto in un cofanetto appositamente concepito per la sua conservazione. Il dattiloscritto, prodotto a Parigi nel 1952, è costituito da 46 brevi racconti su sessanta pagine dattiloscritte su un lato. Di questi 35 furono pubblicati “quasi senza modifiche” nella prima edizione di “Historia de cronopios y de famas” della casa editrice Minotauro di Buenos Aires nel 1962 e altri quattro successivamente, secondo il catalogo, quindi altri sette sono rimasti inediti. “Questo dattiloscritto è stato ritrovato a Montevideo, nella biblioteca di un individuo deceduto. È stato messo in una scatola senza essere catalogato. Il modo in cui è finito lì rimane sconosciuto”, ha riferito Guillermo Gonzalez di Zorrilla Subastas.

I preparativi per l’asta sono durati circa un anno, con la consulenza di due esperti di Cortazar: lo scrittore uruguaiano Aldo Mazzucchelli, dottore in lettere all’Università di Stanford, e il libraio argentino Lucio Aquilanti, autore di una “bio-bibliografia” su Cortazar, uscita nel 2014. “Possiamo dire senza dubbio che si tratta di un originale dell’autore, dattiloscritto, di straordinaria trascendenza”, ha commentato Lucio Aquilanti. Per l’occasione Cortazar ha utilizzato la stessa macchina da scrivere, una Royal, con la quale ha prodotto successivamente altri testi.

Il manoscritto costituisce il lotto 187 della vendita di 199 opere d’arte, libri, incisioni, mappe antiche, fotografie e oggetti storici. La vendita sarà trasmessa in diretta dalla sede di Zorrilla Subastas nel centro di Montevideo, con possibilità di fare offerte online tramite le piattaforme Invaluable (Stati Uniti) e Drouot (Francia).

Considerato uno dei più grandi scrittori latinoamericani, Julio Cortazar è nato a Ixelles (Belgio) il 26 agosto 1914. Giunse in Argentina quando la sua famiglia vi fece ritorno nel 1918, per poi ripartire nel 1951 in direzione della Francia, in segno di protesta contro la dittatura del generale Peron. Morì a Parigi il 12 febbraio 1984. La sua opera, che mescola spesso il genere fantasy o realismo magico tipici della letteratura sudamericana, e stata tradotta in una trentina di lingue. Il suo libro più noto, “Il gioco del mondo” (“Rayuela”), uscito nel 1963, è un romanzo labirintico di 600 pagine che intreccia storie tra Parigi e Buenos Aires, che il lettore può leggere in ordine o saltando da un capitolo all’altro – in tutto sono 155 – senza seguire lo schema classico della numerazione. 

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Cartarescu: “Per tutta l’umanità è molto importante che l’Ucraina resista”

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AGI – “Per tutta l’umanità è molto importante che l’Ucraina resista. C’è stata l’occasione di un uomo provvidenziale, che è il presidente Zelensky, e spero che quest’anno riceva il Premio Nobel per la pace”. A parlare del conflitto nel cuore dell’Europa è il maggior scrittore rumeno, Mircea Cartarescu, 67 anni, tra i papabili al Nobel della letteratura che sarà assegnato giovedì dall’Accademia svedese.

In una lunga intervista al quotidiano argentino ‘Clarin’, Cartarescu, racconta del suo legame con la scrittura e con l’America latina e dà una sua personale lettura della storia contemporanea del suo Paese e dell’Europa di oggi. Per uno dei più raffinati scrittori dell’Est Europa, ciò che sta accadendo in Ucraina in questo momento ci mostra che “per millenni nulla è cambiato negli esseri umani. Insieme al genio, alla ragione e alla bontà abbiamo anche il lato selvaggio, criminale e oppressivo. Tutto questo lato negativo si trova oggi in Ucraina senza alcuna colpa e senza alcun atto di provocazione o aggressione da parte sua”.

Cartarescu si fa portatore di una sentimento di gratitudine all’Ucraina, convinto che “se non avesse resistito a questa guerra, probabilmente la Romania sarebbe stata occupata come gli altri Paesi dell’Est“. Una guerra molto reale e presente nel quotidiano della Romania per la vicinanza geografica e il confine comune, che fa riaffiorare nel poeta rumeno il ricordo della dittatura in patria, il caos e la successiva rivoluzione violenta tra gli anni 80′ e 90′.

“La dittatura che abbiamo vissuto per 42 anni dopo la Seconda Guerra era chiamata dittatura comunista, ma in realta’ era puro fascismo, nazionalismo, miti di sangue e terra”, ha dichiarato al Clarin il popolare scrittore rumeno, nato a Bucarest nel 1956, sposato con la poetessa rumena anche lei, Ioana Nicolaie. Non solo fame e freddo dell’inverno rumeno, i suoi connazionali hanno anche dovuto fare i conti con “la paura” e “tanta violenza” di una rivoluzione durata 10 anni. 

“C’era un capitalismo selvaggio, un’inflazione enorme, un colpo di stato legislativo, che ha permesso a persone senza scrupoli di accumulare fortune. Solo dopo l’ingresso nell’Unione Europea abbiamo iniziato a essere una vera democrazia e questo dal 2008 in poi”, ha analizzato Cartarescu. Anche per questo motivo considera l’Europa la sua “seconda patria” e si autodefinisce uno “scrittore europeo” poiché “amo l’Europa, parte della mia costruzione, della mia formula interiore. Un ottimo posto per la cultura e per la vita libera delle persone“, precisando tuttavia che “salvo ragioni politiche, non lascerò Bucarest”.

Il rapporto con l’America e con la scrittura

Cartarescu intrattiene un legame particolare anche con l’America Latina, dove dice “di sentirsi a casa, anche nella cultura di questa regione”, avendo letto nella sua giovane eta’ diversi autori latinoamericani, “imparando molto da loro, con entusiasmo, stupore e piacere”. La sua vena fantastica gli arriva proprio da quelle letture che, secondo lui, avvicinano America Latina e Romania, protagoniste di esperienze storiche in parte simili. Proprio in Messico, Colombia, Cile, Argentina, lo scrittore rumeno ha incontrato “i lettori piu’ appassionati del mio lavoro”.

L’essenza di vita di Cartarescu è la scrittura e la letteratura: tiene un diario da quando ha 17 anni – sono stati pubblicati cinque suoi volumi – e ha una fiducia enorme nella letteratura, dalla quale dice di avere imparato tutto quello che sa oggi. In altre parole, “la forza trainante di tutto ciò che scrivo è il piacere di scrivere. È ciò che amo di più ed è la mia ragione di esistere”.

Un rito quotidiano, parte integrante del suo Dna, consiste nello scrivere a mano una o due pagine al giorno, sempre al mattino, ma “non controllo la scrittura” che non considera un lavoro, ma “un’arte, una religione personale, un atto di fede”. Per Cartarescu “scrivere letteratura è naturale, come saper respirare e camminare, ma non devo pensare al come”, ha ancora riferito al quotidiano argentino. Un rituale che lo porta a sedersi alla sua scrivania, ad ascoltare la sua voce interiore “che sa meglio di me cosa devo scrivere”.

È allora che accade la magia, quando come spiega lo stesso autore, le sue mani diventano “lo strumento di una voce che lo abita e che è la vera proprietaria delle parole“, come quelle contenute in “Il Levante”, pubblicato nel 1985 in Romania, e nelle sue altre opere più acclamate, la trilogia di 1.500 pagine “Abbacinante” (“Orbitor”) e la raccolta di racconti “Nostalgia”.

Un diario infinito

“Sono uno scrittore di memoria, di vita interiore, voglio semplicemente esprimere i miei sentimenti, quello che penso delle cose, creare parole che siano più simili a me che al mondo che mi circonda”, ha confidato lo scrittore rumeno, tra i favoriti al Nobel della letteratura. Il diario, che tiene da 50 anni ormai, è sostanza della “mia mente, dei miei sogni, allucinazioni, ricordi, è la mia autobiografia”, da cui continua a trarre spunti per i suoi racconti, romanzi e per la sua poesia, poiché “tutta la letteratura è metafora del mondo”.

Cartarescu è un poeta, anche se ha lasciato questa forma di scrittura diversi decenni fa, come ogni giovane della sua generazione, nato sotto un regime comunista soffocante, dove la polizia segreta era onnipresente e la gente non poteva lamentarsi della fame, della povertà e della mancanza di libertà. Per lui poesia e libertà sono la stessa cosa, mentre nei suoi scritti in prosa si incontrano metafore inquietanti, un universo fantastico e allegorico oltre a una realtà che sembra estranea, una finzione, non esente da scetticismo e da una marcata vena umoristica.

Col passare degli anni, il Cartarescu oggi 67enne, si dice “più ottimista”, intento a godersi sempre di più di ciò che riceve, motivo per cui “mi sento molto grato sia come scrittore che nella mia vita personale”. In merito al suo rapporto col folto pubblico di lettori, Cartarescu confida di apprezzare molto i suoi ‘aficionados’ oltre al fatto che persone di altre culture possano essere raggiunte dalle sue opere. Tuttavia per lui “la cosa più importante è esistere ai miei occhi”, pertanto continuerebbe lo stesso a scrivere anche se “tutti i lettori del mondo sparissero, avendo sempre scritto per me stesso e per le persone come me

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Cultura

Sangiuliano a Paestum, tappa fondamentale per la nostra cultura

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AGI – ‘Preistoria e Protostoria’, ‘La citta’ greco-lucana’ con le sale dedicate ai santuari e allo spazio pubblico, ‘Oltre il museo’ sono le nuove sezioni che hanno riaperto al pubblico, alla presenza del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, nel Museo archeologico nazionale di Paestum. “Il nuovo allestimento conferma lo straordinario valore dell’area del Parco archeologico di Paestum e Velia, ma soprattutto le sue enormi potenzialità” 

“Solo pochi mesi fa, ad aprile, avevamo infatti celebrato il ritrovamento di centinaia di ex voto, statue e altari nel tempietto di Paestum. Questo gioiello del patrimonio archeologico della nostra nazione è apprezzato e amato, come dimostrano i dati sugli ingressi: solo nella prima domenica di ottobre Parco e Museo hanno fatto registrare oltre 15mila visitatori. Sono numeri eccezionali che ci spingono ancora di più a lavorare con il massimo impegno per rafforzare le attività di conservazione e di sviluppo di questo luogo”, aggiunge.

“Abbiamo già proceduto a un primo stanziamento per il museo di Velia, arriveranno ulteriori risorse. Inoltre, finanzieremo i nuovi scavi di Paestum e la sistemazione delle mura attraverso una operazione di anastilosi”, spiega Sangiuliano. I lavori di rinnovamento del Museo non si fermano e proseguiranno nella sala ‘Pitture lucane’, nella sala ‘Necropoli’ e nella sezione ‘Paestum: dalla città romana all’eta’ contemporanea’, il cui completamento è previsto per la fine di quest’anno. 

“È un progetto che portiamo avanti da anni e che non si è ancora pienamente concluso. Ma, oggi, inauguriamo una parte molto significativa del Museo archeologico nazionale di Paestum – spiega il direttore del Parco archeologico di Paestum e Velia, Tiziana D’Angelo – inauguriamo tutta la sezione dedicata alla preistoria e alla protostoria, una parte molto importante della sezione dedicata alla città greca e lucana, quindi alla colonia magno-greca di Poseidonia, alla terra dei lucani con i suoi santuari, con la sua agorà, con il suo Heroon dedicato all’eroe fondatore. E apriamo anche una sezione che porta il visitatore oltre l’allestimento permanente e fino ai depositi del museo archeologico”.

Presente alla cerimonia anche il viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, secondo il quale Paestum “è un patrimonio mondiale unico, straordinario, che merita rispetto. In passato, da presidente della Provincia di Salerno avrei potuto fare qualcosa, ma il bene apparteneva al ministero dei Beni Culturali. Sono contento che il ministro Sangiuliano abbia pensato fosse una priorità. Purtroppo, non ci sono stati progetti negli anni passati e anche la Regione ha latitato molto”.

Intanto, a Velia “abbiamo appena avviato una nuova campagna di scavo stratigrafico sull’acropoli”, annuncia D’Angelo. “L’obiettivo è quello di proseguire con le indagini di un edificio di VI secolo avanti Cristo, probabilmente il primo tempio eretto dai focei al loro arrivo sulle coste del Cilento, quindi immediatamente dopo la fondazione della colonia di Elea. Estiamo anche lavorando alla riqualificazione di un’ex galleria ferroviaria che trasformeremo in un deposito accessibile e a una progettazione per un nuovo museo archeologico di Elea-Velia”.  

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Cultura

“La crisi di fiducia nei media minaccia il futuro dell’informazione”

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AGI – Siamo sommersi dalle notizie, sulla carta, online, nei podcast e sui social network. Eppure la fiducia nei mezzi d’informazione non è mai stata così bassa. Come superare questa crisi e creare un nuovo rapporto tra giornalisti e cittadini? 

A questo interrogativo cerca una risposta il giornalista statunitense Ben Smith, una delle firme più influenti degli Stati Uniti, che, dopo aver fondato BuzzFeed News nel 2011 e collaborato per diversi anni con il New York Times, Politico e New York Daily News, nel 2022 ha fondato Semafor, testata online che si propone di affrontare di petto la crisi del mondo dell’informazione.

Ma in cosa consiste esattamente questa crisi? Cosa è cambiato nel rapporto tra il pubblico e i media? Quale alternativa propone invece Semafor? Di tutto questo Ben Smith ha parlato a Internazionale a Ferrara – il festival di giornalismo del magazine che quest’anno compie 30 anni.

Con 180 ore di programmazione, 170 ospiti da 25 paesi, 115 incontri e 12 workshop, Internazionale a Ferrara è tornata con un nuovo format pensato per celebrare il compleanno del settimanale: 30 parole per 30 anni, questo il filo conduttore degli eventi.

Sono arrivati a Ferrara giornalisti da tutto il mondo per confrontarsi sui temi che hanno segnato gli ultimi decenni e che oggi restituiscono un presente inquieto. E in un mondo instabile come quello in cui viviamo, fare informazione rappresenta una sfida difficile e urgente.

“Semafor si distingue per la sua trasparenza, ma anche per il fatto di disporre e mettere in campo un ampio ventaglio di risorse e per il suo carattere globale”: Smith racconta così il suo progetto giornalistico, che vuole rilanciare il valore e il ruolo dell’informazione nel mondo contemporaneo. Notizie trasparenti quindi, con una distinzione esatta e chiara tra fatti, opinioni, analisi, contro-narrazioni e prospettive globali; notizie complesse capaci di integrare diverse prospettive grazie alla varietà delle fonti; storie globali per un mondo interconnesso.

“Puntiamo a raggiungere persone appassionate a tutta una serie di aree diverse: politica americana, tecnologia, finanza, Wall Street, clima. In particolare, il nostro è un pubblico interessato alle connessioni tra queste varie tematiche”. E per realizzare questo obiettivo, è necessario offrire una base fattuale condivisibile da tutti, anche laddove le opinioni possono divergere, attraverso pezzi in cui siano chiaramente distinguibile fatti da un lato e analisi dall’altro.  “Credo che i due grandi problemi oggi siano, da un lato, una sorta di eccesso, una vertigine delle informazioni, per cui finiamo per esserne sopraffatti, e dall’altro il fatto di non sapere di chi e cosa fidarci. Un fenomeno collegato a un più ampio declino nella fiducia verso le istituzioni”.

Spesso ricondotta all’avvento del digitale e, poi, dei social network, la crisi di cui siamo testimoni è in realtà molto più complessa, e contiene in sé anche delle opportunità che aspettano di essere colte. “In qualche modo – dice Smith – sono cresciuto immerso nei nuovi media digitali. E se apprezzo molto l’apertura che è arrivata con loro e li accompagna, ne ho visto anche i pericoli. Credo ci sia da cogliere l’opportunità di prendere il meglio sia dall’eredità dei media tradizionali sia dal mondo digitale”.

Un cambiamento radicale che si riflette anche in una nuova ondata di frammentazione dei mezzi di comunicazione. “Se in passato è avvenuto un processo di assorbimento all’interno di grandi gruppi, credo che attualmente si stia andando nella direzione opposta. I media si stanno frammentando, come le preferenze del pubblico. Ciascuno può trovare ora un podcast, una newsletter o un sito web che li interessa da vicino. E le dimensioni si vanno riducendo di nuovo”.

Dunque, da una parte localizzazione, personalizzazione e ritorno agli elementi fondamentali dell’informazione. Dall’altra, connessione e prospettive complessive, per comprendere gli avvenimenti attraverso prospettive globali, al di là dei confini nazionali. “Nel tempo ci piacerebbe espanderci a livello globale. Attualmente siamo negli Stati Uniti e nell’Africa subsahariana e stiamo provando a lanciare il progetto in un altro paio di paesi. Ma dobbiamo essere cauti e porre basi solide prima di espanderci”.

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Cultura

“Not Her”, il messaggio femminista di Elena Bellantoni dalla passerella di Dior

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AGI – Da Testaccio fino alle passerelle della Parigi Fashion Week, il messaggio dell’artista Elena Bellantoni risuona come un grido di liberazione per tutte le donne. L’installazione “Not Her” tra politica e pop è stata voluta dalla direttrice creativa di Dior, Maria Grazia Chiuri, da tempo impegnata nell’ingaggiare artiste capaci di indagare il mondo femminile e femminista, facendo delle sfilate l’occasione per veicolare appelli e riflessioni che mettano al centro il ruolo della donna.

Elena Bellantoni, classe 1975, è un’artista che del corpo e della figura umana ha fatto il perno della propria ricerca e sperimentazione, in un lungo curriculum che oramai vanta esposizioni in tutto il mondo, docenze nelle principali accademie italiane, oggi in Naba, e pubblicazioni. Il suo prossimo libro “Parole passeggere. La pratica artistica come semantica dell’esistenza” uscirà la prossima settimana per Castelvecchi. “Non è un catalogo, ma un’auto-etnografia attraverso la quale cerco di fare il punto sugli incroci e le interferenze tra la mia vita personale e lo sviluppo del mio lavoro. L’arte è totalizzante, io mi sento sempre artista” spiega.

“Not her” è un progetto nato nel 2023, ma che ha alle spalle un lungo lavoro di ricerca. “Chiuri ha scelto uno dei miei lavori forse più complessi; dal 2015, infatti, raccolgo un archivio on going ad oggi di circa 400 immagini, che racconta la pubblicità sessista dagli Anni ‘40 ai Duemila. Queste immagini, decisamente ‘perturbanti’, sono divise per categorie nel mio computer: partono dallo stereotipo anni ‘40-‘50 della donna moglie e casalinga, ‘angelo del focolare’, diventano negli anni ‘60 ritratto delle donne subordinate rispetto all’uomo; passano per la donna bambolina passiva, provano ad emanciparsi negli anni ‘70 ma indicano sempre una donna-oggetto, e negli anni ’80 diventano ancora più spinte nel linguaggio e nell’uso del corpo e negli anni duemila arriviamo anche ad immagini di donne contese tra uomini quasi fosse un ‘rape/stupro’ di gruppo” spiega all’AGI Bellantoni mentre si trova ancora a Parigi per le sfilate.

“Tutto questo materiale di ricerca è diventato la base su cui ho costruito il mio lavoro di natura concettuale che volutamente ha assunto caratteristiche di una produzione con un’estetica pop ma con una forte connotazione politica. Per fare questo mi sono messa nei panni di un ‘pubblicitario sessista’ – continua Bellantoni –  ho progettato 24 pubblicità con i claim relativi e con in più altre 24 frasi, come fossero le “risposte” linguistiche alle immagini che ho prodotto. I cliché dominano queste immagini, inseguendo le tendenze del mercato. I corpi diventano merce: ‘Listen your body beat i’m not a piece of meat’, rispondo io”.

Così su grandi led di 7 metri di altezza per 36 di lunghezza, ricompaiono le immagini delle vecchie pubblicità, ma stavolta sono reinterpretate direttamente da Bellantoni, che dell’installazione diventa direttamente protagonista con il suo corpo. “Non è stato difficile perché purtroppo esiste un alfabeto che domina queste produzioni, dei codici che vogliono per esempio sempre la donna raffigurata più piccola rispetto ad un uomo dominante” spiega.

“Dal punto di vista visivo ho scelto di lavorare proprio con le griglie degli split-flap, un meccanismo analogico adattato al linguaggio digitale in cui le immagini si ripetono e vengono in questo modo scandite dal tempo interno di questo congegno. Gli split-flap producono rumore, cadenzano il sovrapporsi delle figure nel loro arco temporale, sono in qualche modo invadenti e sottolineano, come i due colori giallo e fucsia lo stato delle cose: il corpo della donna e il suo sfruttamento come oggetto del desiderio, dello sguardo maschile dagli anni ‘40 ad oggi”.

Quella proposta è quindi una macchina del tempo, che in un nastro distopico racconta la donna attraverso le lenti distorte dei claim della pubblicità. Ma la narrazione è interrotta dalle parole che Elena Bellantoni ha scelto per opporsi a questa cultura dominante: ‘Nobodies is perfect’ – ‘I’m not only a mother, a wife, daughter, I’m a woman’ – ‘We want kids, but we want roses too” sono solo alcuni dei messaggi che Bellantoni lancia dalla passerella di Dior per cambiare prospettiva sul ruolo della donna. “Uso l’inglese per decostruire le narrazioni dominanti. Io scompaio dalle immagini e ci sono solo le parole, mentre le modelle sfilano e sfilando diventano loro le performer” racconta.

Il messaggio finale? “Io dico NO al meccanismo produttivo di mercificazione del corpo della donna, all’utilizzo di quest’ultimo come strumento di godimento e di controllo, ai dispositivi di potere e di consumo che regolano i confini e le relazioni tra corpi. – insiste l’artista – La pubblicità è l’anima del profitto e in qualche modo rappresenta i valori dominanti spesso legati ad un individualismo spinto. Quello che emerge non è quindi solo un discorso commerciale e di mercato, ma il diritto di modellare coscienze, il desiderio. ‘Not Her’ è un racconto verbo-visivo che si snoda per immagini che prende forma nel paradosso, nello sconfinamento, nella quantità massiccia, nell’accumulo d’immagini e frasi che ci martellano”.

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