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Rushdie ha scritto un libro sull’attentato e le coltellate subite

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AGI – Lo scrittore americano-britannico Salman Rushdie pubblicherà nella primavera del 2024 un libro sull’attacco e sulle coltellate che gli sono quasi costate la vita nell’estate del 2022. L’opera nasce con la volontà di dare una “risposta alla violenza” attraverso “l’arte”. L’annuncio è arrivato direttamente dal suo principale editore, Penguin Random House.

“Questo è un libro necessario per me, un modo per venire a patti con quello che è successo“, ha dichiarato il 76enne scrittore di origine indiana, icona della libertà di espressione in Occidente. Il volume uscirà il 16 aprile 2024 in più di 15 Paesi, tra cui Stati Uniti e Regno Unito, ha aggiunto l’editore. Gallimard ha annunciato una data di uscita in Francia per il 18 aprile 2024.

Answering violence with art, @SalmanRushdie confronts the traumatic events of August 12, 2022. Knife is a gripping, intimate, and ultimately life-affirming meditation on life, loss, love, art – and finding the strength to stand up again. Preorder: https://t.co/pJ1s4Snk5n pic.twitter.com/Bd4PbiOVzx

— Waterstones (@Waterstones)
October 11, 2023

Salman Rushdie, che dal 1989 vive sotto la minaccia di morte a causa di una fatwa emessa dall’Iran in seguito alla pubblicazione del suo libro “I versi satanici”, è stato pugnalato il 12 agosto 2022 durante una conferenza letteraria a Chautauqua, vicino a New York, da un giovane americano di origine libanese sospettato di simpatizzare per l’Iran sciita.

Gravemente ferito, lo scrittore ha perso la vista da un occhio nell’attacco e ha dichiarato di avere grandi difficoltà a scrivere sei mesi dopo l’evento. Il suo ultimo romanzo, “Victory City”, un “racconto epico di una donna” nel XIV secolo, pubblicato negli Stati Uniti nel febbraio 2023, era stato scritto prima dell’attentato.

“The Knife: Reflections on an Assassination Attempt” è “una meditazione potente, profondamente personale e infine edificante sulla vita, la perdita, l’amore, il potere dell’arte, la forza di andare avanti – e di rialzarsi di nuovo”. Salman Rushdie, in queste pagine, parla “per la prima volta e con moltissimi dettagli” dell’attentato che lo ha colpito, ha concluso l’editore.

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Corto Maltese porta la cultura italiana ai giovani del mondo

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AGI – Il ministero degli Esteri e della cooperazione internazionale ha scelto Hugo Pratt – e il suo famosissimo personaggio Corto Maltese – per rappresentare la cultura italiana diretta ai giovani nel mondo. Un anno fa la Farnesina – Direzione generale per la Diplomazia pubblica e culturale – aveva lanciato il progetto “Hugo Pratt. L’eredità, l’opera, la biografia” realizzato in collaborazione con Cong, la società̀ che gestisce tutta l’opera artistica del maestro veneziano. Con il concorso di scrittura creativa “Un’avventura per Corto”, si richiedeva agli studenti delle scuole italiane all’estero di scrivere un racconto breve o la sceneggiatura di una storia originale di Corto Maltese. Ben 16 classi di 11 Paesi hanno aderito al progetto e gli elaborati consegnati sono stati esaminati da una giuria.

I ragazzi hanno portato – tra i tanti luoghi – Corto Maltese nella Terra del fuoco argentina, in Libia, in Turchia, sul lago Balaton in Ungheria, sul treno da Girardot a Bogotá, nel bazar di Kerman nell’antica Persia, sull’orlo del Monte Batur, un vulcano attivo in Indonesia. Ognuno ha convinto il marinaio con l’orecchino a seguirli in un’avventura nata dalla fantasia di un singolo o di un gruppo di compagni di classe, con l’aiuto di libri e carte geografiche o dei propri insegnanti. Ieri sera, nella magnifica cornice di Palazzo Vecchio a Firenze, in occasione degli Stati Generali della diplomazia culturale a cui hanno partecipato i direttori degli Istituti italiani di cultura, il consigliere d’ambasciata Marco Maria Cerbo ha annunciato i vincitori del concorso “Un’avventura per Corto Maltese”.

“Questo e un progetto trasversale – ha detto Cerbo – e infatti siamo riusciti a mettere insieme cose apparentemente lontane tra di loro: i ragazzi che studiano nelle scuole italiane all’estero, gli Istituti italiani di Cultura, il mondo del fumetto, lo spirito dell’esplorazione in Antartide. Questo perche per la Direzione generale per la Diplomazia pubblica e culturale e importante rappresentare l’Italia e nello stesso tempo incontrare tutto il pubblico che possiamo raggiungere.”

Il primo posto e andato a “In Persia, la Primavera di Corto Maltese” scritto dagli studenti della classe IV del liceo scientifico della scuola italiana di Teheran “Pietro della Valle” (sono Golsa Adabdar, Shana Rose Jones, Kivarash Nasiri e Golab Sadeghi) sotto la guida di Fabio Tiddia, docente di storia e filosofia. La storia e stata premiata con il relativo fumetto, composto da 13 tavole originali e realizzato per l’occasione da Giuseppe Camuncoli (in arte Cammo) – fumettista molto conosciuto per la Marvel e la DC Comics, autore di “Quattro sassi nel fuoco”, seguito della serie “Gli scorpioni del deserto” di Hugo Pratt – con la sceneggiatura di Marco Steiner.

Al secondo posto “La figlia del Pescatore” della XI sezione italo- ungherese del liceo Csokonal Vitez Mihal y di Debrecen in Ungheria e al terzo “La tomba di Corto” di Elisa Bianchi della 4a classe della Sezione Italiana del College Cite Scolaire Internationale di Lione.

Le prossime iniziative

Durante la Conferenza c’è stato anche il passaggio di testimone dal progetto 2022/23 dedicato a Corto Maltese a quello del 2023/24 dedicato all’Antartide che si e concretizzato consegnando al dottor Yuri Cotroneo, ricercatore presso l’Universita Parthenope di Napoli, una copia del fumetto vincitore che sara portato a dicembre dai componenti di una missione nella base italiana in Antartide “Mario Zucchelli”, in Terranova. Questo viaggio ideale di Corto Maltese in Antartide servira anche ad annunciare la “Settimana della lingua italiana nel mondo” (dal 16 al 22 ottobre 2023), che come ogni anno, promuovera la lingua italiana in tutto il mondo.

Sempre a Firenze e stato annunciato che il progetto dedicato ad Hugo Pratt e Corto Maltese proseguira anche nel 2024 con una mostra itinerante dedicata al grande disegnatore veneziano e al suo personaggio piu conosciuto che verra allestita – in collaborazione con Cong – negli Istituti Italiani di Cultura nel mondo. Hanno gia aderito 19 Paesi e la prima mostra si inaugurera gia tra una settimana, il 17 ottobre, a Fiume (Rijeka), in Croazia.

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Sempre più presenti le opere di Antonio Del Donno nei luoghi pubblici: a Teramo una scultura dell’artista beneventano

Sfera di Antonio Del Donno

Sempre più presenti le opere di Antonio Del Donno nei luoghi pubblici: a Teramo una scultura dell’artista beneventano
Una sfera in ferro su basamento in marmo installata nel quartiere di Colleatterrato Basso

Sabato 14 ottobre 2023, presso lo spazio della rotonda stradale di via Giovanni XIII, nel quartiere di Colleatterrato Basso, a Teramo, si svolgerà l’inaugurazione dell’installazione di una scultura in ferro, rappresentante una sfera, del maestro beneventano Antonio Del Donno.

La scultura, che usufruirà di una suggestiva illuminazione scenografica, è stata donata dall’Archivio Antonio Del Donno all’amministrazione comunale teramana, che ha scelto la collocazione attuale nell’ambito degli interventi volti alla riqualificazione del quartiere. Già nel 2017, a Pineto, in provincia di Pescara, nello spazio antistante il Palazzo Polifunzionale, era stata collocata una sfera dell’artista, in memoria di una giovane ragazza del luogo che aveva perso la vita in un incidente automobilistico.

All’inaugurazione saranno presenti il Sindaco di Teramo, Gianguido D’Alberto, il Vicesindaco, Stefania Di Padova, il Presidente del Consiglio Comunale, Alberto Melarangelo, gli Assessori alla Cultura, Antonio Filipponi e al Decoro Valdo Di Bonaventura e il curatore dell’Archivio Antonio Del Donno, Alberto Molinari.

Inoltre, l’Archivio dell’artista si avvarrà, per la cura dell’evento, dell’opera di Angelo Di Berardo, di Giovanna Capuano, di Massimo Riccardi e di Giuseppe Caruso.

La sfera è stata uno dei soggetti artistici particolarmente cari al compianto artista beneventano, che al riguardo così si espresse nel 2015 in occasione dell’installazione di una scultura simile presso gli Istituti Fisioterapici Ospitalieri di Roma: “può rappresentare una cometa vista da lontano, un contenitore di sogni. La geometria racchiusa nella mia scultura è pressoché varia, come lo sono i momenti che ci accompagnano giorno dopo giorno, momenti di discesa e momenti di salita: regala con la sua luce una speranza per l’anima.”

Numerosi sono i monumenti di Antonio Del Donno diffusi negli spazi delle città, nel rispetto della sua volontà di collocare le sculture maggiormente nei luoghi pubblici, così da renderle più fruibili dai cittadini, e la sfera di Teramo non sarà certamente l’ultima delle installazioni curate dall’Archivio dell’artista, amato sempre più da critici e gente comune, soprattutto in Abruzzo.

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Le prime foto di Angelina Jolie nella ‘Callas’ di Pablo Larrin

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AGI – Pablo Larraìn (Jackie, Spencer, NO – I giorni dell’arcobaleno, El Conde) ha svelato le prime due foto di Angelina Jolie nel ruolo di Maria Callas, nel suo nuovo film sulla vita della leggendaria e discussa cantante lirica, considerata un’icona del suo tempo. Basato su una storia vera, il film ‘Maria’ vuole raccontare la vita meravigliosa, ma anche tragica e tumultuosa, della più grande cantante lirica del mondo, rivissuta e reimmaginata durante i suoi ultimi giorni nella Parigi degli anni Settanta.

Le riprese dureranno 8 settimane, e si svolgeranno tra Parigi, la Grecia, Budapest e Milano. La sceneggiatura, completata prima dello sciopero degli sceneggiatori indetto dalla WGA, è stata scritta da Steven Knight (Spencer, Peaky Blinders, Eastern Promises). Prodotto da The Apartment, una società del gruppo Fremantle, Fabula e Komplizen Film. ‘Maria’ è prodotto da Juan de Dios Larraìn per Fabula, da Jonas Dornbach per Komplizen Film e da Lorenzo Mieli per The Apartment, una società del gruppo Fremantle.

In ambito internazionale, le vendite del film saranno gestite da FilmNation Entertainment. Il cast vanta la presenza anche di Pierfrancesco Favino (Adagio, il Colibri’), Alba Rohrwacher (La Chimera, Hungry Hearts), Haluk Bilginer (Il regno di inverno – Winter Sleep), Kodi Smith-McPhee (Il potere del cane, Elvis) e Valeria Golino (Ritratto della giovane in fiamme, Caos Calmo).

Pablo Larraìn ha dichiarato: “Sono estremamente emozionato di iniziare la produzione di Maria, che, spero, farà conoscere la vita e il lavoro straordinari di Maria Callas al pubblico di tutto il mondo, grazie all’eccezionale sceneggiatura di Steve Knight, al lavoro del cast e della troupe e, soprattutto, alla brillante interpretazione e straordinaria preparazione di Angelina”.

Nel film, i costumi della Jolie si basano sugli abiti originali indossati dalla Callas. La produzione ha consultato le associazioni per la difesa dei diritti degli animali, tra cui Peta, circa l’uso dei capi di pelliccia dell’epoca indossati nel film e provenienti dall’archivio storico del costumista Massimo Cantini Parrini. È stato consapevolmente deciso di non utilizzare o di non procurarsi nuove pellicce. ‘Maria’ è una produzione indipendente che rientra in un accordo siglato con Sag-Aftra. 

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A Mentone torna la Biennale d’Arte Sacra, tema dell’edizione 2023 è la redenzione

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AGI – A Mentone, città sulla riviera francese nel sud-est della Francia, torna per la sua terza edizione la BACS (Biennale d’Arte Sacra Contemporanea). In programma per tutto il mese di ottobre, fondata e diretta da Liana Marabini, regista, scrittrice e mecenate, la Biennale riunisce artisti da tutto il mondo attorno al tema della spiritualità e della ricerca dell’interiorità. Ogni edizione ha un tema centrale e quest’anno il tema è la redenzione e uno degli sponsor della BACS, Alter Italia, premierà con un assegno l’artista la cui opera rappresenta maggiormente il tema centrale.

Quasi 600 appassionati d’arte hanno visitato durante la giornata dell’inaugurazione le sale espositive, situate su due livelli del Palace des Ambassadeurs, che non è solo un luogo turistico e accogliente (Grand Hôtel), ma un’enorme galleria d’arte che si estende su 3000 metri quadrati. Quest’anno hanno esposto le loro opere 165 artisti provenienti da 37 Paesi. 

Negli anni pari (quelli in cui la Biennale non si svolge), Liana Marabini e il marito Mauro, coppia di mecenati italiani, stabiliti a Monaco da 35 anni e innamorati di Mentone, città dalla grande vocazione alla cultura, hanno promosso il programma ‘Artist in Residence’, che dà la possibilità a due o tre artisti scelti tra le numerose candidature di trascorrere due settimane in la Costa Azzurra a loro spese lontani dalle preoccupazioni quotidiane. Sfruttando questo tempo non solo per creare ma anche per visitare la regione, una terra che ha ispirato molti artisti nel corso dei secoli. 

“L’arte deve essere fonte di emozione e per questo dobbiamo incoraggiare gli artisti che creano, che danno vita e forma, attraverso le loro opere, alla bellezza e alla spiritualità”, così Liana Marabini spiega le motivazioni della BACS. “Il tema centrale che scegliamo per ogni edizione è un’esortazione alla riflessione e all’introspezione – prosegue – l’edizione 2025 avrà come tema il perdono, verso gli altri e verso se stessi. Questa è la ragione principale dell’esistenza della nostra Biennale. La BACS nasce con il preciso intento di mostrare il lavoro di artisti che traducono nelle loro opere un mondo interiore, che esaltano la bellezza, che incoraggiano la riflessione”.

“Abbiamo scelto, tra le centinaia di opere presentateci per la selezione, una serie di dipinti, sculture e fotografie che sono il risultato del coinvolgimento fisico e intellettuale dell’artista – continua Marabini – il nostro lavoro è quello di mecenati puri, cioè diamo in una direzione, che ci rende liberi dalle nostre scelte e dalle nostre azioni. La nostra selezione di opere e artisti si basa sul carattere sacro dell’arte, in cui continuiamo a credere. Quest’anno abbiamo scelto come tema la redenzione, che significa salvezza, redenzione ed emancipazione. Anche la redenzione ha un angelo, l’arcangelo Gabriele, che è il rivelatore dei disegni divini, colui che annuncia a Maria la venuta di Gesù, è l’angelo dell’Annunciazione. È interessante ricordare – conclude – che nell’aprile del 1951 la Chiesa cattolica emanò un breve apostolico dichiarandolo patrono delle telecomunicazioni”. 

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Matteo Garrone, un po’ Capitano un po’ Robin Hood

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AGI – Non Calvino, non Omero, non altri: è stato forse Robin Hood e il suo combattere l’ingiustizia a determinare la poetica di Matteo Garrone, Leone d’Argento a Venezia per “Io capitano” e ora in corsa per gli Oscar 2024, in rappresentanza del cinema italiano.

Il regista romano è stato a Genova per incontrare il pubblico nelle sale “Corallo” e “America” di Circuito Cinema, dove le tre proiezioni del suo film hanno registrato in pochissime ore il tutto esaurito. Studenti liceali, trentenni, over “anta” hanno affollato le sale, assistendo a un’opera che mescola realtà e favola per raccontare l’epopea, spesso tragica, dell’emigrazione. AGI ha incontrato Garrone tra una proiezione e l’altra e, insieme a lui, ha ripercorso la genesi della pellicola.

Garrone, si ricorda il momento esatto in cui ha deciso di realizzare “Io capitano”?

Ricordo di essere andato tanti anni fa a trovare un amico in un centro d’accoglienza a Catania. Era un centro per minori e lì mi hanno raccontato la storia di Fofana, quell'”Io capitano” che ha dato il titolo al film e che è diventato tutta la parte finale del film: un ragazzo che all’età di 15 anni ha portato in salvo 250 persone, guidando una barca. Quella storia mi rimase impressa: mi fece pensare ai romanzi di mare di Stevenson, di Jack London. Poi ho realizzato “Pinocchio” e il tempo è trascorso, ma è stato come se quel film mi fosse venuto a prendere a un certo punto, come se mi avesse scelto: non ricordo il momento esatto, ma ricordo che mi sono trovato a lavorare a questa storia. Ho raccolto altre testimonianze, racconti e li ho messi insieme, fino alla nascita di “Io capitano”.

Con il film ha cambiato prospettiva sui migranti, dei quali siamo abituati a seguire lo sbarco, non la partenza. Perché?

Uno dei motivi che mi ha spinto a fare il film è stata proprio la volontà di cambiare la prospettiva, di raccontare in controcampo tutta quella parte di viaggio che di solito non si conosce e far vedere che dietro ci sono famiglie, desideri, sogni, persone che hanno gli stessi interessi che abbiamo noi. Ce lo dimentichiamo. Il film fa vedere il viaggio da quel punto di vista, dà voce a loro: io ho fatto solo da tramite. Sono avvantaggiato nel raccontare, perché usando le immagini posso essere più efficace in certi casi. È un potere grande quello del cinema, ma ovviamente dipende da come lo si usa. Il mezzo di suo è potente.

La critica ha fatto molti parallelismi tra lei e Italo Calvino. Che ne pensa?

Calvino non l’ho mai letto, perché ho iniziato a leggere tardissimo, quasi a 19 anni. Ma invece ricordo il primo film che ho visto da piccolo: Robin Hood. Il tema della giustizia quindi per me è qualcosa di ricorrente. Ritorna anche oggi, con “Io capitano” che, di fatto, parla di un’ingiustizia profonda, di chi in qualche modo è giovane, vuole muoversi, ma gli è preclusa la libertà di farlo. Questo tema forse mi è rimasto dentro da allora: a essere onesti è una riflessione che faccio adesso, con questa domanda. Non ci avevo mai pensato prima.

Rappresenterà l’Italia agli Oscar, ponendo i riflettori su un tema che vede il nostro Paese al centro del dibattito. Che ne pensa?

È un tema universale quello trattato dal film. Noi poi, come Paese, siamo sempre stati migranti. Questo è un film che ho iniziato a fare tre anni fa, senza pensare che fosse pro o contro un governo. Ma è un film che aiuta ad avere una prospettiva diversa, che può far riflettere. Non penso che la politica non sappia queste cose. Non credo che la forza di questo film sia nelle informazioni che dà: che si muore nel deserto, che ci siano i campi di detenzione in Libia, che si muore in mare lo sappiamo purtroppo tutti. Ma è un film che ha delle qualità che sono più legate al racconto, alla capacità degli attori di riuscire a toccare delle corde profonde dello spettatore: penso siano queste le cose che rimangono. Lo spettatore dopo pochi minuti entra in empatia con Seydou e con la sua purezza, con la sua verità e la sua umanità. Fa il viaggio insieme a lui, lo vive emotivamente con lui, lo segue nel viaggio dell’eroe. È una struttura classica, all’interno del dramma di quest’epoca.

Sta già lavorando a un altro progetto?

Mi piacerebbe avere un nuovo progetto, ma in questo periodo sto accompagnando il film ovunque e non ho avuto modo di fermarmi a riflettere su cose nuove. Incontro il pubblico che è trasversale, di ogni età, che mi ripaga delle fatiche, che si commuove. Un pubblico anche di varie nazionalità: incontro spesso ragazzi e ragazze africani, che magari hanno anche fatto realmente il viaggio. Ogni volta c’è un dibattito nuovo, degli scambi molto emozionanti.

Da quando ha iniziato a pensare il film, tre anni fa, tante cose sono cambiate: oggi si discute di realizzare CPR in Italia, o di introdurre la “cauzione” di 5 mila euro per non essere lì reclusi. Che ne pensa?

Non entro nei dibattiti politici, ma credo personalmente che il modo migliore per combattere i trafficanti di esseri umani e questa profonda ingiustizia, sia quella di mettere ordine nei visti e regolarizzare i flussi di entrata, in modo che queste persone possano venire e tornare liberamente, senza dover metter in gioco la loro vita, come fanno i ragazzi di tutto il mondo. Molti arrivano, ma hanno anche il desiderio di tornare a casa.

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Fosse, il Nobel annunciato all’innovatore dei fiordi

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AGI – Un premio Nobel per la Letteratura annunciato quello assegnato a Jon Fosse, lo scrittore norvegese che da una ventina d’anni finiva tra i candidati al massimo riconoscimento dell’Accademia di Svezia ed e universalmente considerato tra i più importanti scrittori contemporanei. Lui stesso si è detto “sorpreso ma non troppo” all’annuncio dal premio “per le sue opere teatrali e la prosa innovativa che danno voce all’indicibile”, come è scritto nella motivazione.

Fosse, 64 anni, si è affermato come un autore eclettico, sia di romanzi che di testi teatrali, raccolte di poesie, saggi e libri per bambini e adolescenti, sempre con la capacità di scavare nelle contraddizioni dell’uomo. Le sue opere sono state tradotte in oltre 50 lingue, anche grazie a una prosa e a uno stile asciutti ma inconfondibili.

Nato nel 1959 a Haugesund, sulla costa occidentale della Norvegia, il suo lavoro “tocca i sentimenti più profondi che si provano, le ansie, le insicurezze, le domande sulla vita e sulla morte”, come ha affermato Anders Olsson, poeta e presidente del Comitato Nobel incaricato di scegliere la shortlist dei finalisti. “Per me scrivere è come pregare”, ha spiegato Fosse in diverse interviste.

L’ultimo norvegese a ricevere questo premio era stato Sigrid Undset nel 1928, l’ultimo autore scandinavo a ottenerlo era stato invece nel 2011 il poeta svedese Tomas Transtromer. “Sono sopraffatto dall’emozione e anche un po’ spaventato, ma al tempo stesso sono felicissimo e grato“, ha affermato Fosse, “commosso”, attraverso la sua casa editrice norvegese Samlaget.

“Sono abituato alla suspense ed ero anche abituato a non ottenere il premio”, ha dichiarato a una tv, “mi ero però preparato mentalmente alla felice evenienza nell’ultimo decennio. Non si arriva più in alto del Premio Nobel. Dopo di questo, è tutto in discesa”. Fosse vive nella residenza onoraria di Grotten, a Oslo, concessagli dal Re per i suoi meriti letterari.

Ha esordito nel 1983 e da allora ha alternato diversi generi. I suoi testi teatrali sono stati messi in scena in tutto il mondo, a partire dalla produzione parigina del 1999 di Claude Règy della sua opera teatrale del 1996 “Nokon kjem til a komme” (“Qualcuno sta per arrivare”). Presso La nave di Teseo ha pubblicato Mattino e sera (2019) e L’altro nome. Settologia I-II (2021). Settologia – libro dell’anno per “The New Yorker” e scelto come editor’s choice da “The New York Times” – e stato finalista nel 2022 all’International Booker Prize, al National Book Award e al National Book Critics Circle Award.

Il 10 ottobre uscirà in Italia ‘Io è un altro’, che raccoglie il terzo e quarto volume di Settologia, il romanzo-mondo strutturato in sette parti, sempre con ‘La nave di Teseo’, che vede protagonisti due pittori con lo stesso nome, Asle: uno è un uomo di successo, ma ha perso sua moglie. L’altro alza il gomito troppo spesso. Viene da pensare che siano la stessa persona, eppure a volte si incontrano e si parlano. 

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A Firenze la prima mostra del collettivo artistico Numero Cromatico

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AGI – Da sabato 7 ottobre, in occasione della Giornata del Contemporaneo, e fino a febbraio 2024, gli spazi del Gallery Hotel Art, Lungarno Collection, di Firenze ospitano il collettivo artistico Numero Cromatico con la mostra A burning fire a cura di Valentina Ciarallo.

La Lungarno Collection torna a parlare e nutrirsi d’arte con un esclusivo progetto che arricchisce la rosa di collaborazioni che sin dal 2012 il Gallery Hotel Art di Vicolo dell’Oro 5 porta avanti, continuando a far da tramite nel dialogo creativo tra arte contemporanea, i fiorentini e i suoi ospiti.

“Il mio amore per te non sarà mai semplice luce, ma un fuoco che arde. Mi mancherai e io ti cercherò ovunque. Aprirò le finestre su spazi senza fine” è uno dei versi di I.L.Y., acronimo di I Love You, intelligenza artificiale creata e istruita per la scrittura di poesie d’amore dal collettivo artistico Numero Cromatico.

Le frasi generate da input linguistici e materializzate su texture di tessuto colorato aprono una riflessione sull’interazione tra intelligenza umana e artificiale e la conseguente sfida progressiva della tecnologia.

Il gruppo, nato nel 2011 e composto da artisti, linguisti, neuroscienziati e designer, si basa sull’interdisciplinarietà e su una metodologia procedurale che coinvolge le neuroscienze e le intelligenze artificiali, mediante una precisa e originale ricerca che porta a una nuova percezione e teoria estetica.

La mostra A burning fire nasce quindi dal desiderio di stimolare lo spettatore a una partecipazione diretta e attiva nella costruzione dell’esperienza artistica offrendo una nuova modalità di percepire l’arte e aprendo una riflessione riguardo a tematiche culturali e sociali condivise dall’umanità.

La scrittura di Numero Cromatico entra nella sfera delle emozioni come la scrittura tradizionale e la fruizione dell’opera si completa come esperienza multisensoriale. L’algoritmo creativo I.L.Y. genera poesie inedite legate all’amore in tutte le sue forme e ai rapporti interpersonali attingendo dai grandi autori del passato.

“Your eyes look and I listen to them”, “Flowers tremble, my kisses, your words”, “I will miss you and I look for you everywhere”: sono frasi poetiche che vivono in uno spazio sospeso, atemporale e che invitano a riflettere sull’esistenza del tempo stesso. L’opera supera il confine della pura lettura e instaura con lo spettatore un rapporto di natura fisica e tattile grazie ai morbidi tessuti utilizzati.

L’abilità artigianale della lavorazione su stoffa, eredità di un passato, con l’utilizzo di colori primari su pattern geometrici o camouflage è unita a processi tecnologici. Visioni creative tradotte in realtà portano a percepire l’opera di Numero Cromatico in maniera singolare e personale in ognuno di noi entrando nella dimensione in cui il pubblico diviene soggetto e oggetto dell’opera stessa.

Il Collettivo segue per molti aspetti la ricerca legata alle Avanguardie del Novecento, fra tutti il Futurismo, come movimento aperto all’utilizzo delle espressioni che attraversano i territori artistici e culturali proponendo una teoria dell’arte liberata dalla pura estetica e basata su studi scientifici. Metafora di un prodotto artistico spontaneo e reale, frutto di una macchina, a sua volta frutto dell’ingegno umano.

Altra influenza significativa per il gruppo è l‘Eventualismo, teoria estetica degli anni Settanta a cui fa capo l’artista Sergio Lombardo, antesignano di valori artistici connessi al dato scientifico e promotore di un’esperienza pragmatica tra artista e pubblico, tra spettatore e opera, il cui compimento si realizza nella risposta del pubblico stesso.

La mostra è poi arricchita il progetto “Somnium” nato dalla collaborazione con Untitled Association. Un dispositivo creato per stimolare l’attività onirica come manifestazione vitale ma anche come rivelazione atavica. Il kit “Somnium” è fornito di relative istruzioni d’uso ed è a disposizione degli ospiti dell’hotel come mezzo per favorire il ricordo dei sogni al risveglio. L’occasione espositiva diviene così per “Somnium” il campo dove studiare e registrare le reazioni percettive. La raccolta dei sogni viene condivisa su display come un sogno collettivo.

Inoltre una serie di lavori inediti su carta a base di impasto di kiwi arricchiscono la selezione dei suggestivi arazzi scelti per A burning fire. L’uso di carta ecologica è ricorrente nella produzione editoriale del collettivo, con l’utilizzo della stampa a freddo Risograph, chiamata anche “ideale” per l’uso di inchiostri e materiali sostenibili.

“My love for you will never be a mere light, but a burning fire” è l’intervento site-specific realizzato all’esterno del Gallery Hotel Art che invita il pubblico al percorso esperienziale di Numero Cromatico che, anche in questa occasione, si conferma essere come un “dispositivo” aperto al confronto e in continua evoluzione e ricerca.

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Nobel per la Letteratura a Jon Fosse

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Lo scrittore e drammaturgo norvegese Jon Fosse, 64 anni, ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura 2023

BREAKING NEWS
The 2023 #NobelPrize in Literature is awarded to the Norwegian author Jon Fosse “for his innovative plays and prose which give voice to the unsayable.” pic.twitter.com/dhJgGUawMl

— The Nobel Prize (@NobelPrize)
October 5, 2023

Esordì nella scrittura nel 1983 ed è reputato tra gli autori più significativi del teatro contemporaneo. Ha sperimentato diversi generi, dal racconto alla poesia, dalla saggistica ai libri per l’infanzia. Diverse sue opere sono state tradotte in italiano da La nave di Teseo.

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La deportazione dei Carabinieri di Roma nei campi nazisti

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AGI – La razzia e la deportazione dei Carabinieri erano necessarie per poter procedere al rastrellamento e all’invio nei campi di sterminio degli ebrei romani. E infatti, con la radicata presenza dei militari dell’Arma nella capitale, l’operazione originariamente prevista per il 26 settembre 1943 era stata rinviata a ottobre dall’Obersturmbannführer Herbert Kappler, comandante del Sicherheitsdienst, della polizia tedesca e della Gestapo a Roma, l’SS che aveva avuto un ruolo di primo piano nell’intelligence che aveva portato alla liberazione di Mussolini il 12 settembre dall’albergo-prigione di Campo Imperatore.

Kappler aveva altresì realizzato il sequestro e l’invio in Germania della riserva aurea della Banca d’Italia e aveva ideato e portato a compimento l’ignobile ricatto alla comunità ebraica per farsi consegnare 50 chili d’oro entro 36 ore e non procedere così alla deportazione, che invece avverrà il 16 ottobre. Era, questo, il suo piano B, fatto scattare proprio il 26 settembre, con un inganno criminale, non potendo mettere subito le mani sui circa 12.000 ebrei romani del ghetto di Portico d’Ottavia fino a quando i Carabinieri non fossero stati tolti di mezzo.

Le forze tedesche erano infatti numericamente scarse, i fiancheggiatori fascisti anche, mentre i militari dell’Arma erano apertamente dalla parte della popolazione, oltre che ligi al giuramento di fedeltà al Re: si erano infatti rifiutati di partecipare a retate e rappresaglie, e sugli ebrei avevano un atteggiamento che non era quello delle autorità naziste. Temendo, a ragione, che si sarebbero opposti al rastrellamento, Kappler aveva guadagnato tempo per consentire che le autorità della Repubblica Sociale Italiana appena fondata da Mussolini a Salò effettuassero le loro mosse d’intesa col Reich.

La vendetta sui “traditori”

Il 6 ottobre un foglio d’ordine con protocollo riservato 296 del Maresciallo d’Italia e ministro per la difesa nazionale della RSI Rodolfo Graziani, nel sottolineare con fastidio l’«inefficienza numerica, morale e combattiva» dei Carabinieri, si rivolgeva al generale Casimiro Delfini, facente funzioni di comandante generale, e al generale Umberto Presti comandante della Polizia dell’Africa italiana (PAI), disponendone il disarmo, la consegna in caserma e il divieto di allontanamento dai reparti dei Carabinieri di Roma.

Gli ufficiali che non avessero adempiuto erano passibili di fucilazione e i loro familiari sottoponibili all’arresto, secondo il barbaro Sippenhaft adottato dal Terzo Reich, la responsabilità oggettiva familiare che è ripudiata da qualsiasi ordinamento penale che riconosce la sola responsabilità personale. Il controllo delle caserme di Roma passava quindi ai militi della PAI alla quale veniva assegnato anche il servizio d’ordine nella Città aperta, ed era evidente che fosse per conto dei tedeschi, in attesa che potessero farlo loro. Alla raccolta delle armi, l’indomani, 7 ottobre, provvedono i paracadutisti tedeschi che hanno l’ordine di sparare a vista contro chiunque tenti la fuga.

I Carabinieri vengono quindi portati alla stazione ferroviaria e fatti salire sui treni sostenendo che dovranno prendere servizio nelle caserme del nord Italia, quando invece è già stabilito che oltrepasseranno il Brennero e avranno come destinazione finale i lager nazisti, dove andranno a ingrossare le fila già mostruose degli Internati militari italiani, i soldati disarmati e rinchiusi dopo l’armistizio dell’8 settembre: gli IMI sono un’invenzione lessicale di Hitler, che così può vendicarsi dei “traditori” e non applicare le convenzioni internazionali a tutela dei prigionieri che possono altresì essere utilizzati come mano d’opera forzata nelle fabbriche del Reich.

La resistenza dell’Arma

Non conosciamo il numero esatto dei Carabinieri deportati, una cifra che oscilla tra i 1.500 e i 2.500, poiché la documentazione di fonte tedesca è andata perduta, ma è evidente che qualche notizia su quello che sarebbe accaduto fosse filtrata alla vigilia per consentire di sfuggire alle maglie tedesche. Non a caso buona parte dei Carabinieri la loro scelta di campo, etica prima ancora che militare, l’avevano già fatta.

Il 25 settembre a Bosco Martese, nel Teramano, la prima battaglia campale della Resistenza antitedesca era stata guidata dal capitano Ettore Bianco. Il giovane ufficiale di complemento Carlo Alberto Dalla Chiesa, in servizio nelle Marche, condannato a morte dai tedeschi per la sua attività entrò subito in clandestinità mettendosi alla testa di «bande di patrioti» e responsabile «di intere popolazioni civili»; e, con loro, poco meno di 200 ufficiali che si distinsero nella Guerra di liberazione.

Lo scollamento tra l’Arma e il rinato regime fascista repubblicano è comprovato dalla decisione di neutralizzare i Carabinieri nell’Italia del nord sciogliendoli l’8 dicembre 1943 nella Guarda nazionale repubblicana, esercito di partito sul modello delle SS. Nei lager nazisti, come ricorda l’oggi centenario Abramo Rossi che il 7 ottobre 1943 venne deportato da Roma assieme ai commilitoni, «quando ci chiesero se volevamo essere liberati in cambio del giuramento a Mussolini noi Carabinieri rispondemmo tutti di no».

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