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Rilancio, riorganizzazione, ristrutturazione, formazione La chirurgia napoletana guarda oltre il covid

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Appuntamento il 27 e 28 settembre 2023 nell’aula magna della Scuola di Medicina di Scampia

Rilancio, riorganizzazione, ristrutturazione dei reparti e tanta formazione. Le sfide della chirurgia partenopea, gli obiettivi e le attività in corso dopo l’emergenza covid. Saranno questi i temi al centro del congresso Napoli Surgery che si terrà il 27 ed il 28 settembre 2023 presso l’aula magna della Scuola di Medicina di Scampia – Centro congressi Università degli Studi di Napoli Federico II.

“La rete chirurgica, così come quella oncologica, dell’Asl Na 1 Centro – hanno fatto sapere dal comitato scientifico di Napoli Surgery – è stata messa a dura prova dal Covid ma ha tenuto e adesso è il momento del rilancio. Anche grazie al buon utilizzo dei fondi Pnrr per la ristrutturazione degli ambienti, stiamo ottenendo già ottimi risultati in termini assistenziali e di prevenzione. Riflettiamo quindi sul ruolo presente e futuro degli ospedali, che ormai non sono solamente luoghi di assistenza ma anche di formazione, grazie alla collaborazione tra le Università Vanvitelli e Federico II”.

Il congresso, patrocinato, tra gli altri, da Regione Campania, Asl Na 1 Centro, Comune di Napoli e dall’Associazione chirurghi ospedalieri (Acoi), avrà inizio alle 14:00 del 27 settembre. La due giorni sulla chirurgia si aprirà con la sessione dedicata alla rete tempo dipendente del trauma e le urgenze chirurgiche nell’Asl Napoli 1 Centro.

A dare il proprio contributo alla discussione, autorità ed esperti nazionali ed internazionali.

L’attuale periodo è caratterizzato da cambiamenti significativi nella sanità, motivati in parte dalla pandemia che ha evidenziato la necessità di un sistema sanitario che sappia guardare con fiducia alle sfide future. Le discipline chirurgiche, in particolare, hanno sperimentato notevoli difficoltà sia in termini di organizzazione, sia di risorse. Nonostante tutto, il sistema ha retto, ora si assiste ad un progressivo processo di rinnovamento e di rilancio dell’attività chirurgica.

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“Ultimi giorni a Parigi”, il libro sulla morte di Jim Morrison

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AGI – Su Jim Morrison, cantautore e poeta, leader carismatico del gruppo rock dei ‘Doors‘, artista mito di una generazione, morto a soli 27 anni a Parigi il 3 luglio 1971 si è scritto moltissimo. Forse tutto quello che c’era da scrivere. Difficile pensare dunque che ci sia ancora qualcosa di inedito da pubblicare. O forse no. È quello che si è chiesto Federico Traversa scrittore e cofondatore di Chinaski Edizioni, casa editrice genovese indipendente, autore di diversi libri legati al mondo del rock e vero e proprio appassionato di Jim Morrison.

In realtà un libro che parla di quello che fu soprannominato ‘Re Lucertola’ in Italia non è mai stato pubblicato – e per anni neppure ripubblicato nel mondo – quello scritto nel 1973 (e poi aggiornato nel 1991) dal critico musicale parigino Hervé Muller, amico di Jim Morrison, che indagò sulla sua morte e che fece una scoperta che permette di riscrivere la dinamica del decesso. Muller ebbe seri problemi psichiatrici per cui non volle che il suo libro fosse ripubblicato.

Dopo la sua morte, avvenuta nel 2021, la sorella decise di mandare nuovamente in stampa il volume e Traversa non si fece sfuggire l’occasione di acquistarne i diritti per Chinaski Edizioni. E cosi’ arriva finalmente in libreria in Italia ‘Jim Morrison, ultimi giorni a Parigi‘ di Hervé Muller (Ed. Il Castello, traduttore Michelle Zarro: pagg. 160 – Prezzo: 19 euro) dedicato agli ultimi giorni del frontman dei ‘Doors’.

Secondo la ricostruzione ufficiale Jim Morrison morì il 3 luglio 1971 per arresto cardiaco, ma secondo l’autore critico rock parigino e amico del protagonista le cose non andarono così. Questa indagine realizzata poche settimane dopo la sua morte, partendo dai testimoni che con lui condivisero gli ultimi giorni di vita nella capitale francese, vuole fare luce su questa misteriosa e ambigua vicenda.

La ricerca passa al setaccio i verbali della polizia, i referti e le testimonianze della fidanzata Pamela. Le dichiarazioni degli amici Agnes Varda e Alain Ronay, del conduttore radio Jean-Bernard Hebey e del dj Cameron Watson. Finanche le confidenze della cantante Marianne Faithfull, che in quel periodo si trovava a Parigi. Scavando nell’underground con le informazioni date per certe dagli spacciatori dei club che frequentavano proprio in quei giorni, Muller ne conclude che Morrison sia morto per overdose nei bagni della discoteca Rock’n’Roll Circus.

Successivamente trasportato a casa e posizionato nella celebre vasca da bagno. Non un giallo, non un rapporto di cronaca nera, ma un sentito racconto di “quei giorni a Parigi” che diventano quasi uno “state of mind” per una figura del calibro di Morrison. Il titolo del libro – anche nella versione francese – fa riferimento agli ultimi giorni a Parigi, ma in realtà questo è solo una piccola parte di questa biografia, anche se la più interessante dal punto di vista storiografico.

In realtà Muller scrive una bella e originale biografia – titolo originale nel 1973 è, infatti, ‘Jim Morrison, au-dela’ des Doors’ (Jim Morrison, al di là dei ‘Doors’) – in cui nella parte finale parla del viaggio a Parigi del cantante che doveva essere un nuovo capitolo della sua vita, un momento per dedicarsi alla scrittura e limitare gli eccessi. Un passo verso l’agognato anonimato prendendo le distanze dai ‘Doors’ e più in generale dallo showbiz.

Nel libro Muller ripercorre la vita di Jim Morrison grazie ai racconti di chi l’ha conosciuto veramente al di là dell’idolo internazionale che era diventato, suo malgrado. Le indiscrezioni dei compagni dei ‘Doors’ Manzarek, Densmore e Krieger, si incrociano con le affermazioni del suo amico Frank Lisciandro e del manager Bill Siddons. Sono i rumors sulla controversa figura della ‘compagna cosmica’ Pamela Courson, però, a chiudere il cerchio.

Gli abusi di alcol e droghe, la provocazione, l’anarchismo incontrollato stridono con la figura di un ragazzo di 27 anni che soffrì molto per non essere veramente riconosciuto come un poeta. Questi giorni a Parigi sono proprio l’apice di un percorso emotivo. Morrison confessa all’autore di voler sfuggire a quei demoni che lui stesso aveva creato, e dei quali aveva perso il controllo. La quotidianità è scandita da continue bevute, jam session occasionali e accese discussioni su cinema e letteratura. Un equilibrio instabile tra mito e realtà.

Nella Francia dove cercava se stesso, patria dei suoi amati poeti Baudelaire e Rimbaud, i suoi ultimi giorni sono sospesi tra sognanti progetti per il futuro e un impeto di autodistruzione nichilista. Una fine forse annunciata di un ragazzo diventato un mito perche’, scrive l’autore al termine del libro, “se ha toccato cosi’ nel profondo le generazioni successive per decenni è proprio perché esprime e rappresenta sentimenti e valori senza tempo. E universali”, conclude.

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La donna curvy e sensuale di Karoline Vitto

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AGI – Bella come una volta, abbondante. Veste dalla taglia 42 alla 58 la donna di Karoline Vitto, la stilista brasiliana impegnata nella ‘valorizzazione’ del corpo femminile. Le sue creazioni per la primavera-estate 2024, supportate da Dolce & Gabbana, sono state presentate durante la Fashion week di Milano.

In passerella esclusivamente modelle curvy, capitanate dall’icona Ashley Graham (che ha calcato la catwalk anche per D&G), con capi che incarnano l’incontro tra due paesi, il Brasile, sua terra natale, e l’Italia di Dolce&Gabbana, e si ispirano alle creazioni donna primavera/estate 1992 di D&G e ai suoi iconici capi di lingerie. Il risultato è una palette di nuovi colori, silhouette scultoree e, per la prima volta, stampe che omaggiano la sensualità delle donne.

I consueti fili d’acciaio, tocco distintivo della designer, continuano a incorniciare le curve. In passerella anche un’ampia selezione di maglieria realizzata con la tecnica floating che avvolge il corpo e poi medagliette, ciondoli e monete collezionati dalla famiglia di Karoline nei vivaci mercati di San Paolo. 

Questo costante riferimento all’heritage di Karoline Vitto è accompagnato da una colonna sonora, composta esclusivamente per il suo show, che combina suoni ancestrali ai ritmi pulsanti della musica funk brasiliana.

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L’isola degli arrusi. Quando il fascismo confinava i gay

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AGI – Dopo Bologna, Roma, Napoli, Bergamo, Reggio Emilia, Mantova, ma anche Montreal e altre città in Germania, in Olanda e presto in Svizzera, la mostra “L’isola degli arrusi” della fotografa piacentina Luana Rigolli, romana d’adozione, è aperta a Cefalù al Caffe letterario Galleria fino all’8 ottobre, data di cui è stata già decisa la proroga di venti giorni per l’alto interesse suscitato.

Cefalù ospita una parte del repertorio fotografico che l’artista ha raccolto in un omonimo libro autoprodotto sul confino nelle isole Tremiti di quarantacinque omosessuali tutti catanesi che nel 1939, per via dell’accanita repressione omofoba scatenata dal questore del tempo, furono isolati per motivi politici, in realtà per ragioni legate all’imperante credo fascista della “difesa della razza”.

I fatti sono stati rievocati una prima volta dalla stessa galleria d’arte cefaludese di Giuseppe Provenza in occasione della Giornata della memoria nel 2021, quando a motivo della pandemia si ebbe solo una diretta streaming che prese spunto dal libro “La città e l’isola” (uscito nel 2006 da Donzelli e ripubblicato l’anno scorso) di Tommaso Giartosio e Gianfranco Goretti che ricostruiscono la vicenda ancora oggi poco conosciuta. L’artista palermitana Pupi Fuschi partecipò all’evento disegnando in presa diretta alcuni dei volti dei confinati.

“A luglio dello stesso anno – dice all’AGI Provenza, titolare della galleria – contattammo la fotografa Luana Rigolli che aveva realizzato un gran lavoro sul caso e abbiamo allestito una mostra di foto, “Fino al confino”, con un vernissage costituito da una performance del puparo Angelo Sicilia che ha rappresentato il momento in cui il questore chiama per nome uno per uno gli omosessuali destinati all‘isola di San Domino alle Tremiti. Dopo che la Rigolli si è impegnata nell’autoproduzione del suo libro, abbiamo deciso una nuova mostra, aperta il 16 settembre scorso e di tale interesse che tutte le sue copie sono andate vendute”.

La fotografa quarantenne di madre siciliana si è decisa a finanziare interamente da se’ la propria opera, costata undicimila euro, dopo che per due anni ha provato a vendere le foto a riviste italiane senza avere nemmeno una risposta. “Nel sospetto – dice all’AGI – che nemmeno gli editori mi avrebbero risposto, mi sono decisa a fare tutto da sola stampando quattrocento copie. Per fortuna all’estero, dove l’interesse su questa pagina di storia fascista è molto più forte, le cose sono andate diversamente, tanto che in Canada ho venduto le foto a tre riviste e ho avuto finanziata una mostra che se adesso sta girando in Italia e perché hanno fatto tutto loro, altrimenti sarebbe difficile anche fare mostre nel nostro Paese”.

Luana Rigolli, fotografa viaggiatrice attratta dai luoghi remoti e insoliti, è arrivata a conoscere il caso degli “arrusi” (secondo l’espressione catanese con chi vengono chiamati i gay) leggendo il libro di Giartosio e Goretti. “Mi ci sono dedicata con impegno, andando all’Archivio centrale di Stato e fotografando tutti i volti presi dalle schede biografiche, le lettere di richiesta di grazia dei confinati al re e al ministro, i verbali di polizia a loro carico. Sono stata alle Tremiti dove ho fotografato quanto rimane dei luoghi del confino e quindi a Catania nei posti di ritrovo dei gay, nella sala da ballo per soli uomini che oggi e un centro sommesse”.

Il libro, la cui copertina riproduce cromaticamente e graficamente la carta di permanenza dei confinati, integra quello di Giartosio e Goretti e si affida un titolo, “L’isola degli arrusi”, che sottende non la Sicilia ma le Tremiti. Dove, secondo alcune cronache, gli omosessuali catanesi poterono muoversi liberi senza più doversi nascondere.

Quando la fortezza di San Domino servì al governo per recludervi i veri prigionieri politici, gli omosessuali furono rimandati a casa ed è stato a Catania che gli autori di “La città e l’isola” hanno rintracciato due di loro e raccolto le loro testimonianze e confidenze. La mostra di Rigolli comprende trenta grandi foto incorniciate di luoghi, provvedimenti giudiziari, lettere, e quarantacinque riproduzioni dei volti dei confinati come risultavano nei lor fascicoli. A Cefalù, per problemi di spazi, il corredo è più ridotto, ma assicura una presa di conoscenza consapevole ed esauriente dei fatti raccontati per immagini. “Non si può rimanere passivi – dice Giuseppe Provenza – di fronte a vicende che hanno segnato il nostro tempo e che sono rimaste pressoché inesplorate. Molta di questa gente, anche donne omosessuali, finiva nei manicomi perché considerata non sana geneticamente. La mostra serve a tenere viva non solo la memoria ma anche l’attenzione storica”.

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L’Italia candida ‘Io Capitano’ di Matteo Garrone agli Oscar

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AGI – È ‘Io Capitano’ di Matteo Garrone il film candidato a rappresentare l’Italia nella selezione per la categoria International Feature Film Award dei 96esimi Premi Oscar.

Erano 12 i film in lista (tra cui ‘Il Sol dell’Avvenire’ di Nanni Moretti, ‘Rapito’ di Marco Bellocchio e ‘Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores), ma la scelta della commissione di selezione, istituita presso l’Anica su richiesta dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, è caduta sul film più “politico”, che racconta l’odissea moderna di due giovani che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa, attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare.

L’annuncio delle shortlist è previsto per il 21 dicembre 2023, le Nomination verranno annunciate il 23 gennaio 2024 mentre la cerimonia di consegna degli Oscar si terrà a Los Angeles il 10 marzo 2024.

Il Comitato di Selezione per il film italiano da designare agli Oscar istituito dall’ANICA su incarico dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, è composto da Alessandro Araimo, Domizia De Rosa, Esmeralda Calabria, Daniela Ciancio, Francesca Lo Schiavo, Giorgio Moroder, Cristiana Paterno’, Michele Placido, Paola Randi, Riccardo Tozzi, Gianpiero Tulelli.

La motivazione

Questa la motivazione ufficiale della scelta del film di Garrone: “Per aver incarnato con grande potenza e maestria cinematografica il desiderio universale di ricerca della libertà e della felicità. Creando un’epica del sogno che mette in scena il coraggio e il dolore che segnano da sempre le migrazioni, in una dimensione di profonda umanità”.

Garrone: “Spero che viaggio Seydou tocchi cuore americani”

“Siamo molto orgogliosi di poter rappresentare l’Italia agli Academy Awards con Io Capitano e ci auguriamo che il viaggio di Seydou possa toccare il cuore anche del pubblico americano”. Cosi’ Matteo Garrone, regista del film candidato dall’Italia per la corsa all’Oscar per il miglior film internazionale. 

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Grisham e altri scrittori fanno causa a OpenAI per ChaGpt

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AGI – George R.R. Martin, l’autore della saga di “Game of Thrones”, John Grisham e altri scrittori hanno intentato una causa contro la startup californiana OpenAI, accusata di aver utilizzato le loro opere per creare ChatGPT in spregio ai diritti d’autore.

Nella denuncia depositata presso un tribunale federale di New York, gli autori accusano la società di aver utilizzato i loro libri “senza autorizzazione” per addestrare il modello linguistico, ovvero la tecnologia di intelligenza artificiale (AI) che sta alla base di ChatGPT, un software in grado di produrre ogni tipo di testo partendo da una semplice richiesta. “Al centro di questi algoritmi c’e’ un furto sistematico su vasta scala”, affermano gli avvocati.

Tra i querelanti di questa class action ci sono l’Authors Guild (un’organizzazione che rappresenta gli autori) e diversi scrittori, tra cui George R.R. Martin e il romanziere John Grisham, Numerose altre denunce sono state presentate da artisti, organizzazioni e codificatori contro OpenAI e i suoi concorrenti nelle ultime settimane.

I modelli linguistici “mettono in pericolo la capacità degli scrittori di narrativa di guadagnarsi da vivere, in quanto consentono a chiunque di generare automaticamente e gratuitamente (o a costi molto bassi) testi per i quali altrimenti dovrebbero pagare gli autori”, sostengono gli avvocati nella denuncia.

Gli autori chiedono ora di vietare l’uso di libri protetti da copyright per la creazione di modelli linguistici “senza un’espressa autorizzazione”, oltre al risarcimento dei danni.

OpenAI ha avuto bisogno di montagne di testi, recuperati online, per sviluppare il suo modello linguistico, ma non ha mai specificato esattamente quali siti e quali opere sono state utilizzate. 

 

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Riapre al pubblico la Domus Tiberiana

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AGI – Il Parco archeologico del Colosseo apre al pubblico la Domus Tiberiana, a distanza di quasi 50 anni dall’insorgere dei gravi problemi strutturali che ne avevano determinato la chiusura e a seguito di importanti interventi di restauro. La grandiosa residenza imperiale, estesa per circa 4 ettari sul colle Palatino, si affaccia sulla valle del Foro Romano con poderose arcate su più livelli, immagine iconica di quest’angolo della città antica.

Con l’apertura del palazzo viene ripristinata la circolarità dei percorsi tra Foro Romano e Palatino, attraverso la rampa di Domiziano e gli horti farnesiani: il visitatore, che entra nel palazzo percorrendo la via coperta nota come Clivo della Vittoria, avrà cosi la percezione dell’antico cammino percorso dall’imperatore e dalla corte per raggiungere la grandiosa residenza privata, che dal colle Palatino ha dato origine al moderno significato della parola “palazzo”.

Imago imperi è il titolo dell’allestimento museale, a cura di Alfonsina Russo, Maria Grazia Filetici, Martina Almonte e Fulvio Coletti, con l’organizzazione di Electa, che si articola nei 13 ambienti che si aprono lungo il percorso, con l’ambizione di raccontare la storia del monumento nei secoli.  Se infatti la denominazione Domus Tiberiana, nota dalle fonti, rimanda all’imperatore Tiberio, che ha guidato l’impero dopo la morte di Augusto, le indagini archeologiche hanno dimostrato che le fondamenta del palazzo sono state gettate da Nerone in un momento successivo all’incendio del 64 d.C., ovvero contestualmente all’edificazione della Domus Aurea, in continuità con le più antiche dimore aristocratiche.

Successive trasformazioni, in particolare ad opera degli imperatori Domiziano ed Adriano, hanno ulteriormente ampliato la dimora. La residenza ha continuato a vivere fino in età tardo-antica, per tornare a nuova vita dopo un periodo di abbandono, quando nella metà del Cinquecento i Farnese l’hanno inglobata negli horti. Oggetto di scavi ininterrotti e di restauri già a partire dal XIX secolo, la Domus Tiberiana era stata aperta alla pubblica fruizione dall’archeologo Pietro Rosa, contestualmente al primo Museo Palatino.

In questi anni recenti la Domus Tiberiana è stata oggetto di importanti lavori di scavo e restauro volti alla conoscenza, alla tutela e alla valorizzazione di un organismo architettonico tanto complesso quanto inizialmente a rischio per i gravi dissesti statici e geotecnici delle imponenti strutture, ora sanati. 

Sangiuliano, l’apertura della Domus Tiberiana un risultato storico

“Il parco archeologico del Colosseo prosegue con l’obiettivo di restituire al pubblico spazi precedentemente preclusi alla visita. Ai nuovi e diversificati percorsi aperti negli ultimi anni, oggi si aggiunge un risultato storico: ovvero l’apertura al pubblico della Domus Tiberiana”. Lo dice il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. “Viene così finalmente restituito il percorso circolare tra il Foro Romano e il Palatino attraverso successivi spazi del palazzo imperiale – aggiunge – un risultato raggiunto con un forte impegno di squadra durante lunghi lavori di restauro e riqualificazione funzionale del monumento”.

“Per quanto riguarda il Parco archeologico del Colosseo abbiamo fatto degli investimenti anche per quanto rigiarda la multimedialità e nel corso degli anni lo renderemo sempre più appetibile e fruibile”, ha aggiunto. 

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Baglioni torna dal vivo col total show “aTuttoCuore”

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AGI – Sul palco per tre ore cantando oltre 30 dei suoi più famosi successi insieme a performer, ballerini, con un’orchestra dal vivo, cambi di scena per ogni brano, luci, laser, per realizzare uno spettacolo nello spettacolo, un total show che arriva dritto al pubblico: ecco “aTuttocuore” di Claudio Baglioni, rock opera show un po’ visionaria, posta fra passato e futuro.

Il cantautore romano, all’età di 72 anni, tiene la scena come un trentenne, ogni tanto si concede anche coreografie con il corpo di ballo, e canta sempre con quello stesso timbro di voce che lo ha reso unico: dal graffiato baritonale che arriva al quasi soprano. “aTuttocuore” è uno spettacolo che chiude una trilogia aperta tempo fa, per certi versi diremmo autocelebrativo come è giusto che sia per tutto quello che ha rappresentato e rappresenta Claudio Baglioni nella musica italiana.

Una rock opera show, che poi tanto rock non è, ma come ha spiegato lo stesso cantautore durante una conferenza stampa post prove a notte fonda, “è il contesto, l’energia che viene trasmessa che lo lascia pensare” come uno spettacolo da opera rock. In effetti le sonorità sono varie: andiamo dal rock, al pop, allo swing, qualche nota di jazz, negli arrangiamenti delle sue canzoni. Tutta da vedere e da ascoltare ad esempio, l’interpretazione di “Notti” con i fiati protagonisti assoluti del pezzo.

Bellissimo lo spettacolo offerto in occasione di “Porta Portese” dove in scena sembra davvero che ci sia il famoso mercato romano, coloratissimo, allegro, frizzante, con tutti i personaggi che capitava o capita ancora oggi di incontrare. Tutta proiettata sul futuro l’esecuzione di “Le ragazze dell’est” con ballerine e immagini Avatar, a testimoniare che tutto cambia, tutto si evolve e “le ragazze dell’Est – come ha spiegato lo stesso Baglioni – non sono più quelle di prima. Già non lo erano più quando ho scritto il pezzo”.

Tre ore di concerto sono tante, “mettetevi comodi – ha avvertito il cantautore prima di iniziare con le prove – ma il tempo scorre grazie alla formula di spettacolo scelta. Non manca il momento più intimo, per lasciare spazio ad esempio, al suo più grande successo di sempre: “Questo piccolo grande amore” che Baglioni esegue da solo, al pianoforte, senza orchestra. Ci sono anche dei medley di altri successi. Del resto non si può cantare tutto, perchè le canzoni che ha scritto Baglioni sono davvero tante: “Ne ho composte 350 – ha spiegato – fino al secondo album me la sono cavata e riuscivo a farle tutte, poi via via, si va verso la formula dell’antologia. In questo spettacolo ci sono anche cinque brani dell’ultimo anno. Del resto ormai, siamo tornati ai pezzi annuncio, come in politica…Io mi sono sempre trovato in difficoltà con le scalette. Quando si fanno spettacoli aperti a un numero maggiori di persone non c’è solo il pubblico di conoscitori, quindi si fanno antologie”.

Claudio Baglioni dopo una parentesi minimalista e intimista con “Dodici note Solo”, da giovedì 21 settembre sarà a Roma, al centrale del Foro Italaco con questo nuovo spettacolo. A Roma si esibirà il 21, 22, 23, 28, 29 e 30 settembre per poi andare il 6-7-8 ottobre a Verona, il 12-13-14 dello stesso a Palermo e il 20 e 21 a Bari. Poi via alle arene indoor a paritre da gennaio: a Pesaro, Milano, Torino, Padova, Bologna, Firenze, Eboli.

“aTuttocuore” è un progetto ispirato e ideato con Giuliano Peparini che cura anche la direzione artistica e teatrale. L’idea è quella di riprendere l’intuizione wagneriana del teatro totale e quella elaborata da Walter Gropius del teatro ricavato rimodulando spazi e architetture. “aTuttocuore”, show dell’arte scenica, parte in un certo senso dalla notte dei tempi per arrivare alle epoche futuribili con salite e discese lungo le scale del tempo, un cuore rosso che sovrasta, batte e pulsa per far capire allo spettatore che l’unico vero tempo reale che vale la pena di vivere è secondo il battito e il ritmo del cuore. Il tempo di adesso, come canta Claudio Baglioni, in chiusura di show attraverso il suo famosissimo brano “La vita è adesso”.

Scivolano via quindi 38 canzoni, con brani le cui strofe sono nell’immaginario e nel linguaggio comune degli italiani e non solo, hanno emozionato ed emozionano vecchie e nuove generazioni. Performer e ballerini si muovono su coreografie di Giuliano Peparini e Veronica Peparini che a tratti sembrano anni ’70, fino alla modernità di oggi e con movimenti che richiamano alle grandi opere. I costumi meritano un applauso a parte: sono 550 , originali e realizzati da Valentina Davoli e Silvia Oliviero e sono davvero belli. Immancabili le giacche indossate da Baglioni interpretando certi brani:

“Alcune infatti – ha spiegato – sono del periodo di quella canzone. E poi mi confortano, sono una divisa, una protezione, una maschera”. Assistiamo durante un concerto, al fondersi scenografico fra cinema e teatro, fra costumi che richiamano anche pellicole come “Mad Max” o “Codice Genesi”, alla messa in scena di un “coro” quasi da tragedia greca. “Sul palco sono in 101 – ha detto Baglioni – e poi ci sono anche io. Ci sono per l’esattezza 21 componenti dell’orchestra (diretta da Poaolo Gianolio) 80 persone fra coristi, ballerini, performer”. (28 vengono dall’Accademia Internazionale del Musical).

“aTuttoCuore” chiude la trilogia aperta da “Al Centro”, proseguita con “Tutti su” e termina quindi con uno show che si offre appunto “a tutto cuore” per abbracciare e coinvolgere il pubblico. “Quello che ho voluto fare ora – ha spiegato Peparini – è proporre una nuova lettura dove poter cambiare sul palco tutte le risorse tecniche e artistiche di un grande spettacolo. Ho creato lo spettacolo in modo che lo spettatore, da lontano ne abbia pieni gli occhi. Con cori e performer, ballerini e video, ho immaginato uno spettacolo immersivo.

“È in un certo senso davvero il capitolo finale della trilogia, – ha aggiunto Baglioni – mette insieme la parte musicale che cerca di trovare altri visioni, altri percorsi e vuole andare oltre la canzone stesa. È anche molto divertente fare un concerto cosi, scopro tante cose di prova in prova. In fondo è una sorta di paese delle meraviglie, segna anche il ritorno a una situazione pre adolescenziale che fa piacere di vivere, lo spettacolo è un gioco e io penso che chi viene per queste tre ore, decide, sceglie, di venire ad ascoltarci debba essere sorpreso e stupito, meravigliato di quello che vede”. Uno spettacolo che, come ha lasciato intendere lo stesso Baglioni, potrebbe essere una sorta di prova generale per tornare poi ai grandi stadi.

“In effetti lo è – ha spiegato il cantautore – bisogna ritrovare la dimensione fra palcoscenico e pubblico. Qui c’è tanto sudore sul palco. Stiamo facendo prove per tonare ad uno spazio piu grande senza perdere questa dimensione di vicinanza con il pubblico. È il frutto di un grande lavoro – ha commentato il cantautore – complesso. Lo spettatore va aiutato a spendere bene i suoi soldi. Il covid aveva chiuso tutto, ora c’è il grande ritorno ai live, agli spettacoli, allo stadio di calcio. Lo spettatore forse ha paura di dover tonare dentro, in casa. Il pubblico va guidato e abbiamo una responsabilità. Questo è un concerto impegnativo, un total show. Ci sono tanti linguaggi, tanti significati che possono essere visti in un senso o in un altro. L’abilità del poeta o regista è fare in modo che lo spettatore si faccia una sua interpretazione. Non dobbiamo fare sempre la stessa cosa. Quando non so cosa fare – ha concluso il cantautore romano – mi metto a fare come ho già fatto, ovvero 156 concerti da solo. Che poi è la vera base del mio mestiere, il cosiddetto mimino sindacale. Poi pero’ c’è questo e cioè, il fatto che non dobbiamo non fermarci: un’opera rock show che puo’ essere pop, puo’ essere quello che vogliamo. La chiamiamo cosi per distinguerla. Rock opera perchè c’è dinamismo, energia”.

E di energia ne arriva, tanta. 

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Esce ‘I Malarazza’, il romanzo sugli italiani che fecero grande l’America

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AGI – Guerra, emigrazione, politica, affari, violenza ma anche amore e relazioni fra persone appartenenti a classi sociali diverse: l’appassionante storia corale raccontata ne I Malarazza (Rizzoli, 490 pagine) da Ugo Barbàra, giornalista dell’Agi e scrittore al suo settimo romanzo,  è una saga familiare che comincia a Castellammare del Golfo, nella sua Sicilia, più di un secolo e mezzo fa, ma miscela tutti gli ingredienti di una storia che non potrebbe essere più attuale. 

L’epoca storica è la stessa del Gattopardo: siamo infatti nel 1860 e Garibaldi in arrivo con i Mille cambierà per sempre la storia dell’isola. Come fa dire Tomasi di Lampedusa al nipote del principe di Salina, “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”: nei Malarazza si dice invece che “non c’è miglior sistema per conservare il potere che mantenere il caos”.

Qui il contesto non è però quello di una nobiltà che vorrebbe continuare ad accontentarsi delle ricche rendite della terra e del lavoro dei “viddani”. La fortuna di Antonio Montalto e della moglie Letizia Battaglia è conseguenza delle loro scelte, determinate dagli accadimenti storici ma coraggiose e non scontate: scelte importanti, che coinvolgono tutta una serie di persone che ne beneficiano o, al contrario, ne risentono pesantemente.

I Malarazza è però soprattutto una storia di emigrazione. Non quella dettata dal bisogno, che aveva già riversato sulle coste americane milioni di irlandesi e tedeschi proprio in quel periodo e avrebbe portato milioni di italiani ad attraversare l’oceano nei decenni successivi.

Il viaggio di Antonio Montalto, Letizia Battaglia e i loro figli è un viaggio in prima classe, e a New York amplieranno la loro fortuna rispetto all’attività agricola della terra di origine, fino a fondare una banca e una compagnia di navigazione, a frequentare senatori, deputati e generali e ad essere direttamente coinvolti nella guerra di secessione americana

Antonio Montalto è un imprenditore brillante e disinvolto, le cui scelte e comportamenti sono a volte senza scrupoli e discutibili, ma quando ottiene per la moglie il diritto a fondare e presiedere una banca, una possibilità fino a quel momento negata alle donne in America, dice che “è stata una battaglia di civiltà”. 

L’autore descrive con accuratezza storica quanto accadeva nell’East Lower Side di New York, quartiere di Manhattan in cui gli immigrati vivevano stipati in edifici attaccati l’uno all’altro e in condizioni igieniche pessime, divisi per nazionalità di origine, in una condizione in cui il valore della vita umana era infimo e le violenze all’ordine del giorno, ma anche sui campi di battaglia della Virginia e del Kentucky, dove una guerra fratricida “languiva sanguinosamente”. Una sintesi che fa venire in mente la situazione dell’ultimo anno e mezzo in Ucraina: “Ogni metro conquistato dai sudisti veniva perso l’indomani per essere riconquistato il giorno dopo. Un esasperante tiro alla fune che costava la vita a centinaia di uomini e non era mai risolutivo”.

Anche nei Malarazza, come nel Gattopardo, la scena madre avviene durante una grande festa, anche se le carrozze che portano gli ospiti nella ricca dimora dei Montalto si muovono lentamente sotto una fitta nevicata, un clima un po’ diverso da quello di Donnafugata.  La dettagliata descrizione di abiti, arredi e cibi consente al lettore di sentirsi partecipe dei festeggiamenti e dei continui colpi di scena, oltre a suggerire un’auspicabile trasposizione del romanzo sullo schermo. Ma è il finale del romanzo, dopo 500 pagine avvincenti, a lasciare con il fiato sospeso e a farci sperare che l’autore ci regali anche un seguito. 

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Cultura

È morto a 91 anni Fernando Botero

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AGI – È morto il pittore e scultore colombiano Fernando Botero. Aveva 91 anni. Lo ha annunciato il presidente della Colombia, Gustavo Petro, con un post su X, celebrando “il pittore delle nostre tradizioni e dei nostri difetti, il pittore delle nostre virtu'”.

Il presidente colombiano non ha precisato il luogo del decesso. Botero era nato a Medellin, nel centro del Paese, il 19 aprile 1932 ed è considerato tra i maggiori artisti del ventesimo secolo.

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