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È morto Marc Augé, l’antropologo dei ‘non-luoghi’

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AGI – É scomparso oggi, a 87 anni, Marc Augé, grande antropologo, etnologo, scrittore e filosofo.

“Con Augé se ne va un amico e un maestro che ha dato al festivalfilosofia e al suo pubblico – sottolineano i curatori del festival culturale di cui Augé è stato membro per anni – come a tanti pubblici sparsi in tutto il mondo, alcuni insegnamenti dai quali non si torna indietro, come l’idea che le nostre pratiche culturali siano immerse in sistemi simbolici che è indispensabile studiare con gli strumenti dell’antropologia: una disciplina che Augé, grande specialista del terreno africano, ha praticato anche rivolgendo quel particolare tipo di sguardo alle nostre società, nella convinzione che, per essere intelligibili, i processi culturali implichino che nella loro analisi ci rendiamo “stranieri a noi stessi”.

Marc Augé, già directeur d’études presso l’école des Hautes études en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi, di cui è stato a lungo Presidente, dopo aver contribuito allo sviluppo delle discipline africanistiche ha elaborato un’antropologia dei mondi contemporanei attenta alla dimensione rituale del quotidiano e della modernità.

Ha elaborato la teoria dei ‘non luoghi’, ovvero luoghi come centri commerciali, autostrade, supermercati in cui ogni riferimento a identità e temi relazionari, identitari o storici vengono canellati 

Tra le sue opere tradotte di recente: Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernita’ (Milano 1993); Tra i confini. Citta’, luoghi, interazioni (Milano 2007); Il mestiere dell’antropologo (Torino 2007); Il bello della bicicletta (Torino 2009); Il metro’ rivisitato (Milano 2009); Per un’antropologia della mobilita’ (Milano 2010); Straniero a me stesso (Torino 2011); Futuro (Torino 2012); Per strada e fuori rotta (Torino 2012); Le nuove paure (Torino 2013); Etica civile: orizzonti (con L. Boella, Padova 2013); I paradossi dell’amore e della solitudine (Modena 2014); L’antropologo e il mondo globale (Milano 2014); Il tempo senza età. La vecchiaia non esiste (Milano 2014); Fiducia in sé, fiducia nell’altro, fiducia nel futuro (Roccafranca 2014); La forza delle immagini (Milano 2015); Le tre parole che cambiarono il mondo (Milano 2016); Un altro mondo é possibile (Torino 2017); Sulla gratuita’. Per il gusto di farlo! (Milano 2018); Chi é dunque l’altro? (Milano 2019); Condividere la condizione umana. Un vademecum per il nostro presente (Milano 2019).

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A Caracalla La Traviata dal sapore di Dolce vita

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AGI – Dopo cinque anni torna a Caracalla ‘La traviata’ per la regia di Lorenzo Mariani. Tutto esaurito alla prima di quest’opera che vede nel ruolo della protagonista Violetta Valéry, diventata per l’occasione una star del cinema sul modello di Marilyn Monroe (la cui immagine apre e chiude lo spettacolo), la soprano Francesca Dotto, già protagonista dello stesso allestimento nel 2019.

Per il capolavoro di Verdi – che sul podio vede impegnato un direttore di grande esperienza operistica come Paolo Arrivabeni – il regista si ispira agli anni de ‘La dolce vita’ di Fellini, da una prospettiva però estranea al lusso e agli scintillii: la storia di Violetta Valéry si intreccia con quella delle icone del cinema di un tempo, gettate nel vortice della società divoratrice dello star system.

L’opera in tre atti il cui libretto è scritto da Francesco Maria Piave tratto dal romanzo ‘La dame aux camélias’ di Alexandre Dumas, ‘La traviata’ di Giuseppe Verdi è probabilmente l’opera più eseguita al mondo che, come scrive il musicologo Giovanni Bietti, presenta elementi rivoluzionari come “il personaggio di Violetta che nel corso dell’opera attraversa una trasformazione fisica e psicologica senza precedenti nella storia del genere”.

La versione di Caracalla, con costumi moderni, uno scooter in scena che ricorda la Vespa di Gregory Peck di ‘Vacanze romane’ e tanti paparazzi che simulano le ambientazioni del capolavoro di Fellini, porta l’ambientazione dal 1853 dell’originale agli anni ’60 de ‘La dolce vita’.

“Nel film c’è moltissima bellezza, ma si tratta di una bellezza feroce, che divora le persone – ha detto il regista – in effetti, quel film è un ritratto spietato della Roma e dell’Italia di fine anni Cinquanta. Possiede il fasto e il glamour di un sistema che stritola. Penso a certe attrici consumate dal successo in pochi anni come Laura Antonelli, che ci ha rimesso la vita. Anche Violetta è così, cioè intrappolata in un mondo che non dà scampo. D’altronde la borghesia francese di metà Ottocento era spietatissima”.

A dirigere il capolavoro di Verdi è Paolo Arrivabeni, specializzato nel repertorio operistico italiano, che torna a Caracalla dopo il grande successo, nel 2015, de ‘La bohème’ di Puccini messa in scena da Davide Livermore. A lui si deve la scelta di operare alcuni tagli che ha definito “opportuni”, “necessari in un contesto come quello di caracalla per mantenere la concentrazione per un’opera intera in un contesto che inevitabilmente propone qualche elemento di distrazione in più”.

Del capolavoro di Verdi sono celebri alcune arie – su tutte ‘Amami Alfredo, quant’io t’amo’ – e il ‘mi bemolle’ dell’aria ‘Sempre libera’ alla fine del primo atto (“Sempre libera degg’io folleggiar di gioia in gioia, vo’ che scorra il viver mio pei sentieri del piacer”). Chi però ha seguito la prima di ieri sera è rimasto forse deluso perché Francesca Dotto non ha eseguito il mi bemolle sopracuto a conclusione della cabaletta del primo atto.

Su quella nota (non scritta da Verdi) si concentrano da sempre le attenzioni dei melomani e tutte le tensioni di un soprano (celebre la ‘stecca’ di Mirella Freni nel contestato e raffinato allestimento scaligero diretto da Karajan, regista Zeffirelli, scenografo e costumista Danilo Donati.

Proprio per questo, ha spiegato il direttore Arrivabeni, il mi bemolle non è stato eseguito. “Trovo inutile mettere sotto pressione un soprano che per tutto l’atto non penserà altro che a quella puntatura, invece che al resto della musica in cui si deve impegnate”. Inoltre, ha precisato, quel virtuosismo “è una tradizione ma non è scritto e non è affatto necessario, si può scegliere se inserirlo o meno”.

Apprezzatissima nel ruolo di Violetta Valéry, il soprano Francesca Dotto – che della cortigiana è una delle più note interpreti – ha vestito i panni di Violetta all’Opera di Roma nella celebre produzione del 2016 con la regia di Sofia Coppola e i costumi di Valentino, e a Caracalla nel 2019 in questa versione firmata da Mariani.

Ad affiancarla nel ruolo di Alfredo Germont, si alterneranno il giovane tenore Giovanni Sala – vincitore nel 2014 del Concorso per Giovani Cantanti Lirici dell’Associazione Lirica Concertistica italiana – e Alessandro Scotto di Luzio, anche lui già Alfredo nel 2019 a Caracalla.

Giorgio Germont è invece interpretato da Christopher Maltman – richiestissimo baritono per ruoli verdiani – e da Marco Caria – premio speciale del pubblico e secondo classificato al Concorso Operalia nel 2007.

Completano il cast Ekaterine Buachidze (Flora Bervoix), Mariam Suleiman (Annina), Mattia Rossi (il marchese d’Obigny), Nicola Straniero (Gastone), tutti appartenenti a “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera, Arturo Espinosa (Barone Douphol) diplomato nello stesso progetto “Fabbrica” e Viktor Schevchenko (Dottor Grenvil). L’orchestra e il coro, diretto da Ciro Visco, sono del Teatro dell’Opera di Roma.

Collaboratore alla regia e coreografo Luciano Cannito, le scene e i costumi sono rispettivamente di Alessandro Camera e Silvia Aymonino. Alle luci Roberto Venturi e ai video Fabio Iaquone e Luca Attilii. Le repliche de ‘La traviata’ a Caraccalla sono previste per martedì 25 e venerdì 28 luglio, mercoledì 2, venerdì 4 e mercoledì 9 agosto. L’orario di inizio di tutti gli spettacoli è alle 21.00. Ogni rappresentazione è in lingua originale con sovratitoli in italiano e inglese.

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Digitalizzata per la prima volta “La crociera” di Virginia Woolf

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AGI – Per la prima volta la copia personale di Virginia Woolf del suo romanzo d’esordio, ‘La crociera’ (The Voyage Out), è stata completamente digitalizzata. Il libro, come racconta la Bbc, è stato riscoperto nel 2021, dopo essere stato erroneamente conservato per 25 anni in una delle sezioni della biblioteca dell’Università di Sydney.

Si tratta dell‘unica copia del suo genere disponibile al pubblico e contiene rare iscrizioni e modifiche fatte personalmente dalla scrittrice. Gli esperti delle opere di Woolf ritengono che questo i completamento di questo processo potrebbe fornire informazioni sulla salute mentale e sui metodi di lavoro e stesura dell’autrice inglese, considerata uno dei più importanti letterati del XX secolo grazie alle oltre 45 opere pubblicate, tra cui ‘Gita al faro’ e “La signora Dalloway’.

L’Università di Sydney spera ora che condividere pubblicamente la copia in loro possesso, possa portare a un’analisi più profonda delle molteplici note presenti. Pensieri e revisioni, adottate o abbandonate da Woolf, che andranno a regalare a una nuova generazione di lettori, studenti di letteratura e studiosi un’idea dei pensieri della scrittrice. È noto che Virginia Woolf soffriva di ansia, insonnia e ripetuti crolli mentali durante la stesura de ‘La crociera’ durata circa 7 anni.

Cadde di nuovo in depressione e fu ricoverata in una casa di cura il giorno prima che fosse pubblicato nel 1915, rimanendovi per sei mesi. Suo marito Leonard Woolf ha detto che stava “scrivendo ogni giorno con grande intensità” e finire il romanzo è stata quasi “una tortura”.

Morì nel marzo 1941, all’età di 59 anni, dopo essersi riempita le tasche del cappotto di pietre e aver camminato nel fiume Ouse. L’Università di Sydney ha spiegato come si pensasse che la copia ritrovata de ‘La crociera’ fosse andata perduta “a causa del trambusto della vita quotidiana del campus e della biblioteca”. Simon Cooper, esperto di Metadata della Fisher Library di Sydney, ha trovato materialmente il libro riordinando gli scaffali e le pubblicazioni.

“Avevo capito che il libro non apparteneva a quel settore, così l’ho tirato fuori e ho visto il nome dell’autore scritto a mano sulla prima pagina. Così, ho cercato la sua calligrafia per confrontarla, e corrispondeva”.

Si è poi scoperto che l’Università ha acquisito il libro alla fine degli anni ’70 tramite la libreria Bow Windows a Lewes, nell’East Sussex. Virginia e suo marito Leonard Woolf avevano infatti vissuto nella zona. Uno dei più antichi librai antiquari del mondo, Maggs Bros a Londra, ha detto alla BBC che il libro potrebbe valere circa 250.000 sterline. Nell’edizione in questione si possono vedere modifiche scritte a mano da Woolf a matita blu e marrone, con estratti dattiloscritti incollati sulle pagine.

“Ha un valore iconico”, ha detto a Mark Byron, professore di letteratura moderna all’Università di Sydney, che ha studiato il libro di persona. “Le revisioni sono affascinanti in termini di ciò che Woolf stava pensando in quel momento”, ha aggiunto.

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Il giorno di “Barbenheimer”, attesi incassi record

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AGI – Se ne parla da settimane, creando un’attesa che è già presagio di record: oggi è il giorno di “Barbienheimer”, l’uscita contemporanea nelle sale cinematografiche di tutto il mondo di due film Usa di sicuro successo, Barbie e Oppenheimer. La contrazione dei due titoli ha portato al fenomeno (“Barbenheimer” o in alternativa “Barbienheimer”), un meme su internet con un falso trailer che mischia due storie che più diverse non potrebbero essere.

Fra Stati Uniti e Canada si prevede un fatturato complessivo di 150 milioni di dollari di qui a domenica: una boccata di ossigeno per un’Hollywood reduce da una lunga crisi e in pieno sciopero degli attori e degli sceneggiatori. Due film che escono lo stesso giorno, rileva il New York Times, sarebbero di solito considerati concorrenti, ma il pubblico a cui si rivolgono è completamente diverso. Da una parte c’è l’universo tutto in rosa la cui protagonista è la bambola bionda con cui hanno giocato e continuano a giocare generazioni di bambine e bambini, dall’altra la storia dell’inventore della bomba atomica.

Il primo, una commedia postmoderna con Margot Robbie e Ryan Gosling che ballano e cantano su una spiaggia color pastello, è diretto da Greta Gerwig nota per la regia di Piccole donne. Il secondo è una cupa biografia dello scienziato che costruì la bomba atomica durante la seconda Guerra mondiale, con un sofferto Cillian Murphy tormentato dal timore di distruggere il mondo per sbaglio e un regista, Christopher Nolan, che ha al suo attivo successi come Interstellar e Dunkirk.

È proprio il contrasto stridente fra le due storie ad aver provocato l’invenzione di meme, battute, parodie online: tutta pubblicità aggiuntiva a quella milionaria prodotta ad arte dai produttori dei film. AMC Entertainment ha fatto sapere che già lunedì scorso oltre 40 mila persone avevano acquistato il doppio biglietto per vedere entrambi i film in un’unica sessione, 5 ore di cinema consecutive. Secondo le previsioni dei “bookmaker”, fra i due film sarà quello “rosa” a incassare di più (100 mila per Barbie contro 50 mila del film di Nolan nei prossimi giorni). In ogni caso, Hollywood ha investito moltissimo perchè sia l’occasione di uscire dalla profonda crisi del settore iniziata con la pandemia. 

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Gli 80 anni di menzogne di Via Rasella

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AGI – Torna con nuove rivelazioni il libro, uscito per la prima volta nel ’96, sull’attentato compiuto dai Gap, i gruppi d’azione patriottica nati su iniziativa del Partito comunista Italiano, il 23 marzo 1944 in via Rasella e al quale seguì la feroce rappresaglia nazista delle Fosse Ardeatine con 335 vittime. La prima edizione nel ’96 rivelò la morte di Piero Zuccheretti, 13 anni, dilaniato dalla bomba; ora l’autore, il giornalista Pierangelo Maurizio, documenta come sia difficile trovare il luogo dove riposa il “bambino di Via Rasella”, sepolto al Verano e sulla cui tomba non compare mai il nome Zuccheretti.

Con lui nell’attentato morì anche un capo partigiano di Bandiera Rossa, Antonio Chiaretti. “Via Rasella, 80 anni di menzogne” offre nuovi retroscena, approfondimenti e documenti inediti. Alla luce delle 291 schede del professor Attilio Ascarelli, incaricato della riesumazione dei martiri alle Fosse Ardeatine, rimaste segrete per oltre 70 anni, viene ripercorso lo scontro durissimo tra il Pci e i gruppi di Bandiera Rossa, sterminati nella rappresaglia nazista con il Fronte militare del colonnello Montezemolo, il Partito d’Azione e altre formazioni minori.

La nuova edizione (Maurizio Edizioni, 264 pagine) contiene documenti e fotografie dei sopravvissuti del battaglione “Bozen” con i loro racconti, la testimonianza dell’ultimo superstite della Banda Koch. In particolare faranno discutere le carte inedite sulle presunte collusioni tra il Partito comunista e gli apparati di sicurezza fascisti o ex fascisti.

Pierangelo Maurizio racconta che il 20 agosto del 1944 davanti al colonnello John Pollock, capo della polizia alleata, il commissario di polizia Raffaele Alianello rivelò come in realtà durante l’occupazione tedesca di Roma avrebbe lavorato “per l’Intelligence Service e il Partito comunista”. Il documento custodito negli archivi Usa è pubblicato, tra le altre carte inedite, ora nel libro “Via Rasella, 80 anni di menzogne”. Alianello era considerato un elemento “fascistissimo”, uomo di fiducia di Herbert Kappler, il capo delle SS a Roma.

Nell’interrogatorio il commissario svela di essersi interessato il 24 marzo, mentre si preparavano le liste dei detenuti da mandare a morire alle Ardeatine, ad “Antonello Trombadori, cui il Partito comunista dava la massima importanza”. Trombadori, il primo capo dei Gap a Roma, era stato arrestato a Via Giulia il 2 febbraio nel deposito di armi e di esplosivi dell’organizzazione. Il commissario spiega di essere intervenuto su Kappler “per modificare le accuse nei confronti di Trombadori” salvandolo così dalla conta della morte. Nel corso dell’interrogatorio Pollock chiede se “nella lista dei 50” consegnati dalla questura di Roma ai nazisti “non c’erano comunisti (appartenenti al Pci, nda)”. “Non credo”, risponde Alianello, “c’erano diversi membri del Partito d’Azione”. 

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Dieta Mediterranea e Tumori, i benefici degli alimenti e le corrette associazioni

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Dieta mediterranea alleata contro i tumori.
Fa bene e conviene

Riportare al centro la dieta mediterranea per renderla valido alleato per la prevenzione dei tumori. Ne sono convinti medici, chef stellati e politici che hanno partecipato alla conferenza stampa di presentazione dello studio della dottoressa Flavia Correale, medico dietologo, endocrinologo e pediatra.
Numerosi studi scientifici hanno dimostrato il suo impatto positivo sulla salute, compresa la prevenzione dei tumori. “Secondo l’American Institute for Cancer Research, circa il 30% dei tumori può essere attribuito a abitudini alimentari poco salutari. – ha spiegato la dottoressa Correale – Le persone che seguono una dieta malsana, in particolare, presentano un rischio maggiore di sviluppare tumori che colpiscono gli organi dell’apparato digerente, come bocca, esofago, stomaco, colon-retto, fegato, cistifellea, vie biliari e pancreas. Migliorare la dieta può ridurre significativamente il rischio di queste malattie oncologiche, con stime che indicano che più del 70% dei casi potrebbero essere prevenuti attraverso un’alimentazione adeguata”.
Le ha fatto eco il dottor Carmine Coppola, direttore dell’UOC di medicina interna, Epatologia ed ecografia interventistica dell’Ospedale San Leonardo di Castellammare di Stabia: “Negli ultimi 20 anni sta emergendo il problema delle malattie di fegato su base metabolica caratterizzate dalla steatosi epatica (Il cosiddetto fegato grasso). Oltre il 40% della popolazione globale ne è affetta, e in popolazioni particolari come i soggetti diabetici od obesi la percentuale arriva al 90%. Una incidenza che interessa anche le fasce più povere, proprio a causa di una cattiva alimentazione basata sul consumo di cibi spazzatura perché meno costosi”. E le conseguenze della cattiva alimentazione si registrano non solo con l’aumento di patologie negli organi a diretto contatto con gli alimenti, ma anche sulla prostata, il seno, l’ovaio e il corpo dell’utero. Purtroppo “sono ancora in tanti nel nostro Paese a non avere accesso al cibo di qualità. – ha spiegato la deputata di Italia Viva Maria Chiara Gadda che con la sua Legge Antispreco ha portato una soluzione – “Attraverso la donazione di preziose eccedenze alimentari è possibile rispondere a bisogni sociali crescenti facendo leva sulla responsabilità sociale di impresa”.
“Un’alimentazione sana che aiuti a proteggersi dalle malattie – ha sottolineato Correale – richiede soprattutto di ridurre drasticamente l’apporto di grassi e proteine animali e di favorire l’assunzione di cibi ricchi di vitamine e fibre. Una dieta di tipo mediterraneo o comunque con una notevole quantità di vegetali rappresenta il modello di alimentazione ideale per la prevenzione dei tumori. Ed è tanto più efficace quanto più precoce è la sua adozione”.
Anche la preparazione degli alimenti può fare la differenza. Uno chef stellato come a gennaro Esposito del ristorante Torre del Saracino conosce l’arte di trasformare ingredienti sani, rendendo l’alimentazione corretta un’esperienza gustosa. La sua cucina è ispirata alla tradizione mediterranea “con preparazioni e ricette dove i protagonisti sono gli ingredienti che aiutano la prevenzione dei tumori della pelle. L’alimentazione – ha spiegato – può essere una medicina preventiva e contribuire al benessere psicofisico”.
Ma non solo. “La dieta mediterranea – ha spiegato Gadda, che è Vicepresidente della Commissione Agricoltura – è anche un grande volano in termini di turismo enogastronomico e per le esportazioni del nostro made in Italy”. Per il deputato di Forza Italia Ugo Cappellacci, presidente della Commissione Affari Sociali è “un’‘arma di prevenzione di massa’ e la prevenzione è uno dei cardini del nuovo modello di assistenza sanitaria che vogliamo costruire. E’ anche il migliore investimento perché ogni euro che si impegna per una corretta informazione si traduce non solo in vita e salute ma anche in un risparmio successivo perché minori saranno le ospedalizzazioni le richieste di assistenza sociale”. Si stima infatti che con l’introduzione della dieta mediterranea si potrebbero risparmiare il 21% delle spese sanitarie, ridurre del 47 % le emissioni di CO2 relative alla dieta e del 25% il consumo d’acqua per scopi alimentari, per un risparmio di 740 Euro all’anno per persona.
Una dieta che fa bene e conviene.

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Come una storia trovata in fondo a un cassetto è diventata un romanzo di successo 

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AGI – Vincere il Premio Bancarella con il libro d’esordio è da togliere il fiato, farlo raccontando la storia della propria bisnonna è un’emozione impagabile. Francesca Giannone, autrice di ‘La portalettere’, romanzo edito da Nord e presenza stabile in classifica dall’uscita nel gennaio 2023, si gode il successo e il risultato e si prepara alla trasposizione cinematografica di questa storia che, ambientata tra gli anni ’30 e gli anni ’60 resta di grande attualità. L’abbiamo intervistata.

Questo romanzo si inserisce in un filone che ci è familiare: una storia con figure femminili molto forti e, su tutte, quella di Anna, prima donna del sud d’Italia a vincere un concorso per diventare postina

È una storia che mi appartiene, perché Anna era la mia bisnonna, e che ho scoperto tramite un biglietto da visita trovato in un cassetto e che riportava per l’appunto nome, cognome e la dicitura ‘portalettere’.

Una storia di ordinario eroismo, considerata l’epoca…

La storia di una donna che arriva dalla Liguria in Salento e compie un atto rivoluzionario, un gesto eroico, pur non essendo ovviamente un’eroina e restando comunque un essere umano, con le sue fragilità, le sue debolezze.

Una storia rimasta chiusa in un cassetto per anni. Possibile che a tavola la domenica non si parlasse mai di questa nonna rivoluzionaria?

È proprio perché questa impresa è rimasta dimenticata per decenni che ho scritto questo romanzo: per restituirne la memoria. È iniziato tutto con un biglietto da visita di cui sono rimasti soltanto due esemplari. Era lì in un cassetto insieme ad altre foto in bianco e nero. Sapevo che la mia bisnonna faceva la postina ma nessuno mi aveva parlato del fatto che fosse stata la prima nel sud Italia. La sua impresa era data non solo per scontata, ma forse non è stata capita e valorizzata fino in fondo, non solo dalla mia famiglia, ma dalla comunità, dal Paese, che fortunatamente adesso sta riscoprendo questa concittadina. Anche se non è una saga familiare, racconta attraverso Anna la storia di una famiglia che seguiamo per due generazioni. Una famiglia a centro della quale c’è un conflitto molto importante, che poi è il filo rosso del romanzo: due fratelli innamorati della stessa donna, un conflitto molto doloroso che seguiamo fino all’ultima pagina

Se fosse stata pugliese invece che ligure avrebbe fatto una scelta così rivoluzionaria?

Questo non lo so. Bisogna comunque dire che prima di lei nessuna donna in paese aveva pensato di partecipare al concorso delle poste per diventare portalettere. Secondo me dipendeva dal fatto che avesse un’istruzione solida alle spalle, a differenza magari di tante altre donne che a stento avevano frequentato la scuola elementare. Lei si presenta al concorso e lo vince proprio grazie al fatto che ha un grado di istruzione più alto rispetto agli uomini.

Abbiamo una storia d’amore molto forte e una storia di emancipazione. Sono gli ingredienti per la storia perfetta per questo momento storico?

Ho iniziato a scrivere questo romanzo senza pensare minimamente nella pubblicazione né al pubblico che poi lo avrebbe letto. Sapevo solo di doverla scrivere. Nel momento in cui ho trovato quel biglietto da visita, ho deciso che dovevo raccontarla, senza alcuna pressione editoriale. Ho dato vita a questo romanzo in quella che poi ho ribattezzato ‘scrittura liberata’. Non ho seguito tendenze, non ho pensato a un pubblico. Ma poi in qualche modo il suo pubblico lo ha trovato. Probabilmente anche il fatto di scrivere senza condizionamenti è stato anche una carta vincente: i lettori hanno sentito che c’era cuore e non una macchina narrativa.

Lei, come la protagonista del suo libro, ha fatto una scelta particolare: ha studiato cinematografia a Roma, scrittura a Bologna e poi è tornata a Lizzanello, il paese dove è ambientato il romanzo. Come mai questa questa scelta?

Ho seguito le orme di Anna senza saperlo. Io ho passato un po’ di anni fuori, poi a un certo punto ho deciso di tornare a casa, alla mia terra, per restituirle qualcosa di tutto quello che avevo assimilato e raccolto. Ed è stato soltanto una volta tornata in Salento che mi sono imbattuta in questa storia.  In qualche modo forse era scritto che dovesse andare così.

 

Lei è anche pittrice e la sua pittura è molto concentrata sulle figure femminili. È una narratrice, ha studiato cinematografia, quindi conosce benissimo i canoni narrativi cinematografici e questo si vede anche nel romanzo. Quanto è importante avere gli strumenti tecnici ma essere capaci di cercare nelle proprie radici per costruire una storia?

È importantissimo perché non ci si può improvvisare narratori. Ho studiato al centro sperimentale di cinematografia, ho frequentato la scuola di scrittura fondata da Carlo Lucarelli a Bologna, la Bottega Finzioni, che mi ha dato gli strumenti con cui poter maneggiare il materiale narrativo. E ci vuole consapevolezza, non bastano soltanto la voglia di scrivere una storia e la passione. Non basta neanche il talento, perché il talento non serve a nulla se non si hanno gli strumenti per poterlo maneggiare. Quindi credo che sia importante avere gli strumenti del mestiere, una cassetta di attrezzi, che è indispensabile nel momento in cui ci si accinge a scrivere un romanzo, che significa centinaia e centinaia di pagine e anni di lavoro. Bisogna saper costruire un impianto narrativo che regga e se non si hanno questi strumenti si rischia di non farcela. Non basta essere un lettore forte per poter scrivere.

I finalisti del premio Bancarella erano sei, tre uomini e tre donne. I finalisti dello Strega erano cinque, quattro donne e un uomo. In totale possiamo dire che fino ad ora c’è una prevalenza di mondo femminile e c’è anche una forte presenza di storie di emancipazione femminile. È un tema che ha una sua urgenza di essere raccontato?

Io penso che si sentisse un po’ la mancanza dello sguardo femminile sulle cose, che è diverso da quello maschile. Quante donne ci sono state raccontate attraverso gli occhi degli uomini? Anna Karenina, Madame Bovary, ci sono personaggi memorabili, raccontati da uomini. Avere il punto di vista femminile sulle cose probabilmente è qualcosa che a lettrici e lettori mancava.

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La riscossa della radio

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AGI – Più della metà degli italiani sceglie la radio come compagno di viaggio. E’ quanto emerge dalla relazione annuale AGCOM secondo cui nel 2022 si è sintonizzato il 64,8% degli italiani, in linea con i consumi medi complessivi dell’anno precedente.Diversamente dagli altri mezzi di comunicazione, la radio, sia in termini di ascolti, sia con riferimento alle risorse complessive allocate nel settore, sconta in misura minore le incertezze derivanti dal contesto macroeconomico e geopolitico osservate nell’ultimo anno, evidenziando tuttavia alcune debolezze intrinseche se considerate in un più ampio orizzonte temporale.

Rispetto al 2019 – non è stato possibile recuperare i dati della pandemia -, si registra, nel giorno medio, una con[1]trazione degli ascoltatori superiore al milione. In compenso, aumenta il tempo dedicato all’ascolto radiofonico, con circa il 3% in più di minuti medi in un anno, 2,4% in più rispetto al 2019.Nel 2022, cresce il numero degli italiani che ascoltano le trasmissioni radiofoniche fuori di casa ( 5% in un anno), e in particolare durante i tragitti in automobile rispetto ad altri luoghi di ascolto. Si riduce invece l’ascolto do[1]mestico (-12,2%) e quello ibrido (sia fuori che dentro la propria abitazione, -1,1%).

Torna a crescere, dopo la riduzione dovuta alla pandemia, l’ascolto in automobile ( 2,7%), mentre diminuisce quello tramite apparecchi fissi (-6%). L’ascolto radiofonico sul web aumenta, anche se in maniera differenziata: se il consumo attraverso PC e tablet rallenta (-5,2%), decisamente più significativo è il ricorso ai device innovativi per seguire le trasmissioni radiofoniche da parte degli italiani (il 4,3% in più di individui ha seguito la radio mediante lo smartphone e il 29,2% in più dei radioascoltatori attraverso lo smart speaker/assistenti vocali).

Ciò conferma la duttilità della radio e la sua capacità di adeguarsi a scenari differenti e con efficacia di penetrazione.

I numeri

Sotto il profilo delle entrate complessive, si conferma la ripresa del settore. I ricavi derivanti dall’esercizio dell’attività radiofonica sono passati da 585 milioni di euro a 603 milioni nel 2022: una crescita pari al 3,1% (inferiore a quella del precedente anno), tuttavia non idonea a consentire di recuperare quanto perso rispetto al periodo antecedente la pandemia.

I ricavi da vendita di pubblicità radiofonica, che rappresentano la fonte di finanziamento prevalente del settore, sono pari a 455 milioni di euro, con un incremento del 3,3% rispetto all’esercizio precedente.

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Come nasce un bestseller e si vince due volte il Premio Bancarella

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AGI – Non è da tutti vincere due volte consecutive il Premio Bancarella. C’è riuscita la casa editrice Nord, nel 2022 con ‘L’inverno dei Leoni’ di Stefania Auci e quest’anno con ‘La portalettere’ di Francesca Giannone.

Ma non sono i primi successi inanellati dall’editore, piccolo solo in apparenza, che ha una storia lunga e ben diversa da quella che abbiamo imparato a conoscere. Per scoprirla abbiamo intervistato l’amministratore delegato del gruppo Gems – di cui fa parte, appunto, Nord – Marco Tarò. Che svela anche la sua ricetta per il bestseller perfetto.

Innanzitutto sfatiamo un mito: Nord non è una piccola casa editrice perché fa parte di un grande gruppo che ha un peso editoriale importante. Ce ne racconti la storia

La storia di Nord inizia tanti anni fa quando fu fondata da Gianfranco Viviani. grande appassionato di fantascienza, infatti la Nord è stata forse la prima casa editrice in Italia a occuparsi prima di fantascienza e poi di fantasy. Ha pubblicato nel corso degli anni i più importanti autori mondiali di fantascienza, tra cui Frank Herbert, autore della saga di Dune e tantissimi altri. Dopodiché, intorno agli anni 2000 la fantascienza come genere letterario, è andato in crisi, perché non c’erano più autori che scrivevano libri di fantascienza classica: si era un po’ virati sul cyberpunk e altre forme estreme di fantascienza e il pubblico pian pianino si è distaccato. Viviani decise di vendere e Longanesi decise di investire in questa casa editrice. Ci rendemmo subito conto che il catalogo della casa editrice faceva fatica e non era sufficiente a garantire un equilibrio economico e quindi la affidammo a Cristina Prasso che all’epoca lavorava per Longanesi e da lì iniziò la storia della nuova Nord, pubblicando un’ottima narrativa che non poteva essere ascritta a un genere ben preciso, ma che aveva delle sfumature che pescavano anche in altri generi. E da lì iniziammo

Poi ci fu il caso Schatzing…

Ci imbattemmo in un autore tedesco che in Germania stava facendo veramente sfraccelli, aveva già venduto mezzo milione di copie con un thriller corposissimo, stiamo parlando di quasi 800 pagine, tutto ambientato in mare e in cui si mescolano avventura, un po’ di fantascienza e soprattutto scienza. Fu un grandissimo successo: più di 100 mila copie

Cosa è successo alla fantascienza?

Io penso che la crisi della fantascienza sia dovuta al fatto che dagli anni ’90 spesso e volentieri la realtà ha superato la fantasia. Chi ha una certa età e guardava Star Trek, ad esempio, si ricorda di questi oggetti strabilianti che venivano usati per comunicare, uno scatolotto che non è nient’altro che un smartphone come quelli che usiamo adesso. Cose che oggi abbiamo nelle mani e usiamo tutti i giorni. È difficile inventarsi qualcosa di nuovo rispetto a quello che è già stato scritto. Anche i robot ormai sono entrati nella nostra vita quotidiana, quindi sono meno affascinanti.

Poi venne un caso particolare: un autore americano di quasi nessun successo in patria che invece fu un enorme successo in Italia

Glenn Cooper, che aveva scritto questo libro straordinario dove anche lì si mescolava il thriller, la fantascienza, che era ‘La Biblioteca dei Morti’. Un libro snobbato dai lettori americani per colpa dell’editore che aveva sbagliato titolo e l’aveva posizionato in un’area in cui non ha funzionato. In Italia è stato un successo da mezzo milione di copie, cavalcando la moda di quel momento che era quella del thriller un po’ esoterico lanciata da Dan Brown con il ‘Codice da Vinci’. Poi abbiamo portato in Italia la saga di The Witcher che poi è diventato un fenomeno, ultimamente rilanciato dalla serie tv di Netflix.

Parliamo di mode: tutto nel consumo è moda, anche la lettura è consumo e quindi anche lettura è moda. Noi nella moda quella classicamente intesa siamo abituati al fatto che siano un paio di stilisti o anche uno che azzecca filone e poi tutti gli altri gli vanno dietro. Nell’editoria l’impressione è che invece sia un po’ invertito il processo cioè è il pubblico che detta la moda e l’editore a volte anche un po’ faticosamente, a volte sbagliando o arrivando un po’ tardi. Come funziona?

È in parte vero che le mode le generano i lettori ma secondo me quelli che danno il via alle nuove tendenze alla fine sono gli autori che scrivono i libri che hanno in mente. Noi editori decidiamo di pubblicarlo non perché quel genere funziona in quel momento, ma perché riteniamo che sia un buon libro e che possa avere un buon gradimento di pubblico e quindi poi può nascere una tendenza più che una moda E il passaparola è quello che poi amplifica le vendite di un libro. Però c’è un anello fondamentale tra l’editore e i lettori che sono i librai, soprattutto i librai indipendenti, persone che leggono molti libri, che conoscono i tuoi gusti e che ti possono indirizzare verso libri simili. E quello è secondo me l’anello fondamentale.

E qui facciamo un piccolo salto temporale e arriviamo praticamente ai nostri anni. Ho l’impressione che con ‘I leoni di Sicilia’ abbiate trovato un filone non soltanto narrativo che si rivolge soprattutto a un pubblico femminile e che racconta storie di amore, storie di riscatto femminile, storie di emancipazione. Come definiamo questa linea editoriale?

Grandi storie che da una parte che hanno una ottima qualità di scrittura, quindi non sono romanzetti passati il termine commerciali, ma sono libri ben scritti con una grande qualità di scrittura, ambientati che raccontano da una parte raccontano storie di famiglie, ma anche un po’ la storia del nostro Paese. Leggendoli si ha la sensazione di imparare qualcosa, di ripassare la storia dell’Italia.

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