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La riscossa della radio

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AGI – Più della metà degli italiani sceglie la radio come compagno di viaggio. E’ quanto emerge dalla relazione annuale AGCOM secondo cui nel 2022 si è sintonizzato il 64,8% degli italiani, in linea con i consumi medi complessivi dell’anno precedente.Diversamente dagli altri mezzi di comunicazione, la radio, sia in termini di ascolti, sia con riferimento alle risorse complessive allocate nel settore, sconta in misura minore le incertezze derivanti dal contesto macroeconomico e geopolitico osservate nell’ultimo anno, evidenziando tuttavia alcune debolezze intrinseche se considerate in un più ampio orizzonte temporale.

Rispetto al 2019 – non è stato possibile recuperare i dati della pandemia -, si registra, nel giorno medio, una con[1]trazione degli ascoltatori superiore al milione. In compenso, aumenta il tempo dedicato all’ascolto radiofonico, con circa il 3% in più di minuti medi in un anno, 2,4% in più rispetto al 2019.Nel 2022, cresce il numero degli italiani che ascoltano le trasmissioni radiofoniche fuori di casa ( 5% in un anno), e in particolare durante i tragitti in automobile rispetto ad altri luoghi di ascolto. Si riduce invece l’ascolto do[1]mestico (-12,2%) e quello ibrido (sia fuori che dentro la propria abitazione, -1,1%).

Torna a crescere, dopo la riduzione dovuta alla pandemia, l’ascolto in automobile ( 2,7%), mentre diminuisce quello tramite apparecchi fissi (-6%). L’ascolto radiofonico sul web aumenta, anche se in maniera differenziata: se il consumo attraverso PC e tablet rallenta (-5,2%), decisamente più significativo è il ricorso ai device innovativi per seguire le trasmissioni radiofoniche da parte degli italiani (il 4,3% in più di individui ha seguito la radio mediante lo smartphone e il 29,2% in più dei radioascoltatori attraverso lo smart speaker/assistenti vocali).

Ciò conferma la duttilità della radio e la sua capacità di adeguarsi a scenari differenti e con efficacia di penetrazione.

I numeri

Sotto il profilo delle entrate complessive, si conferma la ripresa del settore. I ricavi derivanti dall’esercizio dell’attività radiofonica sono passati da 585 milioni di euro a 603 milioni nel 2022: una crescita pari al 3,1% (inferiore a quella del precedente anno), tuttavia non idonea a consentire di recuperare quanto perso rispetto al periodo antecedente la pandemia.

I ricavi da vendita di pubblicità radiofonica, che rappresentano la fonte di finanziamento prevalente del settore, sono pari a 455 milioni di euro, con un incremento del 3,3% rispetto all’esercizio precedente.

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Come nasce un bestseller e si vince due volte il Premio Bancarella

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AGI – Non è da tutti vincere due volte consecutive il Premio Bancarella. C’è riuscita la casa editrice Nord, nel 2022 con ‘L’inverno dei Leoni’ di Stefania Auci e quest’anno con ‘La portalettere’ di Francesca Giannone.

Ma non sono i primi successi inanellati dall’editore, piccolo solo in apparenza, che ha una storia lunga e ben diversa da quella che abbiamo imparato a conoscere. Per scoprirla abbiamo intervistato l’amministratore delegato del gruppo Gems – di cui fa parte, appunto, Nord – Marco Tarò. Che svela anche la sua ricetta per il bestseller perfetto.

Innanzitutto sfatiamo un mito: Nord non è una piccola casa editrice perché fa parte di un grande gruppo che ha un peso editoriale importante. Ce ne racconti la storia

La storia di Nord inizia tanti anni fa quando fu fondata da Gianfranco Viviani. grande appassionato di fantascienza, infatti la Nord è stata forse la prima casa editrice in Italia a occuparsi prima di fantascienza e poi di fantasy. Ha pubblicato nel corso degli anni i più importanti autori mondiali di fantascienza, tra cui Frank Herbert, autore della saga di Dune e tantissimi altri. Dopodiché, intorno agli anni 2000 la fantascienza come genere letterario, è andato in crisi, perché non c’erano più autori che scrivevano libri di fantascienza classica: si era un po’ virati sul cyberpunk e altre forme estreme di fantascienza e il pubblico pian pianino si è distaccato. Viviani decise di vendere e Longanesi decise di investire in questa casa editrice. Ci rendemmo subito conto che il catalogo della casa editrice faceva fatica e non era sufficiente a garantire un equilibrio economico e quindi la affidammo a Cristina Prasso che all’epoca lavorava per Longanesi e da lì iniziò la storia della nuova Nord, pubblicando un’ottima narrativa che non poteva essere ascritta a un genere ben preciso, ma che aveva delle sfumature che pescavano anche in altri generi. E da lì iniziammo

Poi ci fu il caso Schatzing…

Ci imbattemmo in un autore tedesco che in Germania stava facendo veramente sfraccelli, aveva già venduto mezzo milione di copie con un thriller corposissimo, stiamo parlando di quasi 800 pagine, tutto ambientato in mare e in cui si mescolano avventura, un po’ di fantascienza e soprattutto scienza. Fu un grandissimo successo: più di 100 mila copie

Cosa è successo alla fantascienza?

Io penso che la crisi della fantascienza sia dovuta al fatto che dagli anni ’90 spesso e volentieri la realtà ha superato la fantasia. Chi ha una certa età e guardava Star Trek, ad esempio, si ricorda di questi oggetti strabilianti che venivano usati per comunicare, uno scatolotto che non è nient’altro che un smartphone come quelli che usiamo adesso. Cose che oggi abbiamo nelle mani e usiamo tutti i giorni. È difficile inventarsi qualcosa di nuovo rispetto a quello che è già stato scritto. Anche i robot ormai sono entrati nella nostra vita quotidiana, quindi sono meno affascinanti.

Poi venne un caso particolare: un autore americano di quasi nessun successo in patria che invece fu un enorme successo in Italia

Glenn Cooper, che aveva scritto questo libro straordinario dove anche lì si mescolava il thriller, la fantascienza, che era ‘La Biblioteca dei Morti’. Un libro snobbato dai lettori americani per colpa dell’editore che aveva sbagliato titolo e l’aveva posizionato in un’area in cui non ha funzionato. In Italia è stato un successo da mezzo milione di copie, cavalcando la moda di quel momento che era quella del thriller un po’ esoterico lanciata da Dan Brown con il ‘Codice da Vinci’. Poi abbiamo portato in Italia la saga di The Witcher che poi è diventato un fenomeno, ultimamente rilanciato dalla serie tv di Netflix.

Parliamo di mode: tutto nel consumo è moda, anche la lettura è consumo e quindi anche lettura è moda. Noi nella moda quella classicamente intesa siamo abituati al fatto che siano un paio di stilisti o anche uno che azzecca filone e poi tutti gli altri gli vanno dietro. Nell’editoria l’impressione è che invece sia un po’ invertito il processo cioè è il pubblico che detta la moda e l’editore a volte anche un po’ faticosamente, a volte sbagliando o arrivando un po’ tardi. Come funziona?

È in parte vero che le mode le generano i lettori ma secondo me quelli che danno il via alle nuove tendenze alla fine sono gli autori che scrivono i libri che hanno in mente. Noi editori decidiamo di pubblicarlo non perché quel genere funziona in quel momento, ma perché riteniamo che sia un buon libro e che possa avere un buon gradimento di pubblico e quindi poi può nascere una tendenza più che una moda E il passaparola è quello che poi amplifica le vendite di un libro. Però c’è un anello fondamentale tra l’editore e i lettori che sono i librai, soprattutto i librai indipendenti, persone che leggono molti libri, che conoscono i tuoi gusti e che ti possono indirizzare verso libri simili. E quello è secondo me l’anello fondamentale.

E qui facciamo un piccolo salto temporale e arriviamo praticamente ai nostri anni. Ho l’impressione che con ‘I leoni di Sicilia’ abbiate trovato un filone non soltanto narrativo che si rivolge soprattutto a un pubblico femminile e che racconta storie di amore, storie di riscatto femminile, storie di emancipazione. Come definiamo questa linea editoriale?

Grandi storie che da una parte che hanno una ottima qualità di scrittura, quindi non sono romanzetti passati il termine commerciali, ma sono libri ben scritti con una grande qualità di scrittura, ambientati che raccontano da una parte raccontano storie di famiglie, ma anche un po’ la storia del nostro Paese. Leggendoli si ha la sensazione di imparare qualcosa, di ripassare la storia dell’Italia.

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“La portalettere” di Francesca Giannone vince il Premio Bancarella 

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AGI –  “La portalettere” della scrittrice pugliese Francesca Giannone (Editrice Nord) ha vinto la 71esima edizione del premio Bancarella, assegnato nel corso della tradizionale cerimonia di premiazione pubblica che si è svolta in piazza a Pontremoli, in Lunigiana.

Della cinquina finale del premio facevano parte anche Sandro Neri con “Gaber” (Hoepli), Davide Cossu con “Il quinto sigillo” (Newton Compton), Massimo Cotto con “Il re della memoria” (Gallucci), Bea Bozzi con “L’anno delle parole ritrovate” (Morellini) e Francesca De Paolis con “Le distrazioni” (HaperCollins).

Francesca Giannone succede nell’albo d’oro del premio Bancarella a Stefania Auci che lo scorso anno si era imposta con “L’inverno dei leoni”.

 “Il primo grazie per questo premio voglio farlo alla mia casa editrice, Nord, che ha creduto in questo libro ed è diventata per me una famiglia”. Così Giannone ha commentato a caldo dal palco di Pontremoli la vittoria del premio. 

Il romanzo è ambientato nel giugno 1934 a Lizzanello, un piccolo paese del Salento, dove inizia la storia di Carlo, tornato nel suo paese natale, e della bella moglie Anna, arrivata dal Nord, che sfidando il modo di pensare dell’epoca, partecipa e vince il concorso alle poste e diventa la prima portalettere di Lizzanello. 

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La festa dei 60 mila a Roma per Marco Mengoni [VIDEO]

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AGI – Apoteosi al Circo Massimo per Marco Mengoni, il cantante di Ronciglione che ha chiuso a Roma un tour trionfale con una vera e propria festa. Ad applaudirlo c’erano 60mila persone, giunte da ogni parte d’Italia fra le quali tanti fedelissimi che lo hanno seguito anche in altre tappe. Fan accorsi da nord a sud d’Italia ma anche dai paesi europei vicini come la Croazia, l’Austria, la Germania.

Sin dalle prime ore del mattino, il Circo Massimo è stato preso d’assalto dai sostenitori che si erano avvicinati all’area già dalla notte, dormendo sul marciapiede. Alle 21 circa del venerdi, tanti giovani, soprattutto ragazze, sostavano davanti alle transenne per scattare foto durante l’allestimento del palcoscenico. E nel pomeriggio seguente, in tanti si sono appostati per vedere il cantante arrivare alle prove.

Mengoni, una delle più belle voci dell’attuale panorama musicale italiano, ha festeggiato la chiusura del tour con tanti ospiti saluti sul palco con cui ha cantato alcuni suoi brani: Samuele Bersani (Ancora una volta), Bresh (Chiedimi come sto) Elodie (Pazza Musica), Gazzelle (Il meno possibile) e Ariete con cui ha cantato “Due Nuvole”. Tutti applauditissimi dal pubblico che ha regalato al cantante un sold out dietro l’altro.

Il concerto è finito alle 23.30 e subito dopo via all’afterparty con Dj set fino a mezzanotte con lo stesso Mengoni sul palco a ballare insieme alla band e allo staff. E in autunno, questo ragazzo che usa la voce come se fosse uno strumento musicale, porterà la sua musica e il repertorio in Europa: Barcellona, Bruxelles, Amsterdam, Parigi, Francoforte, Vienna, Zurigo e Monaco.

Lo show ha raccontato gli ultimi due anni di straordinari successi e racchiuso oltre 13 anni di carriera, dagli esordi fino alla pubblicazione della trilogia multiplatino Materia. L’evento-festa di Roma arriva a pochi giorni dalla conclusione, lo scorso sabato con il live allo Stadio San Siro di Milano “Marco Negli Stadi 2023”, il primo tour negli stadi nelle città più importanti d’Italia completamente sold out.

Gli ospiti e le canzoni

Lo show al Circo Massimo è stato quindi pensato come una grandissima festa con musica ed esibizioni fin dal pomeriggio: già dalle 16.30 la venue si era animata con l’alternarsi di diversi DJ set ed ha proseguito dopo il concerto con il gigantesco “afterparty” con Chloé Caillet, eclettica dj, producer e polistrumentista, uno dei nomi di punta della night life internazionale.

Ad accompagnare Mengoni nel corso della giornata oltre agli artisti citati, anche amici che sono stati parte del progetto Materia tra cui alcuni dei produttori, come Dardust, Crookers, Estremo e Whitemary. Il rapporto di Marco con Samuele Bersani e’ strettissimo e unisce stima ad una lunga e sincera amicizia e li ha visti insieme nella realizzazione di “Ancora una volta”, un brano intenso e poetico: “un regalo” l’ha definito Mengoni, dove le loro voci si amalgamano perfettamente, dando vita a uno spazio sospeso in cui incontrarsi.

Sul palco del Circo Massimo è salito per “Chiedimi come sto”, anche il rapper genovese Bresh artista considerato da Marco “una delle penne piu’ interessanti del panorama urban contemporaneo”. Elodie con “Pazza musica” (certificato disco d’oro), ha fatto ballare con Marco il pubblico sulle note di questo singolo estivo attualmente in rotazione, che vede per la prima volta insieme i due amici e due tra gli artisti piu’ amati del panorama musicale pop italiano.

Con Gazzelle, invece, c’e’ una solida amicizia di vecchia data, nata ai tempi della collaborazione su “Calci e pugni”, e un rapporto di stima personale e professionale, che ha portato Marco a volere Flavio anche all’interno del progetto Materia con “Il meno possibile”.

Mengoni al Circo Massimo è stato uno show che ha celebrato la carriera e, per questo, si sono alternate hit del passato come Credimi Ancora e altre del presente come Mi Fidero’. Due Vite, canzone vincitrice del Festival di Sanremo di quest’anno e brano con cui Marco ha rappresentato l’Italia all’Eurovision, è stata accolta da ovazione.

Laser show, stelle filanti e coriandoli, effetti speciali, per un impatto scenografico che ha consentito al cantante di poter essere davvero “vicino” al suo pubblico. Marco Mengoni conta 8 album in studio, 75 dischi di platino, oltre 2 miliardi di streaming totali audio/video e 9 tour live. Gli ultimi due anni, e in particolare il 2023, sono stati scanditi da moltissimi traguardi a partire dalla pubblicazione di Materia (Terra) a dicembre 2021, proseguita con i primi show negli stadi di Milano e Roma la scorsa estate e una serie di palazzetti sold out in autunno, in contemporanea all’uscita dell’album Materia (Pelle).

Oltre ad aver vinto la 73esima edizione del Festival di Sanremo con il brano “Due Vite” ed essersi classificato quarto all’Eurovision Song Contest a Liverpool, Marco Mengoni è anche il vincitore del Nastro d’Argento per la miglior canzone originale con “Caro amore lontanissimo”, versione inedita di un brano di Sergio Endrigo e parte della colonna sonora del film “Il Colibri'” di Francesca Archibugi. 

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Scoperta a Selinunte una porzione dell’antico porto

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AGI – Il sito archeologico di Selinunte continua a regalare sorprese. Una struttura lunga 15 metri e quattro filari di blocchi per un’altezza di circa 1,80 metri, è stata scoperta casualmente a pochissima distanza da quella che doveva essere la darsena collegata al mare, a un centinaio di metri dalla riva attuale. Potrebbe essere parte di uno dei due porti dell’antica ex colonia di Megara Iblea, ampio e imponente come richiedeva una delle più importanti città del Mediterraneo, centro di traffici commerciali.

Di questa costruzione non c’è traccia nei documenti dei viaggiatori tra Settecento e Ottocento, né nelle descrizioni dei ricercatori dell’epoca: è di certo molto antica, probabilmente fu distrutta o comunque sommersa, in epoca lontana. A oggi gli archeologi non arrischiano teorie ma solo ipotesi sulla forma e funzione originale dell’imponente architettura: forse una struttura di contenimento sul fiume – il georadar registra molte altre strutture sotto la sabbia – forse le pareti di una darsena per le barche (si intravedono scanalature a intervalli regolari) magari collegata alle 80 antiche fornaci scoperte molto più’ a monte, forse addirittura la base di un ponte sul fiume.

Una scoperta topografica importante 

Di una cosa gli studiosi sono certi: è un ritrovamento di grandissimo interesse che potrebbe far riscrivere la topografia della città antica. Ed è una scoperta del Parco archeologico, diretto da Felice Crescente, che si sta infatti già impegnando per sviluppare un progetto multidisciplinare e avviare le ricerche a partire dal ritrovamento.

La scoperta è avvenuta durante dei semplici lavori di disboscamento e ripristino del Vallone del Gorgo Cottone, alla foce del fiume omonimo, lungo la riva occidentale; all’inizio è affiorato solo l’angolo di un blocco, il resto era sepolto sotto lo strato massiccio di sabbia e di vegetazione recente, probabilmente ammassata nel dopoguerra durante la sistemazione della zona dell’acropoli.

“Appena pochi giorni dopo il ritrovamento a Segesta, arriva un’altra scoperta che conferma la Sicilia un inesauribile giacimento di reperti che contribuiscono a ricostruire una storia millenaria gloriosa e figlia di scambi culturali ed economici incessanti”, dice il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani.

“Questa volta – dice l’assessore regionale ai Beni culturali e all’Identità siciliana, Francesco Paolo Scarpinato – si tratta della straordinaria Selinunte e del suo antico porto che la rendeva uno dei centri di commercio del Mediterraneo. Siamo sempre più certi che bisogna sostenere nuove missioni di scavo, e Selinunte sarà tra le priorità: il nostro impegno è quello di riportarla alla luce nella sua complessità e interezza. Siamo felici che la scoperta sia interamente del Parco con i suoi archeologi”.

 

L’archeologa Linda Adorno, responsabile della sorveglianza dei lavori, ha intuito subito l’importanza della struttura e ha fatto si’ che fosse portata alla luce. Sono stati immediatamente sospesi i lavori per consentire indagini piu’ approfondite ed è stata avviata una pulizia più accurata della zona.

Linda Adorno, di origine castelvetranese, profonda conoscitrice e studiosa dell’antica Selinunte, e’ collaboratrice scientifica dell’Istituto archeologico Germanico di Roma; è stata spontaneamente assistita dalla collega Melanie Jonasch che era in missione in zona per un altro progetto; al primo intervento ha partecipato anche un gruppo di studenti dell’Universita’ di Palermo, che negli stessi giorni erano impegnati in una campagna di ricognizione sul territorio urbano.

Grazie alla preziosa collaborazione di tutti, è stato possibile far affiorare l’intera larghezza della facciata della struttura: di cui non si comprende ancora l’utilizzo antico, ma e’ necessaria al più presto un’indagine più ampia e approfondita.

Secondo gli archeologi, la posizione della struttura sulla sponda occidentale del Gorgo Cottone indicherebbe un collegamento con il traffico navale del porto orientale, su cui sta studiando in questi giorni l’Università di Bochum. Senza dubbio è una parte integrante dell’impianto urbano della citta’ greca, visto che è perfettamente in linea con la rete stradale del sistema meridionale.

Intuizione, questa, che è stata accettata da uno dei più grandi conoscitori dell’impianto urbanistico della colonia di Selinunte, Dieter Mertens, non appena è stato informato della scoperta. Bisognerà comunque aspettare i risultati di nuove ricerche per definire con più esattezza, forma e funzione della struttura: saranno di certo di grande aiuto i carotaggi dei geoarcheologi che in questi giorni indagano l’andamento del fiume e l’estensione della foce del Cottone in epoca antica.  

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Cultura

Michela Murgia si è sposata civilmente

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AGI – “Qualche giorno fa io e Lorenzo ci siamo sposati civilmente. Lo abbiamo fatto ‘in articulo mortis’ perché ogni giorno c’è una complicazione fisica diversa, entro ed esco dall’ospedale e ormai non diamo più niente per scontato. Lo abbiamo fatto controvoglia: se avessimo avuto un altro modo per garantirci i diritti a vicenda non saremmo mai ricorsi a uno strumento così patriarcale e limitato, che ci costringe a ridurre alla rappresentazione della coppia un’esperienza molto più ricca e forte, dove il numero 2 è il contrario di quello che siamo. Niente auguri, quindi, perché il rito che avremmo voluto ancora non esiste. Ma esisterà e vogliamo contribuire a farlo nascere”.

Così sul suo profilo Instagram la scrittrice Michela Murgia, che a inizio maggio aveva reso nota la sua battaglia contro un tumore al rene a uno stadio molto avanzato. “Tra qualche giorno nel giardino della casa ancora in trasloco daremo vita alla nostra idea di celebrazione della famiglia queer”, scrive ancora l’autrice di Cabras.

“Le nostre promesse non saranno quelle che siamo stati costretti a fare l’altro giorno. Vogliamo condividerlo a modo nostro e lo faremo da questo profilo, senza giornalisti o media vari. Il nostro vissuto personale, come quello di tutti, oggi è più politico che mai e se potessi lasciare un’eredità simbolica, vorrei fosse questa: un altro modello di relazione, uno in più per chi nella vita ha dovuto combattere sentendosi sempre qualcosa in meno”.

Le parole con le quali Michela Murgia ha annunciato il suo matrimonio civile con il compagno Lorenzo, anticipando la volontà di una ulteriore nuova celebrazione ‘queer’ e più personale, sono in linea con il suo recente percorso. L’autrice e politica sarda, che fin dagli esordi letterari non ha mai fatto mancare la sua voce per i diritti civili, si è sempre schierata in favore della libertà di autodeterminazione nei rapporti personali, sentimentali e familiari.

Tanto da aprire le porte della sua casa raccontando al pubblico la sua famiglia ‘queer’, intesa come un nucleo familiare inclusivo e mai escludente, nel quale l’autrice di Accabadora abbraccia tutte le persone che ritiene di voler sostenere e amare.

Non solo il marito Lorenzo, “che è un uomo ma sarebbe potuta essere una donna” come ha spiegato la stessa Murgia in un’intervista al Corriere della Sera, ma anche amiche e amici, colleghe e colleghi, persone con le quali ha condiviso il proprio attivismo o semplicemente una parte del cammino. Pezzi di vita, insomma. O, per dirla con le sue parole, ‘fillus de anima’, figli dell’anima.

Dopo aver annunciato, a marzo, di essere affetta da un grave carcinoma, la scrittrice ha anticipato inoltre di voler acquistare una casa con dieci letti, dove poter ospitare la grande comunità che vive già con lei a Roma e che rappresenta, appunto, la sua famiglia. È stata lei stessa a raccontarla in diversi e dibattuti post su Instagram, dal titolo ‘queering the family’.

“Nella queer family che vivo non c’e’ nessuno che non si sia sentito rivolgere il termine sposo/sposa in questi anni. L’elezione amorosa va mantenuta primaria, perché nella famiglia cosiddetta tradizionale i sentimenti sono vincolati ai ruoli, mentre nella queer family è esattamente il contrario: i ruoli sono maschere che i sentimenti indossano quando e se servono, altrimenti meglio mai. Usare tipologie di linguaggio alternative permette l’inclusione”.

O ancora: “La queerness familiare è una cosa che esiste e raccontarla è una necessita’ sempre più politica, con un governo fascista che per le famiglie non riconosce altro modello che il suo”.

L’intellettuale ha inoltre raccontato anche i rapporti interni alla queer family, ad esempio il suo con Claudia e Raphael. “Nella nostra famiglia queer io e Claudia siamo l’unica coppia omogenitoriale perché condividiamo un figlio, Raphael. Come è successo che siamo diventate madri insieme? Lo ha fatto succedere Raphael, prendendomi la mano la sera stessa in cui ci siamo conosciuti e dicendomi ‘non voglio che te ne vai più via’. Allora ho guardato Claudia, anche lei conosciuta quella sera. Nei successivi dodici anni è successo di tutto, io ho divorziato, lei si è sposata. Ma una cosa non è cambiata. Siamo rimaste entrambi le madri di Raphael”.

Amata e contestata, mai convenzionale, sempre controcorrente quando la corrente tira in una direzione che lei ritiene superata. Michela Murgia ha sempre puntato a svelare mondi ancora sconosciuti ad altri. Lo ha fatto con la Sardegna ancestrale dei suoi romanzi. Lo fa adesso, con il racconto queer della sua vita. 

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Cultura

Massimo Ghini, la battaglia di Hollywood è contro un nemico comune

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AGI – “E’ una battaglia contro un nemico comune. Dobbiamo renderci conto di questo e iniziare seriamente ad affrontare il problema. Anche se ancora non ci riguarda in quei termini ma per una volta, non facciamoci trovare scoperti e sorpresi quando toccherà a noi” . Lo ha detto all’AGI Massimo Ghini , attore, commentando lo sciopero degli attori di Hollywood e prima ancora degli sceneggiatori, contro un sistema che sta trascinando al ribasso il settore fortemente in mano agli streamer e che ha condotto alla scomparsa dei profitti secondari, all ‘usa sempre più massiccio dell’Intelligenza Artificiale, al ricorso alle piattaforme con lo svuotamento delle sale cinematografiche.

“Da noi – spiega Ghini – una industria vera e propria come quella americana non c’è. Abbiamo avuto un lampada negli anni ’60 ma poi è finito tutto, tanto che i grandi produttori italiani sono andati via e noi siamo diventati una sorta di ‘impiegati’ con tutto il rispetto per la categoria, dipendenti dal Fus,il Fondo Unico per lo Spettacolo che è una catena che ti lega al potere politico in Italia .Fus.Ogni tanto ci sono fenomeni che escono da questa logica, film che magari incassano milioni di euro ma oggi come oggi, dico che il segnale che arriva dagli Usa va recepito al volo”.

In America sono però ben organizzati: “Certo – sottolinea l’attore – fanno subito categoria, fanno rivendicazioni di gruppo, io sono stato 15 anni segretario del sindacato e dico che dobbiamo muoverci. Negli Usa, attori come Matt Damon si pongono il problema dei colleghi che per esempio, non riescono a pagarsi le cure mediche, perché ci sono questi casi: esistono. Noi incidiamo poco, non ci facciamo sentire. Basta pensare che siamo nel 2023 e non c’è un contratto sull’audiovisivo…Di che parliamo?”.

Ma perché non c’è gruppo? “Mah c’è anche la paura, ed è anche per questo che non facciamo massa fra sceneggiatori, attori, registi per rivendicare qualcosa. C’è paura che poi è un attimo e scompari. C’è tutto il contesto che è difficile anche se io sono però fiducioso nel fatto che se non raschiamo il fondo, non torniamo. C’è timore ma su questo tema dobbiamo fare mente locale e fare in modo che qualcuno tiri fuori un pensiero, una strategia che ci leghi almeno al resto d ‘ Europa .

Il sistema andrebbe rivoluzionato dall’interno. Abbiamo Unita che ora si sta dando da fare. Ma il nodo principale, è che se non entriamo in una dimensione generale, e facciamo battaglia tutti insieme non ne usciamo. Ed io sono convinto che questo sistema, sfuggirà presto di mano anche ai produttori. Le piattaforme comandano e il produttore non è più quello di una volta”.

Per Massimo Ghini dunque, “Quello che accade a Hollywood deve suscitare un dibattito vero parlando: servire un atto di coraggio e unire idealmente alla protesta americana, fare un ragionamento in tal senso. Negli Usa si sta di proteggere il lavoro di maestranze, attori , sceneggiatori… Non possiamo fare finta che da noi non possa accadere un giorno. Sono molto triste, sono vissuto e nato nel cinema e oggi non vedo il cinema. Guarda il film sulle piattaforme. Ce ne vogliamo rendere conto? E poi, lo spettacolo: stiamo parlando di una piccola categoria artistica italiana che fa parte del Pil Noi artisti partecipiamo al Pil.Gli americani vengono qui a produrre perche’ la manodopera gli costa meno, ed è un fatto di mercato che ormai abbiamo adottato anche noi, andando a girare per esempio in altri Paesi. Ma anche questo, andrebbe regolamentato. Però – conclude Ghini – non perdiamo di vista il fatto che siamo davanti a una rivoluzione che sta cambiando completamente il modo di pensare un prodotto artistico di intrattenimento. Mi auguro che ci sia attenzione da parte di intellettuali, del ministro della cultura attuale che e’ un giornalista, ha scritto libri. Serve una sensibilita’ culturale maggiore rispetto a chi c’era prima, con politici di passaggio sulla poltrona di ministro della cultura”. 

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Cultura

“La Bestia”, il thriller di successo degli ‘Elena Ferrante’ spagnoli

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AGI – In Italia li chiamano gli “Elena Ferrante” di Spagna. Semplicemente perché per un po’ di tempo si sono nascosti dietro un nome di donna, Carmen Mola, scrivendo un romanzo che si è rivelato un grande successo internazionale. Stiamo parlando di Jorge Diaz, Agustin Martinez e Antonio Mercero, tre sceneggiatori e scrittori che hanno avuto tanta fortuna con “La Bestia”, vincitore del premio Planeta 2021, edito da Salani.

È un thriller mozzafiato ambientato nella Spagna del 1834, con personaggi calati in un contesto dove la maggior parte dei fatti sono realmente accaduti. Il libro scivola via facilmente, grazie a una scrittura azzeccatissima ed è perfetto per le calde ore pomeridiane estive sotto l’ombrellone. Solo che alla suspense della storia, si aggiunge l’ansia di vedere come va a finire e quindi si resta attaccati al libro finché non si è arrivati all’ultima pagina.

Tre scrittori quindi, celati dietro il nome di una donna, che escono allo scoperto visto il successo dell’opera per un questo progetto interessante.

 “Siamo sceneggiatori – spiega all’AGI Jorge Diaz – e l’idea di questo libro è nata proprio mentre lavoravamo a un adattamento di un altro romanzo di Agustin Martinez che si chiama Monteperdido. Ci siamo chiesti: facciamo qualcosa anche noi? All’inizio pensavamo fosse un’idea finita sul nascere, ma poi, una settimana dopo ci siamo messi al lavoro, abbiamo avuto qualche momento difficile e infine, quello che credevamo fosse un solo esperimento è diventato un grandissimo successo in Spagna. Il libro e’ stato tradotto in tante lingue, abbiamo fatto tante ristampe. Un successo vero”.

Ma perché la scelta di un nome di donna per indicare l’autore del libro, ovvero Carmen Mola? Forse perché attrae di più visto che a leggere sono soprattutto le donne che però non amano il molto il thriller?

“Non c’è alcuna strategia – afferma Antonio Mercero – abbiamo deciso di usare uno pseudonimo con un nome femminile perché suonava bene. Abbiamo provato anche con nomi maschili e anglosassoni, ma questo era migliore. I vantaggi ci sono e non ci sono. Il thriller è un genere che appassiona gli uomini soprattutto, e secondo i dati, i maschi leggono gli autori maschi mentre le donne leggono autori maschili e femminili. Forse sarebbe stato meglio un nome maschile ma alla fine abbiamo scelto Carmen Mola e abbiamo fatto bene”.

Nel romanzo c’è tanta storia e Goya

“Quando abbiamo deciso di lavorare alla Bestia – spiega Agustin Martinez – abbiamo pensato di calarlo in una Madrid permeata da una società molto violenta, la Madrid che viveva un uno spartiacque fra Violenza e futuro. Una città dove la violenza era all’ordine de giorno nelle strade. Goya? Violenza e povertà sono ben evidenti nei suoi dipinti. La trama centrale del romanzo è inventata ma l’ambientazione è storica, molto precisa a partire dalle strade di Madrid, le piazze, i vicoli e la situazione socio politica, la presenza di societa’ segrete in ogni caffetteria della citta’. Episodi come il massacro dei monaci, sono accaduti e documentati”.

Vi hanno definito gli Elena Ferrante italiani….

“Ci piace essere accomunati a Elena Ferrante – dice ancora Jorge Diaz – ma non abbiamo pensato a lei per scrivere questo romanzo. Non avevamo letto nulla di lei prima di scrivere questo nostro testo, dopo sì. Essere paragonati a lei è un onore. Ferrante scrive romanzi più contemporanei, ma la Bestia e il nostro prossimo libro sono storici. Abbiamo scritto una trilogia, quella su Elena Blanco che è ambientata nel contemporaneo. Magari un giorno scriveremo un libro centrato sul futuro”

E se La Bestia diventasse un film, facciamo il cast?

“No – dice ancora Antonio Mercero – non ho idea di chi potrebbe entrare nel cast. Mi piacerebbe che il libro diventasse un film ma non ho idea di chi possa interpretarlo. Forse Leo di Caprio, Danny De Vito? O qualche attore della Casa di Carta… Ma per il cinema ci vuole tanto denaro. Penso di più a chi finanzia l’opera…” .

È dunque in arrivo un nuovo romanzo.

“Si, arriva in autunno – annuncia Agustin Martinez – il 4 ottobre pubblichiamo Inferno. Non è la seconda parte della Bestia ma una continuazione stilistica. È ambientato nel 1866 a Madrid e racconta la storia d’amore fra una giovane attrice e uno studente di medicina. Una storia che li conduce dalla rivoluzione del 1866 alla Cuba Coloniale in cui era in voga la schiavitù. Il romanzo verrà pubblicato in Spagna e presto anche in Italia”.  

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A Hollywood scioperano anche attori, produzione bloccata

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AGI – La produzione di serie e film a Hollywood sarà completamente congelata: dopo gli sceneggiatori, fermi da più di due mesi, anche gli attori americani hanno deciso di scioperare, per quella che dovrebbe essere la peggiore paralisi del settore in oltre 60 anni.

“Il consiglio nazionale di SAG-AFTRA ha votato all’unanimità uno sciopero contro studi e broadcaster”, ha annunciato Duncan Crabtree-Ireland, direttore esecutivo nazionale di questo sindacato che rappresenta 160.000 attori e altri professionisti del piccolo e grande schermo.

Lo sciopero inizierà questa sera a mezzanotte, ora di Los Angeles. Gli attori si uniranno così agli sceneggiatori, che hanno cessato di lavorare dall’inizio di maggio. Una doppia lotta sociale mai vista dal 1960 a Hollywood.

Le due professioni chiedono un aumento del loro compenso, nell’era dello streaming. Vogliono anche ottenere garanzie sull’uso dell’intelligenza artificiale (IA), per impedire a quest’ultima di generare copioni o clonare la voce e l’immagine.

L’entrata in sciopero degli attori infliggerà un duro colpo all’industria. L’Alliance of Film and Television Producers (AMPTP), che ha rappresentato gli studi e le piattaforme di streaming nei negoziati, si è detta “molto delusa” dal loro fallimento. Il capo della Disney Bob Iger ha persino parlato di richieste “irrealistiche” alla CNBC. Da maggio le uniche produzioni che hanno deciso di girare lo fanno sulla base di sceneggiature già completate in primavera, senza poterle modificare. Ma, senza attori, le riprese semplicemente non sono possibili. Solo pochi talk show e reality show potrebbero continuare.

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Cultura

Dal Gazometro viaggio (virtuale) al centro della Terra

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AGI – Viaggio al centro della terra, attraversando ogni strato dal magma alla superficie. Impossibile? Niente affatto. Per provarlo basta andare al Gazometro di Roma, dove da oggi fino a domenica l’installazione site-specific Mater Terrae consentirà a tutti i visitatori di conoscere da dentro la nostra ‘madre terra’.

L’opera, prodotta da Eni, è curata da Videocittà, il festival della visione e della cultura digitale ideato da Francesco Rutelli con la direzione artistica di Francesco Dobrovich, che torna stasera per la sua sesta edizione.

Realizzata dallo studio internazionale Sila Sveta con la musica originale del producer Mace, Mater Terrae è un omaggio a un pianeta in costante evoluzione, il cui futuro dipende dal ruolo attivo e consapevole dell’uomo.

Si tratta di un’opera immersiva di 3mila metri quadri, proiettata su una superficie di tulle e visibile solo dall’interno del Gazometro, trasporterà quindi i visitatori in un vero e proprio viaggio nel cuore del pianeta. Per mezzo di veloci passaggi, l’installazione accompagna il visitatore strato dopo strato fino all’essenza della terra.

Partendo dal cuore incandescente del magma, immergendosi nelle sue profondità per scoprire la diversità di flora e fauna. L’acqua, elemento essenziale per la vita, viene rappresentata sia come fluido veloce che scorre nel sottosuolo, sia come protagonista indiscusso dei mari. La colonna sonora accompagna lungo il viaggio con suoni e ritmi pensati per coinvolgere e spingere a riflettere sul ruolo di ogni singolo individuo nel preservare e proteggere il pianeta.

Sfruttando la potenza evocativa dei linguaggi audiovisivi contemporanei, l’installazione punta a trasformare un luogo di archeologia industriale, come l’area del Gazometro, in una celebrazione della bellezza e della fragilità del nostro pianeta. “La prima volta in cui entrai qui, da sindaco, l’area era ancora tutta da bonificare”. ha spiegato all’AGI l’ideatore Francesco Rutelli, presentando l’iniziativa alla stampa, “oggi la vediamo in tutta la sua bellezza e magia. Va riconosciuto a Eni la volontà e la capacità di aver investito nella riqualificazione di un luogo che oggi è patrimonio della città. In un momento in cui si parla di surriscaldamento e impatto climatico, è ancora più importante attrarre l’attenzione sui temi ambientali. Ci aspettiamo la partecipazione di giovani e famiglie. L’aspetto più bello è stato, in questi anni, vedere tante persone, anche del quartiere, entrare qui dentro e scoprire un luogo che non conoscevano”.

Non solo Mater Terrae. Anche gli ambienti limitrofi saranno interessati da proiezioni immersive, come il videomapping realizzato dall’Istituto nazionale di fisica nucleare sul muro di uno degli edifici interni all’area. Il palazzo una volta sede dell’altoforno sarà, invece, oggetto di un intervento curato da None Collective con una serie di contenuti video sul tema della transizione.

Sempre l’altoforno accoglierà poi anche Futura, una mostra collettiva che riunisce gli artisti, nazionali e internazionali, più rappresentativi del panorama dell’arte digitale e della motion graphic contemporanea. E li’ di fronte, con le opere di video arte alle spalle del palco, ci saranno concerti e musica dal vivo. “Il tema portante è l’innovazione dei linguaggi e della socialita’”, ha sottolineato il direttore artistico Francesco Dobrovich, “si tratta di un festival che è anche di grande riflessione e, perciò, cerchiamo di raccontare questo momento di transizioni, anche digitali. Parlare di tematiche civiche e sociali è fondamentale per un’operazione culturale, noi siamo portatori di messaggi universali e crediamo sia importante sensibilizzare il pubblico per costruire una nuova coscienza. Verso una transazione che più che materiale, sia nell’approccio mentale”.

Dopo il successo di Luna Somnium nel 2022, Videocittà torna con una nuova installazione che promette di fare innamorare ancora una volta i romani. Se la luna gigante proiettata lo scorso anno all’interno del Gazometro era stata protagonista di innumerevoli post romantici sui social, la sfida di quest’anno è far battere di nuovo il cuore. Ma stavolta, per l’ambiente. 

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