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Castello di Baia – “La salute è di moda” Eccellenze sanitarie e inclusione sociale

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Eccellenze sanitarie e inclusione sociale

Al premio la Salute è di Moda

Cerimonia di assegnazione ieri, giovedì 29 giugno, al Castello di Baia, del premio “La salute è di moda”, promosso dall’associazione Ciauro e rivolto alle eccellenze sanitarie che nel corso dell’anno si sono particolarmente contraddistinte in favore dei pazienti. Giunta quest’anno alla terza edizione, la manifestazione ha visto tra i premiati il presidente della Lega italiana per la lotta contro i tumori Francesco Schittulli, chirurgo oncologo barese, insignito per la sua lunga attività a sostegno delle donne affette da neoplasie al seno. Protagonisti della serata, con la preparazione di una cena per un centinaio di persone, anche i ragazzi della Bottega dei Semplici Pensieri, onlus flegrea che organizza progetti inclusivi per giovani con sindrome di down e che ha sede a Quarto, in un’area confiscata a un clan della camorra.

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Apre la galleria delle collezioni reali, un “piccolo Hermitage” a Madrid

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AGI – Forse è il Museo che a Madrid non c’era e ci voleva. Capace di mettere insieme, nella loro commistione, oggetti affascinanti e al tempo stesso eterogenei che insieme, se esposti, “offrono a chi guarda narrazioni sorprendenti”, scrive il Paìs. Stiamo parlando della Galleria delle Collezioni Reali, progettata da Tuñón y Mansilla, l’ultima opera dello studio d’architettura che apre oggi e che sarà il contenitore del progetto ideato dal National Heritage, la cui missione principale è “cercare di avvicinare questo patrimonio culturale ai cittadini”. Un “piccolo Hermitage” nel cuore di Madrid, è stato definito.

Si tratta di un nuovo grande museo che contiene 650 pezzi unici, realizzato con un costo di 172 milioni di euro. Un’enormità. Vi si accede attraverso un ingresso che non lascia per nulla intravvedere la forza e la maestosità dello spazio interno: più di 40.000 metri quadrati, distribuiti su sette piani.

En unas horas se abre al público la Galería de las Colecciones Reales, el nuevo gran museo que podrá visitarse en Madrid. @cdelamor_ ha recorrido sus salas y este es un avance de luego nos enseñará en detalle en el especial #TDColeccionesReales

https://t.co/ZgJQU9hIkG pic.twitter.com/WMc5rLH2Ag

— Telediarios de TVE (@telediario_tve)
June 28, 2023

Ideato nel 1998, il concorso internazionale per concepirlo è stato però indetto nel 2002 e l’opera è stata completata solo nel 2015, dopo un bel po’ di ritardi, ma è stato inaugurato solo otto anni dopo. La visita consente un viaggio attraverso cinque secoli di storia e di arte tutti legati alla monarchia in Spagna.

Secondo il Paìs l’edificio è “un pezzo architettonico il cui interno meriterebbe di essere visitato anche senza mostre, perché ha un tocco elegante con qualcosa allo stesso tempo efficiente, duttile e in questo caso maestoso, anche per i grandi pezzi che ospita. Il giornale precisa che più che un museo “è una galleria, la Royal Collections Gallery”.

Per il quotidiano madrileno, l’inaugurazione della Galleria è stata anche una splendida occasione “per restaurare tanti di quei pezzi che sottolineano la ricchezza e la varietà della collezione stessa: dipinti, sculture, arazzi, mobili, carrozze, libri, ventagli, bronzi, porcellane, ricami, fotografie, orologi; oggetti legati all’industria del lusso”, ovvero la fabbrica reale di arazzi di Madrid, dei Cristalli di La Granja, della Porcellana al Buen Retiro di Madrid, con un laboratorio di pietre dure e a mosaico; compreso quello dei tessuti di seta a Talavera de la Reina e Valencia, di Relojes o Platería de Martínez, a Madrid, “che rivelano una potente rete commerciale dal XVIII secolo in poi e che potrebbero aprire oggi una strada inesplorata per il recupero dell’alto artigianato”.

Una visita susciterà sicuramente enorme curiosità ed entusiasmo per la qualità e varietà dei tesori.

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Napoli – La Locanda del Cerriglio apre anche a pranzo

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Finalmente dal mese di luglio La Locanda del Cerriglio apre i propri battenti anche a pranzo. Lo storico ristorante del Caravaggio, con sede in Via del Cerriglio 3, è lieto di accogliere i suoi avventori per servire loro i migliori piatti della tradizione napoletana. L’inaugurazione diurna con ingresso libero per tutti, è prevista martedì 4 luglio dalle ore 12. Cibo di elevata qualità, uno staff professionale e tanta tradizione vi aspettano per vivere insieme nuove esperienze culinarie.

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Venduto per 86 milioni la “Dama con Ventaglio” di Klimt. È record europeo

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AGI – Tutti gli occhi erano puntati sull’opera, l’ultimo ritratto realizzato da Gustav Klint prima della sua morte, e l’asta non ha deluso: Dame mit Fächer (la Dama con ventaglio) è stato venduto a Londra, all’asta da Sotheby’s, per 86 milioni di euro. È il record per un’opera d’arte venduta in Europa.

Ancora di proprietà privata, la tela – dipinta dal più celebre dei pittori austriaci, nel 1917, un anno prima della sua morte, nel 1918, a 55 anni – era stata esposta al pubblico a Londra per una sola settimana prima della vendita. Il precedente record per un’opera d’arte venduta in Europa era ‘Walking Man I’, di Alberto Giacometti, battuto all’asta per 65 milioni di sterline nel febbraio 2020. 

Sotheby’s ha presentato l’opera come “non solo la star della stagione estiva delle aste londinesi, ma anche una delle più belle e preziose mai offerte in Europa”. 

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Generazione Z, come Zodiaco 

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AGi – “Non uscirò mai più con un Pesci”. Classe 1996, 1 gennaio, Kaelen Larocque racconta al Washington Post d’esser certa che la sua data di nascita ha influenzato parti della sua personalità.

E come gran parte dei suoi coetanei è convinta che l’astrologia sia al centro della vita di ciascuno, determinandone “passioni, interessi amorosi oltre le decisioni da prendere nella vita”. Meglio, a suo avviso “lo zodiaco ha un effetto diretto sui nostri comportamenti e nella vita”. Dalle stelle dipende tutto, dalla consapevolezza di sé all’autostima al rapporto con gli altri. Ciò che la porta anche a stabilire con chi è compatibile e con chi no.

Per Allied Market Research, riferisce il Post, l’industria globale dell’astrologia valeva 12,8 miliardi di dollari nel 2021, in notevole aumento rispetto ai 2 miliardi del 2018. Un balzo. E si prevede che nel 2031 arriverà a quota 22,8 miliardi. Il settore è in fortissima espansione, specie tra i giovani, ribattezzati GenZodiac, frequentatori di innumerevoli siti, piattaforme e app di appuntamenti incentrate sui segni zodiacali, libri, account social. Motivi dell’espansione?

Secondo gli esperti uno dei motivi è dovuto al facile accesso che la tecnologia offre mentre il secondo lo si deve alla fine della pandemia che ha lasciato strascichi nelle condizioni mentali dei giovanissimi, tra crisi d’identità e incertezza futura. Molti si affidano a stelle, segni e oroscopo per trovare sostegno in un periodo critico. “Anche se non ci sono prove scientifiche a supporto dei benefici derivanti dall’astrologia”, chiosa il Post. Una cosa è provare gioia e appagamento dalla lettura delle previsioni, altro basare le principali decisioni della vita “su una scienza confutata. È rischioso”, avverte il quotidiano.

Certo, d’astrologia se ne parla sin dal III millennio a.C. con picchi di popolarità nel corso dei secoli, ma a partire dal 1700 la pratica, un tempo legata all’astronomia e lo studio degli oggetti celesti, “è stata ampiamente bandita dalla comunità scientifica”, commenta Sten Odenwald, astronomo e direttore dello sviluppo delle risorse Stem alla Nasa. Semmai, ci sono studi scientifici che evidenziano “una correlazione tra il periodo della nascita e la personalità, ma tutto ciò che deriva dalle tradizioni astrologiche è privo di fondamento”.

Meglio: “Una cosa è conoscere le posizioni dei pianeti, ma il grosso problema è interpretare cosa essi significhino in termini di comportamenti umani”, precisa Odenwald. “Non c’è affatto alcun collegamento” anche se risulta che “gli americani conoscono più il proprio segno zodiacale che il gruppo sanguigno”, chiosa il Post. Almeno 70 milioni di loro “controllano gli oroscopi ogni giorno”. Del tutto irrazionale.

Commenta Lauren Kassell, docente di Storia della scienza e della medicina a Cambridge: “Sviluppare un’eccessiva dipendenza dall’astrologia è pericoloso, anche se, se le persone usano l’astrologia per dare un senso alla propria vita, va pure bene, ma non oltre”. Tuttavia, conclude, i motivi per cui l’astrologia è in crescita “è legato allo scetticismo nei confronti della scienza e del pensiero individualistico”.

E per i giovanissimi? Creduloni? No, secondo Tracy L. Rogers, astrologa e life coach di Filadelfia: millennial e GenZ “sono più curiosi di sé e delle loro vite”, quindi “più inclini a relazionarsi con l’astrologia” perché “li fa sentire meglio in una serrato dialogo con se stessi”.

Sarà pure non scientifica, dice al Post Caroline Kingsley, 38 anni, “ma è un bel modo di osservare le stelle in cielo. E in ogni caso l’astrologia è generalmente meno assertiva della religione”.

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Il ricamo Tiraz, ‘sapere’ femminile in mostra a Palazzolo

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AGI – La nobile arte del ricamo siciliano, le tessitrici e le loro storie di donne che custodiscono uno dei saperi più antichi dell’umanità. Il Tiraz, opificio tessile di età arabo-normanna, metafora di incontro fra culture che intrecciano trame e fili di tessuti, ma soprattutto storico laboratorio creato negli spazi del Palazzo Forcella de Seta di Palermo nel 1923 da due donne che, spinte dalla voglia di creare e da un notevole spirito imprenditoriale, diedero vita alla tradizionale attività.

Il laboratorio, fino al 1938 circa, realizzò su ordinazione corredi per la famiglie dell’aristocrazia e dell’alta borghesia palermitana e romana dell’epoca. E furono la marchesa Maria Elia De Seta, insieme alla direttrice del laboratorio e creatrice dei disegni, Maria Fortunata Di Liberti, le due imprenditrici ante-litteram che diedero lavoro a una quindicina di lavoranti: ricamatrici di umili origini, figlie di pescatori del quartiere Kalsa, adiacente al palazzo, le quali, guidate da mani esperte, impararono il mestiere.

Una storia di donne, imprenditoria e tradizioni

Il Tiraz cessò di esistere a palazzo De Seta, ma il laboratorio proseguì la sua attività fino a metà degli anni ’60 in un’altra sede. La marchesa De Seta, in seguito alla perdita del figlio primogenito e la morte prematura del suo nuovo compagno, aveva deciso di chiudere l’attività, cedendola a Di Liberti la quale continuò a fornire corredi assicurando il lavoro alle ricamatrici. Il laboratorio venne spostato nella sua casa a Piazza Marina, ora dell’ erede Leontine Regine proprietaria del fondo di ricami in mostra, all’ultimo piano di palazzo Oliveri dove, oltre le ragazze della Kalsa lavorarono anche alcune ricamatrici di Monreale, paese d’origine della direttrice.

Una storia di donne, di imprenditoria e di tradizioni, che rivela il potere antico di un femminile impegnato e produttivo. A celebrarla è la mostra titolo ‘Tiraz-nobiles officinae in Sicilia – Il laboratorio di Ricamo a Palazzo De Seta nella Palermo degli anni 20’, che verrà inaugurata nel Centro espositivo museale delle tradizioni nobiliari di Palazzolo Acreide.

Un’esposizione patrocinata dal Comune di Palazzolo con la collaborazione di Titti Zabert Colombo, fondatrice del centro museale, di sua figlia Serena, dell’architetto Sandro Fiorentino, insieme alla Zabert protagonisti di belle storie di restauro e rinascita, di Emanuela Gargallo, editore e antropologa.

Un’occasione per conoscere meglio la figura e la storia di Maria De Seta, donna “bellissima e affascinante” come qualcuno la ha definita, e sicuramente determinata. La storia della marchesa De Seta si intreccia con i costumi ma anche con la politica del tempo.

L’impegno culturale e politico

Dopo il matrimonio con il marchese De Seta, da cui nacquero i suoi tre figli, Emanuele, Francesco e Vittorio. Ebbe una importante relazione sentimentale con Michele Bianchi, calabrese, “quadrumviro” della Marcia su Roma e ministro dei Lavori pubblici dal 1929 fino alla morte nel 1930. La morte prematura del suo amante avvicinò Maria ancora di più alla politica.

Negli anni Venti Maria De Seta fu animatrice di salotti, sia in Calabria, nella sua casa di Sellia Marina e nella villa di Buturo in Sila, che nelle sue residenze di Roma e Palermo dove entrò in contatto con diverse figure di prima fila del mondo artistico e letterario italiano, da Renato Guttuso a Corrado Alvaro, da Massimo Bontempelli a Mario Missiroli, da Filippo Tommaso Marinetti a Gabriele D’Annunzio.

Nel 1942 si sposò con il Principe Valerio Pignatelli di Cerchiara. Morì in seguito a incidente stradale il 10 marzo 1968 in Calabria, dove ormai abitava da tempo. La sua tomba è nel cimitero di Sersale, accanto ai due figli Emanuele e Francesco, mentre il figlio Vittorio De Seta, è sepolto nella vicina Sellia Marina. Sempre a Palazzolo Acreide il 29 giugno, giorno della festa di San Paolo, si inaugurerà il Centro Studi Fabio Fiorentino, Il Viaggio di San Paolo, finalizzato a realizzare il progetto “Il viaggio di San Paolo” quale punto di incontro interreligioso per favorire le occasioni di Dialogo e di studio del Cristianesimo. All’inaugurazione saranno presenti il Cardinale Mario Grech e l’architetto Fiorentino.

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Indiana Jones conquista Taormina

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AGi – Taormina non è stata così gremita come in questi giorni, in occasione del Taormina Film Fest e la folla oceanica che si era ieri sera concentrata sulla piazza IX aprile del Blue Carpet fin dal primo pomeriggio, non ha consentito alla fine al cast di “Indiana Jones e il quadrante del destino” di presenziare al photocall.

Ma Harrison Ford e gli interpreti del film si sono fatti perdonare dai migliaia di fan giunti in Sicilia da molteplici destinazioni quando, davanti alla gremitissima platea del Teatro – tutto sold out – sono apparsi con una scoppiettante sorpresa: i fuochi d’artificio intorno allo schermo che proiettava immagini di Indiana Jones davanti al mare della Sicilia, peraltro location di alcuni set. Presenti sul palco, insieme a Ford, anche Mads Mikkelsen, Phoebe Waller-Bridge, introdotti dai co-conduttori della serata, Fabio Rovazzi ed Elvira Terranova.

Il presidente di Walt Disney Italia Daniel Frigo ha salutato sul palco i centinaia di bloggers, influencer e youtubers accorsi da ogni parte del mondo. A fare gli onori di casa il sovrintendente della Fondazione Taormina Arte Sicilia, Ester Bonafede, il direttore artistico Beatrice Venezi e il direttore esecutivo e co-direttore artistico della manifestazione, Barrett Wissman.

Nel pomeriggio grande attesa per la masterclass di John Landis, in programma alle ore 18:00 a Casa Cuseni. Il re della commedia parlerà del suo percorso e dei film che hanno segnato la sua carriera e il suo stile: a tale proposito è in corso alla Casa del Cinema di Taormina fino al 1 luglio, una retrospettiva dei suoi film più belli e di quelli scelti da lui (titoli ed orari sul sito ufficiale) In arrivo, sul Blue Carpet di oggi, la regista A.V. Rockwell e la star musicale Teyana Taylor, che al Teatro Antico proietteranno il film A thousand and one.

Un’opera già premiata al Sundance Film Festival, che vede la Taylor nei panni di una donna libera e impenitente che rapisce il figlio di sei anni dal sistema di affidamento per recuperare il senso di una casa, identità e stabilità con le difficoltà di una metropoli, New York, in rapido cambiamento. La regista terrà una masterclass domani, alle ore 16:00, a Casa Cuseni. Alle 10:30 di domani, invece, in arrivo per una speciale masterclass al Palazzo dei Congressi di Taormina, Bella Thorne e i protagonisti di “Influential Shorts”: insieme a lei ci saranno i talent e influencer Adriana Lima, Khaby Lame, Eva Vik e Leaf Lieber. 

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Lazza, Blanco e Sfera Ebbasta. Le recensioni della settimana

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AGI – Ancora un’ondata di tentativi di tormentoni estivi, sperando siano gli ultimissimi colpi di tosse di questo male che ammorba la discografia italiana con vorace spietatezza. Anche perché poi i risultati non sono esaltanti. Lazza, Blanco e Sfera Ebbasta, il tridente che i nostri degenerati giovini aspettavano, floppano; meglio Tananai e Marracash, meglio Management con Lo Stato Sociale, meglio ancora Levante. Male Rhove, male Federico Rossi, male Gio Evan, anche se il pezzo lo ha scritto in sogno con la Carrà…eh vabbè. Una perla di rara bellezza il pezzo di Colombre e chiello, brave le ex X Factor Lucrezia e Linda, ottimo il rap proposto da Vegas Jones nel suo disco. Chicca della settimana: Giacomo Lariccia feat. Peppe Voltarelli con “L’attendente Cancione in bicicletta – (Dieci)”

A voi le nostre recensioni.

Drillionaire feat. Lazza, Blancoe Sfera Ebbasta – “Bon Ton”: Se sei un producer in gamba, e Drillionaire lo è senza alcun dubbio, devi trovare voci e penne che siano capaci di reggere il suono che hai architettato per il tuo brano, altrimenti è come vestire trendy tuo nonno; insomma, il giochino non funziona. Ecco, per questa “Bon Ton” le convocazioni sono di tutto rispetto, Lazza, Blanco, Sfera Ebbasta, sono artisti se non eccezionali, se non da includere tra i nostri grandi autori (proprio no, il trapper di Cinisello Balsamo in realtà quello status la vedrà, sospettiamo, solo col binocolo), perlomeno centrati, con stili e caratteri precisi. Certo però che non è che un brano diventa un buon brano solo perché accanto al titolo ci sono buoni artisti, poi questi artisti qualcosa devono metterla insieme. “Bon Ton” in questo senso è un brano piuttosto superficialetto, manifesto di una generazione di ragazzi ultrafighi ma che in quanto a cose da dire, quando va bene, ne azzeccano una su dieci; questa non è quella volta lì. Merk & Kremont feat. Tananai e Marracash – “Un altro mondo”: Non è che questo recupero della dance cantata anni ’90, con queste casse che macinano impietose, ci faccia impazzire, sarà che conserviamo un’idea di quel mondo lì abbastanza leggera e poco esaltante; però la storia cambia se il suddetto cantato viene affidato a due artisti veri come Tananai e Marracash, che forse sbagliano, paradossalmente, proprio nell’andare ben oltre Merk & Kremont, appoggiando un contenuto articolato e autoriale (d’altra parte sono autori) su una base forse eccessivamente martellante. Il tutto alla fine funziona, fossero sempre questi i tentativi di hit, però diciamo che le due linee, musica e testo, viaggiano su due binari diversi. Levante – “Canzone d’estate”: Un brano davvero affascinante, la fine di un amore mentre la stagione esplode di colori e gioia, un agrodolce che ti immortala lì, da solo, nel mezzo, con questo ritmo andante che bussa alla porta, che ti tira fuori per i capelli, e il cuore a pezzi, l’anima sotto le scarpe e nessuna certezza in tasca. “Canzone d’estate” suona come la hit che non è, perché è molto di più, ed è comunque la migliore hit dell’estate, forse tra i migliori brani proposti dalla Levante post rivoluzione indie. Management feat. Lo Stato Sociale – “Non la vedo bene”: A colpi di schitarrate i Management e Lo Stato Sociale suonano una sirena d’allarme per come impieghiamo il nostro tempo a disposizione; tentano di liberarci da routine, ossessioni, meccanismi mortali che ci incastrano rubandoci pezzi di vita senza darci in cambio alcunché. “Non la vedo bene” si inserisce perfettamente nella narrazione del bellissimo “Ansia capitale”, risultando, a guardar bene, anello fondamentale di quella catena di brani volti non solo a confermarci quanto i Management siano una delle più interessanti proposte musicali della nostra scena, ma anche quanto il nostro pensiero abbia bisogno di stimoli per evolversi e migliorarsi, magari anche attraverso un’analisi impietosa e onesta. Oppure con una buona canzone. Rhove – “Ancora”: Come si possa utilizzare il sample di un brano così delicato come “I’m Yours” di Jason Mraz per tirare fuori dal cilindro una cafonata ti tale livello è una roba che servirebbe un pool di scienziati per spiegarla come si deve. Azzeccare un brano non fa di te un artista, fa di te un ragazzo fortunato, ma quella fortuna poi presenta il conto, te la devi meritare, andando oltre, dando qualcosa, in questo senso Rhove al momento ci risulta arido come il Sahara. Gio Evan – “Carrà”: Leggiamo che questo pezzo sarebbe stato direttamente consegnato in sogno a Gio Evan da nientepopodimeno che Raffaella Carrà; non si spiega il motivo per cui la divina abbia scelto, tra tutta l’immensità di artisti a disposizione nel panorama musicale italiano, proprio Gio Evan, ci sfugge proprio la connessione. Sarà che invece, semplicemente, “Carrà” ricorda fortemente (o si ispira, questo non è specificato) “Tanti auguri” della Raffaellona nazionale, pace all’anima sua, che cerca di replicarne anche l’allegria genuina e definitiva, ma ottenendo solo un’altra sequela di sfacciato ed irritante ottimismo. “Difficile da credere ma ho scritto questo brano con lei” ci tiene a comunicare Gio Evan; no, non è difficile, mica sei l’unico ad essersi preso una sbronza, noi una volta, uscendo dal bar, eravamo convintissimi di aver scontrato per sbaglio camminando Fabrizio Bracconeri, ma gli amici, con la geniale perfidia che li contraddistingue, dopo avermi lasciato libero di sguinzagliare un paio di chiacchiere amichevoli su “I ragazzi della Terza C” ed il significativo ruolo che ha avuto nella nostra vita Sharon Zampetti, ci hanno fatto notare che si trattava di una cabina del telefono. Insomma, capita, ma mica ce ne vantiamo dopo. Colombre feat. chiello – “Adriatico”: Un tuffo in un mare di musica rigenerante, offerto da due artisti, Colombre e chiello, che da quando hanno incrociato le spade ci regalano solo illuminanti scintille di cantautorato puro, sensato, espressione artistica autentica e significativa. “Adriatico” è un brano splendido, che ha il sapore dell’acqua salata, quello buono però, quello quando si è stanchi al tramonto, birretta in mano, amici accanto, costume umido, stanchezza rasserenante, una calma atavica nel cuore come di chi si trova nel posto giusto al momento giusto, nudo e ricco. Un brano inciso in punta di penna e che si incastra alla perfezione dentro “Realismo magico in Adriatico” di Colombre, uno dei migliori album della stagione. svegliaginevra – “La tua ragazza”: Pop non memorabile ma contemporaneo, svegliaginevra si conferma ragazza dotata di orecchio e gusto, ora forse serve giusto tradurre con maggiore autorialità l’indole alla narrazione, smussando angoli, ricercando le parole oltre alle situazioni. Ma è giovane, canta per un pubblico giovane e racconta storie di giovani e spesso ai giovani le storie, semplicemente, le storie, bastano, desiderosi di riconoscersi in qualcosa ancor prima di alzare la mano per farsela spiegare. Ecco “La tua ragazza” racconta molto bene, senza dare spiegazioni, ma scattando una semplice foto, venuta particolarmente nitida. Federico Rossi – “Maledetto mare”: Un brano che ci conferma solo quanto questa separazione di Benji & Fede sia stato un passaggio inutile e anche discretamente dannoso per noi; nel senso che le canzoni hanno lo stesso inesistente spessore, ma essendosi separati ora sono il doppio, un problema, lo assicuriamo, se di lavoro ti tocca ascoltarle. “Maledetto mare” non gira, le intuizioni proposte sono stantie, la costruzione del testo da scuola media, l’intento artistico superficiale, non è che non ci da alcuna ragione per scriverne bene, non ci da proprio alcuna ragione per ascoltarlo. Neima Ezza – “Bella”: Un ritratto semplice ed efficace, la bellezza di una ragazza raccontata non come vuoto canone estetico ma come resistenza ad un mondo che ti può togliere tanto ma non tutto. Un percorso interessante che fa scopa con l’interessante modalità con la quale il producer Dystopic lo fa suonare. Bravi tutti insomma. Vegas Jones – “Jones”: Il rap di Vegas Jones suona proprio bene; flirta con il pop ma non casca nella trappola del trend a tutti i costi, porta a casa dei featuring con colleghi in grado di arricchire l’offerta e non solo il parco stream, per dire, i duetti con Gemitaiz, con Quentin40 ed MV Killa, con Nitro e Nayt, e con Mostro (specialmente) sono perfetti. Vegas Jones sembra avere una chiarissima idea del concetto di canzone, canzone cui fine è la canzone stessa, canzone mezzo di espressione da tenere separato dalle logiche del mercato, canzone che deve arrivare a chi ascolta ma, per l’amor di Dio, deve anche partire, ingranare, arricchirci. “Jones” è un ottimo disco che speriamo non rimanga intrappolato tra le liane di questa giungla discografica. Cricca – “Cricca”: Ci prova, Cricca ci prova, Cricca perlomeno ci prova. Le canzoni sono gracili, inutile negarlo, alle volte talmente sottili da risultare quasi trasparenti, la sua voce poi è poco incisiva, troppo pulita e priva di carattere, ma almeno Cricca ci prova. Intendiamo proprio a dire qualcosa che non strizzi necessariamente l’occhio al pubblico, specie il suo, ereditato da un programma televisivo, quindi che ama essere imboccato e se non lo accontenti si volta dall’altra parte, posto che dall’altra parte si volterà già quando partirà la nuova edizione dello show. Cricca non imbocca, Cricca ci prova, in certi punti ci riesce perfino, come “Supereroi rework” e “Non mi chiamare amore”; deve migliorare, ma chi è che non deve migliorare, signora mia? Lucrezia – “Fulmini”: Brano schizofrenico, moderno, affascinante, intrigante, Lucrezia fa proprio centro, se questo è il codice con il quale intende parlarci, allora noi spalanchiamo porte e finestre per farla entrare. Finalmente quel talento intravisto a X Factor si stiracchia nella giusta direzione, torna a fare capolino, quindi no, “Molecole” non fu un colpo di fortuna, ma solo l’embrione di una visione che oggi si fa nitida anche per noi. E ci piace. Ci piace assai. Sierra – “Ti volevo dire”: Tutto molto semplice, quadrato, poco sgargiante, tutto privo di appeal, abbastanza noioso perché troppo riferito al sound che va per ora. Sulla carta è un no, visto che i Sierra sanno mettere qualità in ciò che fanno, diciamo proprio no. Junior Cally – “Miracolo”: Un pezzo assembrato male, la produzione dance spinge da un lato, l’intento concettuale dall’altro, entrambi sono sviluppati con troppa superficialità. Non leggerezza, superficialità, che sono due cose diverse. Il brano, semplicemente, non funziona. Linda – “17 anni (panico)”: Una sonora sculacciata generazionale, una canzone talmente diretta da farti sentire quasi in imbarazzo, l’intento è ascoltare e recensire, ma in realtà ti verrebbe quasi da chiedere scusa, anche se non gli hai fatto niente alla Gen Z, almeno credi, ma Linda con questo brano ti mette all’angolo e tira sberle. Non hai modo di difenderti perché è tutto dannatamente corretto ed è anche tutto dannatamente moderno, va veloce, come loro, i cciovani, e tu fai fatica a stargli dietro, riconoscendo, comunque, anche se da lontano, che sono nettamente migliori di noi, affrontano un mondo estremamente complicato con una sensibilità spiccata che li rende vulnerabili, infatti noi ne approfittiamo regolarmente. Brava. No, grazie. No, scusa. Tancredi feat. EDONiCO- “Disperato”: Inutile rivisitazione a quattro mani del classico di Nada “Amore disperato”, inutile perché “Amore disperato” è una canzone perfetta, più attuale di quanto queste nuove quattro mani potranno mai rendere. Infatti il risultato è imbarazzante, presuntuoso, spoglio di quell’ammiccamento, di quella disperazione, quel lacerante graffio. Bocciati. chiamamifaro feat. Asteria – “Santa subito”: Brano colorato che sdrammatizza le menate che ammorbano più o meno ogni coppia mai esistita. La santità in relazione alla pazienza dimostrata in una coppia è un grande classico del dire popolare, una del tutto appropriata celebrazione di ciò che tiene insieme due persone, l’accettazione dell’altro. Tenete lontana “Santa subito” dalle vostre compagne, potrebbero cogliere la palla al balzo per rinfacciarvi pure gli auguri di Natale alla vostra ex del 2011, o magari distraetele con i balletti divertenti ed improbabili che la canzone ispira. O magari amatevi, divertitevi e non se ne parla più. Brave. Giacomo Lariccia feat. Peppe Voltarelli – “L’attendente Cancione in bicicletta – (Dieci)”: Un brano dal sapore di Collodi, la solidità dei grandi narratori insomma, in questo caso alle prese con una furiosa e divertente ricerca della libertà, all’inseguimento delle promesse dell’orizzonte, a bordo di una bicicletta. Pura poesia. Imperdibile. Caffellatte feat. Haiducii – “Troppo Chic (Dragostea Din Tei)”: Pur decretando che più che un brano è il risultato di un brief di marketing, non male l’idea di tentare la hit sulle spalle di un’altra hit, sfruttando forse quel trend, manifestazione plastica della pochezza della musica di oggi, basato sul recupero di brani andati forte vent’anni fa (quando uscì la famigerata “Dragostea Din Tei”) per proporli ad un pubblico che ancora non era nemmeno nato. Quindi “Troppo Chic” è colpa nostra? Si, è anche colpa nostra, che ai tempi quando la wave ci propinò “Dragostea Din Tei” non siamo scesi in strada con mazze chiodate e forconi. Vergo – “Videocall”: Un ritmo leggero che tende al reggeaton per il racconto di una relazione a distanza, che vive, appunto, di videocall. Sarà che il reggaeton “It’s not my cup of tea”, sarà che la modernità smorza un po’ la poesia, sarà anche che, volendo sorvolare su questi due punti, il pezzo comunque è di una noia mortale; ma per noi è un secco no. Lowy feat. Maestro Pellegrini – “Ci vorrebbe il mare”: Pensavamo ad una versione di quel capolavoro di “Ci vorrebbe il mare” di Marco Masini, in realtà quello che Lowy e l’eccellente Maestro Pellegrini fanno è cantare il rovescio della medaglia. “Ci vorrebbe il mare tra noi” recita il testo, quindi un mare per dividere, per mantenere le distanze, giustificare l’assenza e la malinconia. Che è una scelta, come poi viene spiegato, da stupidi…che poi è quello che gli innamorati sono: stupidi.

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Prigioniera ad Auschwitz, la storia di Vittoria Nenni in un libro

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AGI – “Dite a mio padre che ho avuto coraggio fino all’ultimo e che non rimpiango nulla”. Con queste parole Vittoria Nenni, terzogenita del leader socialista, si congedò da questa terra, il 15 luglio 1943. All’inizio di quell’anno il numero 31.635 marchiato sul braccio di Vivà, come la chiamano i familiari, è già una condanna a morte, ma lei affronta i sei mesi di detenzione nel campo di sterminio di Auschwitz con una determinazione che a leggerla oggi pare possibile solo negli eroi della mitologia.

La sua storia, tragica e piena di coraggio, viene raccontata da Antonio Tedesco, nel libro “Vittoria Nenni, n. 31635 di Auschwitz” (Arcadia edizioni), che esce a ottant’anni dalla morte di Vivà e che viene presentato a Roma, martedì 27 giugno, alle ore 16, presso il Centro Convegni “Bruno Buozzi” in via Lucullo 6. Un volume emozionante, che racconta con particolari inediti la vita coraggiosa di Vivà, nel contesto della resistenza italiana, francese e degli orrori dell’Olocausto.

Vittoria era nata ad Ancona, il 31 ottobre 1915, mentre Nenni si trovava a combattere al fronte in piena prima guerra mondiale. Sua figlia si chiama Vittoria, proprio come auspicio al successo delle truppe italiane e degli alleati contro Germania e Austria. A 11 anni ha il suo primo incontro diretto con il fascismo.

Mentre rientra a casa, trova una squadra di camicie nere che stanno distruggendo l’appartamento. Uno la prende per un braccio e minaccia di far fare al padre la fine di Matteotti. La paura è tanta e, dopo quell’episodio, Pietro Nenni decide di prendere la via dell’esilio. La moglie e le figlie lo raggiungeranno a Parigi quasi un anno dopo, beffando la sorveglianza del regime.

Deportata ad Auschwitz

Quando scoppia la seconda guerra mondiale, Vittoria prende parte alla resistenza francese assieme al marito. Scoperti, vengono incarcerati. Il marito è fucilato, lei e le sue compagne caricate su un treno per Auschwitz in condizioni disumane. Vittoria, in realtà, avrebbe potuto salvarsi rivendicando la sua nazionalità italiana.

“Non lo fece – sottolinea Tedesco – perché non voleva essere trasferita in Italia, probabilmente sperava che il marito fosse ancora vivo e non voleva lasciare quel carcere.

Poi Pietro Nenni disse che non aveva voluto favori e seguì la sorte delle sue compagne di lotta. Con ogni probabilità c’è un po’ di vero anche in questo”. Rimane, però, un elemento inconfutabile: “Vivà, la figlia meno politicizzata di Nenni, quella che meno si era interessata alle battaglie del padre, decide di aiutare la Resistenza francese e finisce ad Auschwitz”.

Nel campo di concentramento la vita è molto dura, si marcia o si lavora per molte ore al giorno, con una divisa troppo leggera per la neve invernale e troppo pesante per la calura estiva; il rancio è assolutamente insufficiente e i giacigli sono blocchi di cemento con cuccette sovrapposte senza neppure della paglia.

In quelle condizioni, Vivà sopravvive sei mesi, poi si arrende probabilmente a una febbre tifoide. “Le poche compagne sopravvissute – racconta Tedesco – la ricorderanno con affetto e gratitudine, perché ha salvato diverse vite, curando chi aveva preso il tifo. Probabilmente morì a causa di questo suo altruismo”. 

L’agonia della famiglia

Finita la sua agonia, però, inizia quella della famiglia, che non riesce ad avere sue notizie. Il libro di Tedesco, delinea anche il tormento di Pietro Nenni, nel cercare informazioni su Vivà. Il leader socialista apprende della morte di sua figlia solo il 29 maggio 1945.

A comunicargliela è il primo ministro, Alcide De Gasperi. I due si sciolgono in un abbraccio pieno di commozione e lacrime. Nel suo diario, Nenni annota: “La parola che mi va più diretta al cuore è quella di Benedetto Croce: ‘Mi consenta di unirmi anch’io a Lei in questo momento altamente doloroso che Ella sorpasserà ma come solamente si sorpassano le tragedie della nostra vita: col chiuderle nel cuore e accettarle perpetue compagne, parti inseparabili della nostra anima’”. 

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Cultura

Cosa non ha funzionato nel Reddito di cittadinanza? Un libro prova a rispondere

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AGI – “I media tendono a trascurare il tema del lavoro, dei salari e del carovita. Benché il lavoro sia l’ansia quotidiana di chi lo ha, per non perderlo, e di chi lo cerca per poter avere una vita degna di essere vissuta”. Il grande merito de ‘Il lavoro che c’è e il reddito di cittadinanza’, scritto da Patrizia Baratto e Roberto Giuliano, (Edizione Ponte Sisto), è quello di affrontare in modo innovativo questo argomento ponendosi domande e avanzando soluzioni possibili. Il testo si concentra sul terreno macroeconomico ma non solo. Non perde mai di vista le persone.

La prima parte propone un’analisi delle ragioni e delle motivazioni dei cittadini che si sono rivolti ai centri per il lavoro, valuta le loro aspettative, i loro dubbi e la loro storia lavorativa. Nella seconda parte del libro si affrontano gli strumenti ad oggi disponibili per supportare le politiche attive per il lavoro, ma anche una analisi sul loro funzionamento mettendone in risalto le criticità.

Il nodo delle politiche attive

Gli autori evidenziano il fallimento del Reddito di Cittadinanza nell’ottica del suo fine, ma con obiettività riconoscono che se non ci fosse stato il RdC la pandemia sarebbe stato un periodo ancora più drammatico per tante famiglie italiane.

Patrizia Baratto e Roberto Giuliano individuano la mancanza di politiche attive per il lavoro nella disarticolazione tra stato, imprese ed enti formativi. L’assunto dei due autori è che non si può percepire un reddito assistenziale senza svolgere una funzione formativa, un tirocinio o un lavoro socialmente utile. Qualsiasi forma di supporto al reddito deve essere correlata ad un’attività, sia essa formativa o sociale, inoltre si deve creare una sinergia tra il mondo delle imprese e gli enti formativi per favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta, coinvolgendo tutte le istituzioni competenti.

Sull’inflazione, gli autori rilanciano il modello della concertazione già usata dal governo Craxi nel 1984, con le dovute modifiche, considerati la situazione e il ciclo economico differenti. Dicono sì al salario minimo ma avvertono: da solo avrebbe la funzione di aumentare l’inflazione e dunque diminuire il potere d’acquisto dei salari che rimane la priorità per un governo riformista.

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