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 Britney Spears “ho chiuso con l’industria musicale”

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AGI – Britney Spears smentisce le indiscrezioni e assicura di non avere alcuna intenzione di tornare nell’industria musicale. Le voci secondo cui starebbe pianificando un ritorno in studio non sono altro che “pattume” ha detto la (ex) popstar. Secondo alcuni media statunitensi avrebbe consultato alcuni autori di testi, tra cui Julia Michaels e Charlie XCX, per il suo decimo album in studio. “Giusto per chiarirci che la maggior parte delle notizie sono spazzatura!!!” ha scritto il cantante su Instagram. “Continuano a dire che mi rivolgo a persone a caso per fare un nuovo album… Non tornerò mai più nell’industria musicale!!!”.

Ha aggiunto di scrivere musica solo per divertimento e ha anche rivelato di aver scritto più di 20 canzoni per altri artisti negli ultimi due anni.

“Sono un ghostwriter e sinceramente mi diverto così!!!” ha scritto la cantante nota per successi come ‘Baby One More Timè, ‘Oops!… I Did It Again’ e ‘Toxic’.
Nell’agosto 2022, la Spears ha pubblicato il suo primo inedito da quando non è più sotto tutela, una situazione che condizionava quasi ogni aspetto della sua vita.

‘Hold Me Closer’ – un duetto con Sir Elton John – ha segnato il ritorno della Spears alla musica dopo una pausa di sei anni.
I fan hanno chiesto a gran voce il suo ritorno alla musica e, sebbene in precedenza abbia lasciato intendere di essere cauta nel tornare nel settore, questa è la prima volta che lo esclude inequivocabilmente. L’anno scorso ha pubblicato il suo libro di memorie, intitolato ‘The Woman in Mè, che descrive dettagliatamente la vita vissuta sotto tutela e rivela di aver avuto una interruzione di gravidanza mentre frequentava Justin Timberlake.

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Nove anni fa ci lasciava Pino Daniele, il messaggio social della figlia Sara

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AGI – “Mi sento ancora quella bambina che ti guarda dal sedile posteriore della macchina e cerca di stringere la tua mano. Non è cambiato niente. Sono sempre io. E tu sei vicino a me”. Con queste parole Sara, terzo genita del cantautore Pino Daniele ricorda nel nono anniversario dalla scomparsa l’amato papà in un post affidato a Instagram

Pino Daniele fu colto da un infarto nella sua villa in Toscana, il 4 gennaio 2015, e morì tentando una corsa disperata verso l’ospedale Sant’Eugenio di Roma dove era in cura. 

Il post della figlia ha ricevuto più di 1500 commenti, tra cui molti di personaggi noti come Nicola Savino che scrive “tutti i giorni la sua musica, sempre”, di Arianna Mihajlovich che posta semplicemente un cuore, ma anche tante persone comuni che ricordano il legame indissolubile dell’artista con Napoli. 

 

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Russell Crowe “discendo dall’ultimo decapitato del Regno Unito”

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AGI – L’attore neozelandese Russell Crowe è sicuro di discendere da Simon Fraser, l’undicesimo Lord Lovat e l’ultimo decapitato nel Regno Unito.
Come ha pubblicato l’artista su X e riporta anche il quotidiano ‘The Scotsman’, furono erette delle tribune di legno affinchè la gente potesse assistere all’esecuzione di Fraser, una delle quali cadde, provocando la morte di nove spettatori. Si dice che quando Fraser lo scoprì, cominciò a ridere, a quel punto fu giustiziato e così divenne responsabile dell’espressione “ridere a crepapelle”.

Simon Fraser (1667-1747) fu condannato a morte per alto tradimento, per aver preso parte alla ribellione giacobita, che voleva restaurare Giacomo II Stuart e i suoi discendenti sul trono d’Inghilterra.

D’altra parte, Crowe ha anche condiviso la sua scoperta che il padre di uno dei suoi bis-bisnonni da parte di madre era l’italiano Luigi Ghezzi, che si recò in Nuova Zelanda nel 1864 dopo aver incontrato Mary Ann Curtain, la sua ex moglie, a Città del Capo, in Sudafrica. Ha ammesso di avere ancora molta strada da fare per esplorare la sua genealogia, poichè non si conosce ancora l’origine irlandese emersa dal test del DNA fatto da alcuni suoi parenti stretti. Tuttavia, ha indicato di aver già scoperto “connessioni norvegesi, italiane, scozzesi e maori” nella sua storia familiare.

“È bello scoprire finalmente il legame italiano che, nonostante abbia visto molto dell’Italia, proviene da posti in cui non sono mai stato”, ha concluso. 

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“La memoria che educa al bene” le riflessioni di Segre e Mons. Delpini

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AGI –  Liliana Segre e l’Arcivescovo di Milano, Mario Delpini, riflettono sulle difficoltà del mondo di oggi, usando gli strumenti della propria esperienza di vita e del proprio percorso di fede. In un libricino edito dalle Edizioni San Paolo dal titolo “La memoria che educa al bene”, vengono riportati i testi integrali di un incontro che si è tenuto il 2 dicembre 2022 alla parrocchia di San Pietro in Sala a Milano.  La serata ha fatto parte del ciclo di incontri “Fare cultura genera il benessere della persona” rivolti alle famiglie e ai giovani. In particolare, gli ospiti di questa serata hanno concentrato le proprie riflessioni sul tema dell’educazione portando alla platea riflessioni sul proprio vissuto. 

Più volte nel corso della serata è stato ricordata la figura di Don Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana. Della missione di rendere uomini chi non era neppure in grado di scrivere il proprio nome, restituendo dignità alla persona attraverso la cultura. 

Da qui la senatrice a vita Liliana Segre, una delle ultime testimoni dirette della tragedia dei campi di sterminio ha ricordato cosa volesse dire rinascere dopo la detenzione nei campi, dove l’identità era stata cancellata e sostituita da un numero. Come spesso ricorda nei suoi racconti, ha raccontato la marcia della morte, iniziata il 27 gennaio 1945. L’ultima atroce prova prima della libertà, prima della rinascita come persona, come donna, come moglie, madre e nonna. Segre definisce la sua vita prima della testimonianza, iniziata solo alla nascita del primo nipote, “una vita in silenzio”, fatta di discorrere e poco parlare. “Non è l’odio che ti fa partorire, non è l’odio che ti fa diventare nonna, non è l’odio che ti dà amore: è l’amore!” ha detto ai presenti invitandoli a riflettere sul proprio ruolo di educatori. 

Da ultimo il libro propone, il discorso che Segre ha pronunciato al Parlamento Europeo nel 75esimo anniversario della liberazione di Auschwitz nel 2020 e con il discorso alla città di Milano dell’arcivescono Delpini “Con gentilezza, virtù e stile per il bene comune”. 

In poco più di un centinaio di pagine, il lettore viene condotto in una riflessione sulle difficoltà anche educative dei ragazzi, sul ruolo delle famiglie, ma anche sul senso profondo dell’amore come forza motrice in un tempo sempre più contrassegnato dai conflitti e dagli egoismi. 

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Riccardo Muti tornerà a dirigere il concerto Vienna nel 2025

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AGI – Sul podio del Musikverein di Vienna a Capodanno del 2025 tornerà il maestro Riccardo Muti. Lo ha annunciato la Filarmonica della capitale austriaca in un comunicato subito dopo la fine del concerto di quest’anno, diretto da Christian Thielemann e trasmesso in diretta in oltre cento Paesi di tutto il mondo.

L’anno prossimo si celebra il bicentenario del “padre del valzer”, Johann Strauss Junior. “Per commemorare questo importante anniversario, la Filarmonica di Vienna ha invitato ancora una volta il maestro Riccardo Muti a dirigere l’annuale Concerto di Capodanno dell’orchestra”, si legge nella nota della Filarmonica.

Sarà la settima volta che il celebre direttore d’orchestra napoletano, oggi 82enne, dirigerà a Vienna il celebre concerto di valzer e polke con cui la Filarmonica Viennese rivolge tradizionalmente al mondo intero gli auguri per il nuovo anno: è infatti già salito sul palco del Musikverein nel 1993, 1997, 2000, 2004, 2018 e 2021.

La decisione è avvenuta come sempre con un sistema di voto dell’orchestra. Dall’inizio di questa collaborazione artistica nel 1971, Muti, direttore musicale a vita della Chicago Symphony, ha diretto più di mezzo migliaio di concerti e produzioni operistiche della Filarmonica di Vienna.

“Riccardo Muti occupa da oltre cinquant’anni un posto eccezionale nella storia dell’Orchestra Filarmonica di Vienna. Membro onorario dell’orchestra dal 2011, ha contribuito a plasmare in modo unico il repertorio e il suono specifico dell’ensemble”, sottolinea nel comunicato il presidente dell’orchestra, Daniel Froschauer. 

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Storia e misteri romani del Ponte del Soldino

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AGI – Un testo che ibrida, unendole, saggistica e narrativa: è sugli scaffali, per Palombi Editori, un volume composto dal saggio ‘C’era una volta un ponte’, firmato da Stefano Lucchini e Giovanna Pimpinella, e dal romanzo ‘Il ponte sospeso’, del noirista milanese Andrea Carlo Cappi.

Entrambi i lavori sono dedicati al cosiddetto Ponte del Soldino (soprannome dovuto al fatto che attraversarlo richiedeva un pedaggio) opera realizzata all’altezza della Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini a Roma allo scopo di collegare via Giulia con via della Lungara, che ebbe però vita breve: eretta nel 1863, durante il pontificato di Pio IX, fu distrutta nel 1941 lasciando spazio all’attuale ponte Principe Amedeo.

Nel loro saggio Lucchini e Pimpinella riportano in vita la storia del ponte di ferro che non c’è più attraverso un’accurata ricostruzione storica basata su giornali d’epoca, fotografie, cartoline e altre fonti, realizzando al contempo un ritratto inedito di Roma. Quel collegamento sospeso, nato da tecniche e materiali nuovi, era considerato precario e riguardo alla sicurezza del suo progetto serpeggiava lo scetticismo, così come con sospetto era visto il salto verso la modernità che Pio IX  si impegnava a intraprendere. Ma soprattutto, e più prosaicamente, il ponte era mal sopportato dai romani essendo l’unico su 35 che richiedeva un esborso di denaro per attraversarlo, e ovviamente altrettanto osteggiato dai traghettatori.

Il lavoro ha un doppio punto di partenza: da una parte un quadro di Annibale Angelini del 1869, che raffigura il ponte inserito nella vita attiva della città, dall’altra una cartolina risalente agli anni Trenta del ‘900 che pure lo ritrae, ma oltre a non essere mai stata spedita né affrancata, presenta un ritaglio della riproduzione di un quadro di Sofia Chiostri incollato e frasi enigmatiche battute a macchina.

Un mistero cui si ricollega il romanzo di Andrea Carlo Cappi, che parte dall’uccisione di un ispettore del Ministero dei Lavori Pubblici, il cui corpo viene ritrovato sul Ponte del Soldino nel 1864. Il cardinale Giovanni Antonio Mora, incaricato di affiancare la polizia nelle indagini, ha però molti dubbi sulle reali circostanze di quella che è stata messa in scena come una rapina, e non smette di indagare in cerca di una verità misteriosa come il non luogo che il ponte a tutt’oggi rappresenta.

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Anno da record per il Teatro dell’Opera di Roma con 250 mila biglietti venduti

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AGI – L’Opera di Roma conclude il 2023 con un eccezionale successo di pubblico: sono state più di 250 mila le persone che hanno assistito con un biglietto a pagamento agli spettacoli della Fondazione Capitolina nelle sue sedi. Lo comunica lo stesso Teatro Costanzi in una nota.

Il numero di spettatori è passato da 218.489 nel 2022 a 250.216 nel 2023, un incremento del 14,5%. Il totale comprende anche il pubblico del Caracalla Festival che, con 115.980 biglietti venduti, ha fatto registrare il più alto numero di presenze dal 2001 e segnato un pieno recupero rispetto all’ultimo anno prima della pandemia (106.692 presenze nel 2019).

Ai numeri di Caracalla e del Costanzi si aggiungono poi i 40mila spettatori delle tournèe effettuate dal Teatro durante l’anno: al Bunka Kaikan di Tokyo e alla Kanagawa Kenmin Hall di Yokohama (Tosca con la regia di Franco Zeffirelli e La traviata firmata Sofia Coppola, entrambe dirette da Michele Mariotti, che da sole hanno fatto registrare 14.259 presenze), al Palais des Congrès di Parigi (Le quattro stagioni di Giuliano Peparini su musiche di Vivaldi), alla Royal Opera House di Muscat in Oman (con Giselle nella versione di Carla Fracci) e al Teatro Comunale di Bologna con la Serata coreografi contemporanei.

Significativa anche la partecipazione dimostrata dal pubblico per le 80 iniziative a ingresso gratuito e rivolte alla comunità cittadina, che hanno segnato un’affluenza oltre i 30mila spettatori. Molti i progetti di inclusione sociale e di apertura del Teatro al territorio che hanno coinvolto tutti e 15 i municipi della Capitale, alcuni importanti centri della città metropolitana e la rete dell’associazionismo diffuso.

Si è assistito a spettacoli dal Teatro di Villa Torlonia alle piazze di Tor Bella Monaca, passando per il Lungotevere, i Musei Capitolini (Notte dei Musei) e l’Aeroporto di Fiumicino. Molti di questi hanno visto la partecipazione della Scuola di Canto Corale e di “Fabbrica”, lo Young Artist Program dell’Opera di Roma. 

Si chiude così un anno importante – sei legge ancora nella nota – in cui il Teatro ha incrementato la produzione e registrato un aumento del tasso di riempimento della sala, mediamente intorno all’85% – con picchi da tutto esaurito per Aida, Tosca e Schiaccianoci – mentre dati importanti già cominciano a emergere anche per il 2024: il numero degli abbonamenti per la nuova stagione è cresciuto infatti del 15,3% rispetto allo scorso anno.

Anche quest’anno l’Opera di Roma, al termine dell’ultima replica de Lo Schiaccianoci del 31 dicembre (ore 18.00), celebra l’anno venturo con un brindisi insieme al Sovrintendente Francesco Giambrone, alla direttrice della compagnia di ballo Eleonora Abbagnato, agli interpreti dello spettacolo e al pubblico in sala. Un momento di festa a conclusione delle dodici repliche del balletto, che da sole hanno ospitato oltre 17 mila spettatori.

Roma Capodarte 2024

Lo Schiaccianoci è il secondo maggior successo di pubblico dopo La traviata allestita a luglio a Caracalla (20.330 biglietti venduti). I festeggiamenti proseguono lunedì 1 gennaio 2024 in occasione della terza edizione di Roma Capodarte 2024, il programma gratuito di eventi culturali distribuiti su tutto il territorio cittadino promosso dall’Assessorato alla Cultura e dal Dipartimento Attività Culturali di Roma Capitale.

Dalle 15.30 alle 19.30 sul piazzale antistante il Teatro in Piazza Beniamino Gigli si svolgono una serie di concerti gratuiti con la partecipazione di Riciclato Circomusicale, Little Pier, The Ukulele Tree Orchestra, FanfaRoma ed EtnoMusa.

Dalle 16.00 alle 19.00, invece, la platea del Teatro Costanzi è accessibile al pubblico su prenotazione per una esperienza di incontro speciale, grazie alla collaborazione con Binario 95 e il mensile “L’osservatore di strada”, due comunità di accoglienza e supporto per persone senza dimora, le quali condivideranno con i presenti racconti e riflessioni sul Teatro e sul proprio vissuto. 

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La prima regista del cinema italiano, la storia ‘sconosciuta’ di Elvira Notari

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AGI – La prima donna regista del cinema italiano. Si chiama Elvira Notari ed è la protagonista del libro “La figlia del Vesuvio. La donna che ha inventato il cinema” di Emanuele Coen, giornalista de L’Espresso e scrittore, che sei anni fa era a Napoli per lavoro per fare un reportage sulla proliferazione di film e serie tv ambientate in città a partire da “Gomorra”.

“Non ne avevo mai sentito parlare – racconta – Mi è sembrata da subito una storia straordinaria. Nelle settimane successive mi sono documentato, ho realizzato che si trattava di una figura di riferimento per gli addetti ai lavori, gli esperti di cinema, ma assolutamente ignota al grande pubblico. E agli stessi napoletani. Basti pensare che durante la sua carriera, oltre sessanta film e centinaia di documentari andati quasi tutti perduti, non aveva mai rilasciato un’intervista. O meglio, nessuno gliela aveva chiesta. Non si sa cosa pensasse, quali emozioni provasse, la sua vita per certi aspetti resta un mistero. Dunque, la sfida è stata colmare quel vuoto attraverso la finzione, il racconto immaginario della sua esistenza. In un certo senso la parte inventata del romanzo è quella più autentica. Il personaggio di Elvira è molto più ricco della persona che conoscevamo”.

Ne è nato un romanzo (edizioni Sem) che tra realtà e finzione rievoca la vita di questa figura avvolta nel mistero che a fine Ottocento fu capace di intuire la novità e il miracolo di quel “o’mbruoglio int’o lenzuolo” che dai primi anni Venti a Napoli faceva sognare le diverse umanità. Un meticoloso lavoro documentario basato su fonti consultate in archivi sparsi tra l’Italia e l’America che restituisce al pubblico una figura irripetibile, offuscata dalla polvere del tempo capace di fondare la Dora film, una delle più importanti case di produzione del cinema italiano.

La ricerca dei materiali per restituire la storia di Elvira Notari. Quanto tempo ha impiegato? Ci racconta qualche curiosità e qualche scoperta fatta per questa scrittura?

Tra ricerche d’archivio e scrittura ho impiegato circa due anni per realizzare La figlia del Vesuvio. È stata una scoperta continua, ho effettuato la maggior parte delle ricerche nella biblioteca Renzo Renzi della Cineteca di Bologna, dove è custodita la maggior parte delle opere dedicate a Elvira Coda Notari. Non essendo uno storico, durante la lavorazione del libro ho scoperto dettagli e aneddoti che non conoscevo affatto. Un esempio: l’incontro a Firenze tra Benito Mussolini e due divi di Hollywood, Douglas Fairbanks e Mary Pickford.

Il Duce, abile comunicatore e grande fan del cinema americano, capì l’importanza delle celebrità, si fece bello di quell’intesa. All’epoca, alla faccia dell’autarchia fascista, i film di Hollywood sbancavano al botteghino. Più tardi, Mussolini decise di spedire in giro per l’Italia decine di furgoni dotati di schermo e cinepresa per educare le masse al cinema di propaganda. Il cinema ambulante dell’Istituto Luce. Un’altra scoperta riguarda l’abbigliamento dei personaggi del romanzo. Per ricostruire ogni dettaglio mi sono procurato i cataloghi originali dei Grandi Magazzini Mele di Napoli, dove sono descritti scrupolosamente abiti e accessori da donna, uomo e bambino.

Dal libro escono anche fuori il racconto di una Napoli all’avanguardia dove fioriva il cinema. Come si incrocia la storia di Elvira con quella della città?

All’inizio, appena trasferita insieme alla famiglia da Salerno, Elvira detesta Napoli. La trova caotica, invadente, decadente. Trascorre interi pomeriggi a guardare il soffitto, sconfortata e quasi spaventata dalla città e dai suoi abitanti. Poi piano piano si innamora di Napoli e della sua gente, scopre il cinema e si innamora anche di quello, conosce l’uomo che diventerà suo marito, Nicola, che lavorerà insieme a lei alla costruzione di questo sogno collettivo. Perché in quegli anni Napoli, insieme a Torino, è la capitale italiana del cinema. In questo senso “La figlia del Vesuvio” è anche un romanzo d’amore.

Come ha ricostruito il carattere di questa figura?

Non è stato facile costruire il personaggio di Elvira. La letteratura è ricca di personaggi femminili raccontati dalla penna di un uomo, basti pensare a “Anna Karenina” di Lev Tolstoj e “Madame Bovary” di Gustave Flaubert. A parte i paragoni ovviamente impropri, ho sentito la responsabilità di questa grande sfida. Le sue fragilità, i punti di forza, i complessi di inferiorità, la voglia di riscatto, la sensibilità e l’intuito imprenditoriale. Le idiosincrasie e le passioni di una donna determinata ma con un carattere a tratti duro, inflessibile. Non dico altro per non spoilerare il romanzo.

Per dare forma al personaggio di Elvira si è ispirato a qualche donna del contemporaneo?

A dire la verità nessuna in particolare. Oggi viviamo in un’epoca in cui, per effetto dei social, punti di vista e opinioni sono fortemente polarizzati. La comunicazione prevale sull’azione. Elvira invece è donna del fare, imprenditrice e artista, giorno dopo giorno costruisce la propria reputazione, la propria credibilità come regista e libera la propria creatività. Parla poco e agisce molto. Non voglio dire che non esistono donne come lei, ma non mi sono ispirato ad alcuna figura contemporanea. Forse l’autore di un romanzo non si dovrebbe innamorare dei suoi personaggi ma devo ammettere che di Elvira mi sono un po’ innamorato. 

Come si intreccia la storia di Elvira regista con la storia d’amore con il marito Nicola?

Nicola è un uomo generoso, discreto e lungimirante. Accetta che la moglie prenda la scena, in un’epoca in cui le donne sono soltanto madri e non hanno alcun ruolo pubblico nella società. Insieme scoprono il cinema mentre nasce, la loro storia d’amore si sovrappone all’epopea del cinema muto, in una simbiosi che ha del miracoloso.

Cosa è rimasto oggi di Elvira Notari? La sua eredità sia professionale che personale?

Di Elvira Notari rimane poco dal punto di vista materiale. Solo tre film, “A Santanotte”, “È piccerella” e “Fantasia e surdato”, conservati nella Cineteca nazionale di Roma. Gli altri film e cortometraggi sono andati perduti. Dal punto di vista della storia del cinema, invece, Elvira Notari viene considerata una figura fondamentale, pioniera del Neorealismo, femminista ante-litteram. Gli studiosi di cinema la celebrano ma purtroppo il pubblico continua in gran parte a ignorarla. Spero che La figlia del Vesuvio possa accendere la curiosità dei lettori.

La trama del libro potrebbe essere quella di un film…ha avuto proposte?

Sì, la storia di Elvira sembra fatta apposta per una trasposizione cinematografica o televisiva. Del resto ho costruito il romanzo per immagini, per scene, raccontando i fatti come se si materializzassero davanti a me. Ho depositato alla Siae il soggetto di un film, già alcuni mesi fa, non ho ricevuto proposte ma il lavoro da questo punto di vista comincia ora. Dal romanzo ho ideato uno spettacolo, “Il suono di Elvira”, che prevede la presentazione, un reading a due voci e la performance di alcuni musicisti sulle immagini di “Napoli sirena della canzone” (1929) di Elvira Notari. Lo abbiamo messo in scena a Napoli con l’attrice Cristiana Dell’Anna, che in queste settimane sta leggendo alcuni brani del libro su alcuni frammenti dei film della regista. Nel corso del prossimo anno abbiamo in cantiere alcune repliche e poi, chissà, magari da cosa nasce cosa.

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Un anno di cinema, tra successi, flop e riscatti

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AGI – Il 2023 del cinema italiano ha visto due nomi primeggiare su tutti: Matteo Garrone e Paola Cortellesi. Il regista romano si conferma uno dei migliori talenti della nuova generazione e alla Mostra del Cinema di Venezia conquista, con ‘Io capitano‘, un film difficile sull’odissea di due migranti africani che cercano di arrivare in Italia, il Leone d’Argento per la miglior regia. Un premio e un consenso unanime per un film con attori africani, recitato nella loro lingua e in francese, che l’Italia candida all’Oscar per il miglior film non in lingua inglese (è entrato nella short list di 15).

Discorso a parte merita Paola Cortellesi. L’attrice debutta alla regia con un film molto particolare e coraggioso, ‘C’è ancora domani‘, vincitore di tre premi alla Festa del Cinema di Roma, tra cui il premio del pubblico. Lei stessa ha dichiarato scherzando che i suoi produttori sono pazzi perché hanno accettato di finanziare un film che lei gli aveva presentato così: “Voglio fare una commedia in bianco e nero, una storia che parla di violenza familiare e che è ambientata a Roma nel 1946”.

La follia però è stata premiata e, così come il pubblico del festival romano, anche quello italiano è accorso a vedere il film e ad applaudire gli attori (la stessa Cortellesi, Valerio Mastandrea, Giorgio Colangeli, Vinicio Marchioni, Emanuela Fanelli), facendo di ‘C’è ancora domani’ il film campione d’incasso in Italia del 2023 (insieme al blockbuster supercandidato all’Oscar ‘Barbie’) con circa 32 milioni di euro.

Proprio ‘Barbie‘, insieme a ‘Oppenheimer‘, è stato il film che ha segnato la riscossa di Hollywood nel 2023. Si è parlato di un fenomeno culturale, ribattezzato ‘Barbenheimer’, per la distribuzione cinematografica simultanea di due film blockbuster diversissimi e subito campioni d’incasso avvenuta il 21 luglio negli Stati Uniti e in svariati altri Paesi del mondo.

‘Barbie’ della Warner Bros. Pictures diretto da Greta Gerwig e ‘Oppenheimer’ della Universal Pictures diretto da Christopher Nolan. Il forte contrasto in termini di tematiche e contenuti tra la commedia fantasy con Margot Robbie sulla fashion doll Barbie, e il biopic epico con Cillian Murphy sul fisico J. Robert Oppenheimer (direttore scientifico del progetto Manhattan, che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche), entrambi destinati a fare incetta di Oscar il prossimo marzo, ha suscitato un’enorme partecipazione sui social da parte degli utenti di Internet che si sono sbizzarriti in meme e merchandise.

Con l’avvicinarsi della data di uscita dei due film, la discussione si è concentrata sull’opportunità di guardare le pellicole come doppio spettacolo (anche lo stesso giorno), nonché sull’ordine in cui guardarli, invece di generare una rivalità. Variety ha definito il fenomeno come “l’evento dell’anno” e ad agosto 2023 Full Moon Features ha annunciato la produzione di un film basato sul fenomeno, la cui distribuzione è prevista per l’inizio del 2024 da Amazon Prime Video.

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Dal principe Harry ad Ammaniti e Vannacci, i 10 libri più venduti del 2023

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AGI – In attesa che le rilevazioni ufficiali chiariscano chi ha trionfato nella gran tenzone finale delle Feste, il 2023 dei libri si chiude (al momento) con un 0,3% di vendite, corrispondenti a 1.283 milioni di euro e 85,7 milioni di copie (dati Associazione Italiana Editori – Nielsen BookScan relativi ai primi 11 mesi dell’anno).  Il mercato appare diviso a metà tra piccoli e medi (50,1%) e grandi editori, mentre tra i canali di vendita recuperano sia le librerie fisiche  (dal 53,4 al 54,5%) che la grande distribuzione (dal 4,7 al 4,9%), con l’e-commerce che scende dal 41,9 al 40,6%.

La classifica provvisoria

Sempre stando ai dati dell’AIE relativi ai primi 11 mesi del 2023, la classifica delle vendite dell’anno vede al primo posto ‘Spare’ (Mondadori) del Principe Harry, seguito da ‘Dammi mille baci'(Always Publishing)‘ di Tillie Cole – libro  uscito nel 2018 –  e ‘La portalettere’ (Nord) di Francesca Giannone.

Subito fuori dal podio il comeback di Niccolò Ammaniti  ‘La vita intima’ (Einaudi) precede la più controversa sorpresa dell’anno: ‘Il mondo al contrario’ del generale Roberto Vannacci, volume auto pubblicato. Al sesto posto si posiziona ‘Tre ciotole’ (Mondadori) della prematuramente scomparsa Michela Murgia, che sopravanza  il Premio Strega postumo ‘Come d’aria’di Ada D’Adamo (Elliot) ed ‘ELP’ (Sellerio) di Antonio Manzini.

Chiudono la top ten il longseller ‘Le otto montagne’ (Einaudi) di Paolo Cognetti e ‘Due cuori in affitto’ (Newton Compton) di Felicia Kingsley, 35enne scrittrice modenese che si aggiudica però il titolo di autrice più letta del 2023 con ben 1milione di copie vendute di tutti i suoi libri.

Giova ricordare ancora che questa classifica non comprende le performance di alcuni dei trionfatori delle ultime settimane, a partire da Fabio Volo con il suo ‘Tutto è qui per te’ (Mondadori), Aldo Cazzullo con ‘Quando eravamo i padroni del mondo’ (HarperCollins Italia) ed ancora Antonio Manzini con ‘Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Sud America?’ (Sellerio). Considerati i risultati di vendita che stanno ottenendo questi ed altri titoli, come ad esempio quelli di Donato Carrisi e Gerry Scotti, per un realistico quadro finale del 2023 bisognerà aspettare i numeri di gennaio.

Ritorni

Al di là dei numeri, quello che si avvia a chiudersi è stato l’anno di due, tanto insperati quanto rilevanti, ritorni. Niccolò Ammaniti e Bret Easton Ellis non si palesavano nella forma romanzo rispettivamente dal 2015 e dal 2010 e pareva fossero ormai interessati solo a generi di espressione connessi alla settima arte – o al limite al saggio, per ciò che riguarda l’americano. Invece rieccoli sugli scaffali con ‘La vita intima’ (Mondadori) e ‘Le schegge’ (Einaudi, traduzione di Giuseppe Culicchia), due titoli che meritano qualche riflessione.   

Mai come prima narratore onnisciente, Ammaniti si è confermato cantastorie che incatena con una vicenda che esplora i temi della verità e dell’apparenza, eleggendo a protagonista una figura femminile che sembra vagamente ispirarsi, nel dato di partenza, alla compagna dell’ex premier Giuseppe Conte.  Una scelta originalissima (non a caso si parla di Ammaniti) sostenuta da una scrittura da maestro della terza persona che ogni tanto si forza ad abbassare il tiro come non volesse mai darsi troppe arie (ancora una volta, una scelta da Ammaniti).

Ma oltre a pennellate descrittive di precisione assoluta, personaggi tanto surreali da assumere tridimensionalità e costanti lampi di ironia, che inviterebbero ad una seconda riflessione, ciò che colpisce è la svolta conclusiva lieve: come se il nostro – dotato fin dai tempi di ‘Fango’ di un’urticante finta ingenuità –  avesse ritenuto che al lettore anni ’20 sia ancora necessario porre davanti uno specchio, ma gli vada praticato l’estremo bocca a bocca della pietas per non lasciarlo ferito a morte da ciò che ha visto. 

Uno che ha  apertamente asserito di voler essere ferito dall’arte, e nei fatti l’ha sempre usata per ferire, è Bret Easton Ellis. Che con i temi dichiarati del torrenziale ‘Le schegge’ sembrava voler confermare in tutto e per tutto questa sua inclinazione. Ma al di là della superficie (tanto cara al creatore di Patrick Bateman) il suo ennesimo ritorno al passato in forma di finta auto fiction pulsa sottopelle a un ritmo diverso dal solito. Non bastano le droghe, l’alcol, il sesso sfrenato e gli omicidi truculenti della figura guida ellisiana del serial killer, la  notizia è che dalla ricetta del suo ultimo romanzo l’autore di ‘Meno di zero’ ha eliminato l’ingrediente fondamentale dell’ironia.

Non che questo infici in alcun modo il piacere della lettura: Ellis è ancora l’equivalente moderno del mito della Sirena e lasciare le sue pagine, una volta sollevatane la copertina, rimane impossibile. Ma la forza incantatrice – contraddicendo la pur recente furia iconoclasta del suo saggio ‘Bianco’ (Einaudi) – è ora venata di rinuncia. Giocando a propria volta con il tema del vero e del falso, dall’alto dei suoi quasi 60 anni Ellis fa solo finta di voler far male, perché senza ironia rimangono i rimpianti, l’accettazione acre del tempo e degli errori passati ed anche per lui un’inedita ed umanissima pietà per il lettore.

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