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I trent’anni di Ghali, gli ‘happy days’ del rivoluzionario del rap 

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AGI – Tre album e una raccolta, quattro pubblicazioni in tutto che hanno ottenuto 47 dischi di platino, 18 d’oro: Ghali Amdouni, in arte solo Ghali, allo scoccare dei 30 anni d’età (è nato il 21 maggio 1993) ha raccolto questi numeri. Ma non sono i numeri, i dati, non soltanto perlomeno, a renderlo uno degli artisti più seguiti dell’ultimo decennio in Italia.

Non è nemmeno l’appartenenza alla scena hip hop italiana, di gran lunga la più streammata del nostro panorama musicale, a trascinarlo verso lo status artistico raggiunto. Sono le modalità con le quali il ragazzo nato a Milano da genitori tunisini ha coscientemente portato avanti fin qui la sua carriera.

Percorrendo una gavetta che parte dalla folgorazione per il rap guardando “8 Mile”, il film che racconta la storia di Eminem, lo ha portato a essere prima Fobia e poi Ghali Foh, a fondare in quel periodo i Troupe D’Elite (tra di loro anche Er Nyah, oggi meglio conosciuto come Ernia), messi sotto contratto da Guè (ai tempi Pequeno), ad aprire i concerti di Fedez, e alla pubblicazione di un album, “Lunga vita a Sto”, che ricevette critiche controverse.

Il primo mixtape con Sfera Ebbasta

A 20 anni pubblica il suo primo mixtape (dentro anche un Sfera Ebbasta in erba), poi comincia a farsi un nome pubblicando singoli su YouTube, i numeri si moltiplicano, il nome cambia in Ghali, il suo nome; cominciano così a comporsi i connotati dell’artista che sarà, gira in quel periodo un videoclip in Tunisia e viene arrestato durante le riprese, commenterà su Facebook: “Paura non ne abbiamo, per la musica questo e altro”.

Il debutto discografico ufficiale della sua etichetta, la Sto Records, con “Ninna nanna”, non potrebbe essere dei migliori, il singolo fracassa il record di ascolti nelle prime 24 ore su Spotify, come se il pubblico non aspettasse altro. “Pizza kebab”, il secondo, è un divertissment sull’unione delle sue due culture. “Album”, disco d’esordio, va alla grande, lui si impone come icona di stile, è misurato nelle apparizioni e quando parla si dimostra artista vero, impegnato e pensante.

Il passaggio a star della scena è immediato, in linea con i tempi della discografia contemporanea, così nel 2018 esce “Cara Italia”, un brano da un lato sfruttato per le incredibilmente efficaci sonorità, la Vodafone infatti lo adotterà per un suo spot, dall’altro lo metterà ufficialmente nella lista di quegli artisti che, andando oltre la musica, diventano punto di riferimento, impegnati nel sociale, megafono delle proprie idee; una posizione finora mai lasciata, una posizione che ha anche punto certi ambienti della politica. 

La conquista dei luoghi cult del live

Si moltiplicano anche le collaborazioni, i più importanti producer della rivoluzione t/rap del 2016 (Charlie Charles, Sick Luke…) vedono in lui, a ben ragione, uno strumento perfetto per dare nuove sfumature a questo suono entrato dentro i cuori di tutti i giovani e giovanissimi italiani.  Allora non è un caso che il “Ghali in tour” del 2018 trasforma quei numeri sotto i video del proprio canale YouTube, sotto il proprio nome su Spotify, in ragazzi che prendono letteralmente d’assalto le biglietterie online per aggiudicarsi i tagliandi per una data del tour che, a questo punto, parte direttamente dai palazzetti, il ragazzo così, a soli 25 anni, espugna con la sua musica luoghi cult del live italiano come il Palalottomatica di Roma e il Forum D’Assago di Milano; l’anno dopo si esibirà in Europa e al Tomorrowland, uno dei più importanti festival del mondo.

“DNA” rappresenta una svolta, Ghali fa un netto passo in avanti in termini di complessità e studio del suono, si percepiscono le influenze internazionali, in particolare naturalmente quelle sonorità che lo riportano alle sue radici tunisine, quelle radici che onora, quelle radici che in qualche modo lo riportano sempre a casa, in particolare guardando all’amata madre, la sua unica “Habibi” (“Amore mio”), come il titolo di una delle sue più belle canzoni. Radici che letteralmente celebrerà in “Sensazione ultra”, il disco uscito nel 2021 in cui Ghali decide di integrare le proprie origini nella propria musica.

La svolta verso i temi arabeggianti

Per realizzare il disco, infatti, il rapper sceglie producer stranieri, che è un modo come un altro per proporsi in un mercato che si fa sempre, fisiologicamente, più internazionale. Ma invece di utilizzare i soliti trick discografici lavora su un suono che possa essere percepito con chiarezza anche all’estero. Si butta su temi arabeggianti e in questo senso si scatena, chiaramente lo studio, la passione, l’impegno, il lavoro fatto in due anni (tanto ci ha messo a realizzare l’opera) sono evidentemente così profondi che alla fine anche la lingua usata, spesso, più spesso rispetto al passato, è l’arabo.

Arabo che arriva come una specie di straripamento, arabo che arriva lì dove l’italiano non arriva, arabo che non è un segno di protesta per una sorta di plastificata autoaffermazione, che non viene utilizzato contro qualcuno ma per rafforzare e definire una parte di se. È un disco rap, con una lavorazione raffinata in fase di produzione e che procede con un taglio ironico e malinconico per ciò che riguarda invece la stesura dei testi; e questo vale per tutti i brani del disco.

La forza di Ghali è anche quindi quella di non bastarsi, di andare avanti, di seguire il proprio istinto, la propria ispirazione, raccontarsi con il suono, aldilà della parola o, come hanno provato a fare, del colore della pelle. Ghali è senza alcun dubbio tra gli artisti italiani più appetibili per il mercato internazionale, riuscendo come fa a vivere e poi decifrare e poi declinare in musica il mondo, tenendosi stretto, dentro di sé, come una spugna, il fascino di ogni luogo, di ogni lingua, di ogni cultura. 30 anni oggi, di difficoltà e risalite, dalla strada da vivere a quella da raccontare, di grandi successi, da artista, da uomo.

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Hacker fiorussi rivendicano un attacco il sito della carta di identità elettronica, ma il Viminale nega

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AGI – Nuovo attacco hacker del collettivo filorusso NoName057 ad un obiettivo istituzionale italiano, ma il Viminale smentisce. Secondo alcune fonti l’offensiva di tipo DDos – che mira a ‘congestionare’ il traffico del sito target – ha colpito il dominio Cartadiidentita.interno.gov.it, quello dove è possibile avviare l’iter per ottenere il documento. Sito che al momento risulta ancora irraggiungibile: la Polizia postale sta supportando i gestori per arrivare a un sollecito ripristino del servizio.

“I servizi della Carta di identità elettronica sono momentaneamente indisponibili esclusivamente per un problema tecnico nella fornitura della connettività internet, causato dall’incendio divampato nella giornata di ieri nei pressi della Stazione Tiburtina, che ha coinvolto cavi della fibra ottica”, precisa il Viminale dopo la rivendicazione.
“Sono in corso le attività tecniche per ripristinare al più presto il funzionamento del sistema” assicura il ministero. 

Come già accaduto in passato, l’attacco è stato rivendicato su Telegram e messo in relazione al conflitto in Ucraina. “L’Italia è pronta a fornire sostegno materiale all’Ucraina, ma attende passi decisivi dagli alleati – si legge nel testo – Non è affatto un Paese indipendente. Per fortuna, noi invece siamo in grado di prendere decisioni da soli, siamo andati nello spazio internet russofobo italiano e abbiamo colpito un sito web di carta di identità elettronica”.

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Lo scrittore britannico Martin Amis è morto a 73 anni

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AGI – Lo scrittore britannico Martin Amis è morto all’età di 73 anni nella sua casa di Lake Worth, in Florida. Lo ha annunciato la moglie Isabel Fonseca. Amis è stato “uno degli scrittori più acclamati e discussi degli ultimi 50 anni e l’autore di 14 romanzi”, si legge sul sito web dei Booker Prizes, i principali premi letterari per la narrativa nel Regno Unito.

La moglie ha detto che l’autore di opere crude e penetranti come “L’informazione”, “Money: Una nota suicida”, “London Fields” e “La freccia del tempo” si è spento venerdì, soffriva di cancro all’esofago.

«Le città di notte contengono uomini che piangono nel sonno, poi dicono Niente. Non è niente. Solo un sogno triste».
Martin Amis, 1949-2023

— Einaudi editore (@Einaudieditore)
May 20, 2023

Amis, figlio del celebre romanziere comico Kingsley Amis, ha eguagliato e persino superato la fama del padre con romanzi pieni di umorismo selvaggio. Nel 2008, il Times di Londra ha nominato il giovane Amis uno dei 50 più grandi scrittori britannici dal 1945. La sua fama letteraria si è sviluppata durante il boom della narrativa britannica degli anni Ottanta, che comprendeva i colleghi Salman Rushdie, Julian Barnes, Kazuo Ishiguro e Ian McEwan.

Shocked and sad at the death of Martin Amis – the greatest, darkest, funniest satirist since Evelyn Waugh. If you want cheering up, re-read the tennis match in Money. RIP.

— Boris Johnson (@BorisJohnson)
May 20, 2023

Amis si era laureato in inglese all’Università di Oxford nel 1971 e aveva lavorato come editor prima di pubblicare il suo primo romanzo, “The Rachel Papers”, nel 1973. Fu con “Money”, pubblicato nel 1984 con un’interpretazione comica del consumismo, che Amis irruppe più ampiamente sulla scena letteraria. Oltre ai romanzi, Amis ha pubblicato due raccolte di racconti e otto opere di saggistica.

Negli ultimi decenni, è apparso spesso in televisione, a volte al fianco dell’amico di lunga data Christopher Hitchens, scrittore britannico-americano e noto ateo, morto nel 2011.

L’editore Vintage Books si è detto “devastato” dalla morte di Amis. “Lascia un’eredità imponente e un segno indelebile nel panorama culturale britannico, e ci mancherà enormemente”.

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Fuori pericolo la bimba di 10 anni colpita davanti al bar

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AGI – È ancora in rianimazione ma è fuori pericolo la bimba di 10 anni ferita con il papà e la mamma all’esterno del bar di Sant’Anastasia (Napoli) da un 19enne e un 17enne in carcere per tentato omicidio.

La piccola è stata raggiunta da un proiettile a uno zigomo. Due gli interventi chirurgici e, anche se la prognosi è riservata, i medici la considerano fuori pericolo. 

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In 60mila domani per Springsteen al Circo Massimo

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AGI –  Le polemiche sui social sull’opportunità di tenere ugualmente il concerto a Ferrara non hanno fermato la macchina organizzativa che ora, dopo la tappa nella città estense, porta Bruce Springsteen domani sera al Circo Massimo, nel cuore di Roma.

È tutto pronto: artisti, tecnici e staff. Il grande palco è montato, i 200 addetti specializzati arrivati dagli Usa e già all’opera a Ferrara hanno completato l’opera anche nella capitale.

A Roma si completano gli ultimi lavori 

Adesso si lavora solo alla parte sonora, a ultimare i collegamenti con la sala regia che, al centro del Circo Massimo, domani comanderà le luci e metterà a punto il sound-check finale, fase non meno delicata – anzi forse la più delicata a montaggio palco finito – perchè determina il controllo delle impostazioni audio e quindi equilibra i volumi e le frequenze che accompagneranno l’evento.

Si aspetta quindi l’“assalto” dei 60mila che sono riusciti a mettere le mani sul prezioso biglietto d’ingresso che consentirà di assistere al concerto, seconda tappa – dopo quella che appunto c’è stata giovedì sera al Parco Urbano ‘Bassanì di Ferrara, delle tre tappe italiane inserite nel tour mondiale di The Boss.

Dopo Roma Springsteen canterà a Monza 

Dopo Roma toccherà all’autodromo di Monza – Parco della Gerascia, martedì 25 luglio, e quella sarà l’ultima tappa europea del tour, quando The Boss poi sorvolerà nuovamente l’Atlantico per proseguire in America l’ennesima cavalcata trionfale in carriera.

Sono 7 anni che Springsteen non si esibisce a Roma, l’ultima volta fu sempre al Circo Massimo, luogo ormai eletto a location di pregio storico anche per gli artisti dei giorni nostri.

E lo sarà sicuramente anche domani, quando alle 14 ci saranno le aperture del pubblico all’area concerto, divisa in due settori (Pit e Posto Unico), ognuna con i propri servizi, sia punti ristoro con cibo e bevande, che toilette.

 Alle 16,30 sul palco gli artisti supporter: dapprima The White Buffalo, che costituisce il progetto musicale del cantautore statunitense Jake Smith e band molto amata nella scena musicale internazionale, seguito alle ore 17.45 da Sam Fender, giovane cantautore inglese tra i più promettenti e di successo degli ultimi anni nonchè vincitore di un Brit Award nel 2022 nella categoria Best British Alternative/Rock Act.

Alle 19.30 in scena al Circo Massimo 

E alle 19,30 in scena The Boss e la E Street Band. Un appuntamento a cui Springsteen arriva accompagnato da non poche polemiche per il fatto che giovedì sera a Ferrara non abbia fatto cenno all’emergenza alluvione in Emilia Romagna, e anche Marche, che ha devastato intere comunità, provocando anche lutti oltre che ingentissimi danni al tessuto economico-imprenditoriale.

La vicenda è finita anche sulla stampa internazionale, ma sono stati in particolare i social a fare da megafono dapprima alle richieste perchè qualcuno a livello istituzionale fermasse il concerto, considerando peraltro che era stato già annunciato l’annullamento del Gran premio di Formula Uno di domani a Imola, e poi alle condanne perchè nulla era stato invece fatto.

Ma anche megafono di chi ritiene che non spetti all’artista la decisione finale. E c’è da dire che il concerto si è tenuto non perchè The Boss l’abbia preteso ugualmente, ma perchè c’è stato appunto un via libera da parte appunto istituzionale, una commissione ha valutato che ci fossero le condizioni per dare il via libera, che il sistema messo in piedi non togliesse risorse, anche umane, alle operazioni di soccorso in altre province emiliano-romagnole.

Via libera a The Boss dal ministro Piantedosi 

Assicurazioni in tal senso sono poi venute dallo stesso ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, il quale ha precisato che le autorità locali hanno ritenuto sostenibile il concerto dal punto di vista logistico e che il Ferrarese era comunque fuori dal grave evento meteorologico.

Mentre a sua volta il sindaco del capoluogo estense, Alan Fabbri, ha sottolineato in una dichiarazione diffusa alla stampa che “nessuno avrebbe mai potuto immaginare un momento del genere quando, due anni fa, si iniziavano a gettare le basi per questo concerto”, un evento così complesso che “non può prevedere rinvii o annullamenti dopo aver coinvolto migliaia di lavoratori, e che vede confluire in città migliaia di turisti provenienti da ogni parte del mondo, che hanno comprato un biglietto aereo, una stanza d’albergo per diversi giorni e si organizzano da tempo per raggiungerci”.

Il sindaco di Ferrara: fermare un concerto non risolve nulla 

Fabbri si è anche detto dispiaciuto per il fatto che qualcuno possa aver pensato che non aver annullato il concerto significhi che Ferrara sia rimasta insensibile alla tragedia di quelle ore in Romagna, rilevando che fermarenon risolve nulla, se non creare altri danni economici a territori, lavoratori e imprese che hanno investito ingenti somme per la realizzazione dell’evento, e perchè è un livello di demagogia che non mi appartiene”.

Una evidenziatura necessaria, a parere del sindaco ferrarese, perchè “in Italia c’è ancora – ha aggiunto nella sua dichiarazione – una parte dell’opinione pubblica che pensa che il mondo degli eventi non sia un settore uguale agli altri, che se ne può fare tranquillamente a meno, e in virtù di questo può essere sacrificato in qualsiasi occasione”. Nella realtà dei fatti, quelle del mondo dello spettacolo, e in particolare del live, “sono aziende e persone che hanno subito più di tutte le altre categorie il peso di due anni di restrizioni Covid, ed è un peccato che qualcuno oggi lo abbia già dimenticato”.

Quindi ha respinto al mittente le posizioni meramente ideologiche, e gli attacchi degli oppositori che “sono costretti a sfruttare ancora una volta tragedie come queste, che non mi vedono in alcun modo responsabile, per infangare il buon nome del mio operato e della città”, quando invece “la musica tutta, e a maggior ragione a questi livelli, abbia il grande potere di unire popoli e sensibilità di ogni parte del mondo”.

E un gesto importante la città di Ferrara l’ha comunque subito fatto ‘adottando, facendo anche una prima donazione in denaro, il Comune di Faenza, uno dei più colpiti dall’alluvione, “per dimostrare fattivamente tutta la nostra solidarietà”.

È stato anche lamentato sui social che forse The Boss dal palco avrebbe potuto dire qualcosa a sostegno delle popolazioni alluvionate, ma anche qui la replica – sempre via social – di chi la pensa diversamente è stata netta: tenere distinti i campi, il che non equivale a dire disinteresse o cinismo verso chi sta soffrendo. Chi abbia ragione è quindi complicato davvero dirlo. E ora, voltata pagina, arriva l’appuntamento di Roma, per tre ore di show. 

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Federico Il Grande, il re filosofo che accese il secolo dei lumi

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AGI – “Quando mai un diadema potrà di nuovo ornare il capo di un simile re?”: la domanda retorica su Federico Il Grande contenuta nell’epitaffio dedicatogli suo acerrimo nemico, il cancelliere Wenzel Anton von Kaunitz-Rietberg, la dice lunga sulla grandezza del ‘re filosofo’.

Ora è uscito il primo volume di una monumentale tetralogia che il giornalista e saggista abruzzese Claudi Guidi, residente da molti anni in Germania, dedica al sovrano di Prussia la cui figura si staglia potente sul secolo dei lumi. 

Il volume di 500 pagine, uscito venerdì per Il Nuovo Melangolo, è il primo di quattro che ripercorreranno la vita di Federico, e ne ripercorre la giovinezza, l’ascesa al trono nel 1740 e la conquista della Slesia alla fine dello stesso anno. Emerge un grande affresco che delinea i tratti umani, poetici, filosofici, militari e politici del più grande sovrano del suo secolo che abolì la tortura e la pena di morte.

Nato nel 1712, Federico vive un’adolescenza terrificante dominata da un padre despota, che cerca di soffocare la sua naturale vocazione da poeta e musicista, cosa che non gli impedirà di diventare uno dei massimi condottieri della storia, anche perché in battaglia sta sempre in prima fila.

Le pallottole nemiche gli ammazzeranno infatti cinque cavalli sui quali è seduto e due di esse lo centrano senza ferirlo, la prima intercettata dalla sua tabacchiera d’argento, la seconda che gli trapassa l’uniforme su un fianco senza scalfirlo. Incapace di rinunciare alle composizioni in versi, lascerà un’opera poetica in lingua francese più imponente di quella di Molière, ma anche 126 sonate per flauto, strumento che padroneggia da grande virtuoso. 

Tre giorni dopo essere salito al trono abolisce la pena di morte e la tortura, poi mette mano a una radicale riforma della giustizia, che riduce a un massimo di un anno la tenuta e la conclusione dei processi, fino ad allora protratti per lunghi anni a tutto vantaggio di giudici e avvocati famelici, che spolpano senza ritegno i disgraziati che capitano nelle loro grinfie. Fa anche spedire in galera un paio di giudici, perché “un giudice disonesto è peggio di un bandito di strada” e abolisce infine il latinorum e le fumosità del linguaggio giuridico, affinché ogni essere umano sia in grado di capire di cosa si parla e cosa si decide nelle aule dei tribunali.

Re senza corte e privo di qualunque pompa, si definisce con orgoglio il primo servitore dello Stato, percorre ogni estate su un malandato calesse vecchio di trent’anni le sue province, per ascoltare la voce dei suoi sudditi, verificare de visu la gestione dell’amministrazione, la corretta esecuzione delle riforme adottate, il rapido progredire dei lavori pubblici e fare brutali lavate di capo a chi non adempie in maniera rigorosa ai propri doveri, con la minaccia che in caso di recidiva finisce in galera. 

Assolutismo illuminato significa per il re di Prussia evitare di consegnarsi nelle mani di ministri ambiziosi, intriganti e litigiosi, per questo in quarantasei anni di regno non convocherà mai un consiglio dei ministri, che si limiterà a ricevere singolarmente una volta all’anno. Per il resto pretende dettagliati e puntuali rapporti sul lavoro svolto, che rimanda indietro con secche note a margine di approvazione oppure di biasimo, con commenti da far rizzare i capelli in testa del tipo questo è pazzo!, che scemenza!, chi ha scritto questa roba è un somaro!, parole vuote!, bolle d’aria!, non ci sono soldi!, imbrogli di giuristi.

Questo è tuttavia solo un assaggio, poiché le rimostranze diventano ancora più minacciose, quando scrive a un poco solerte funzionario che questo è un primo avvertimento, fate bene attenzione a non farvi capitare qualcosa di brutto. In margine a un altro rapporto scrive che si tratta solo di uno dei soliti imbrogli dei ministri per sistemare qualche loro protetto, su un altro resoconto sbotta che in vita mia non ho mai letto tante cretinate.

Comprensibile il commento di un commerciante londinese stabilitosi in Prussia, il quale manifesta in maniera calzante in una lettera inviata in patria l’atmosfera che regna a Berlino, quando afferma che “preferirei essere una scimmia nella giungla del Borneo, piuttosto che fare il ministro in Prussia”. Nel suo impeto riformatore Federico abolisce la servitù della gleba nelle terre demaniali e distribuisce la terra ai contadini, il primo a farlo, secondo Karl Marx. Corrisponde per una vita con d’Alembert e Voltaire, che lo ammirano e sognano come il resto d’Europa l’avvento ovunque di un sovrano assoluto altrettanto illuminato.

Nel momento in cui l’Europa intera mette al bando i gesuiti, li accoglie nel suo regno, perché sono i migliori insegnanti in circolazione, dei quali ha bisogno per diffondere l’istruzione ovunque. Nel vedere a Berlino una folla accalcata davanti a un muro, che ha affissa una sua feroce caricatura, si avvicina e commenta: “Mettetela più in basso, così possono vederla tutti senza stirarsi il collo”. Uno dei suoi limiti è la misoginia, infatti mai una donna metterà piede nella sua reggia di Sanssouci, compresa la moglie. Sul suo assolutismo illuminato Voltaire dirà che è “meglio obbedire ad un bel leone che a duecento ratti”.

Quando il 17 agosto 1786 Federico il Grande chiude per sempre gli occhi, lascia nelle mani del nipote Federico Guglielmo II un regno che non ha più niente in comune con quello da lui ereditato nel 1740. L’originaria scatola di sabbia del Brandeburgo si è trasformata nello stato militarmente più potente e temuto d’Europa con un esercito di 200.000 soldati, un territorio finalmente compatto rispetto a quello iniziale e indifendibile fatto a pelle di leopardo, nel quale ogni città si trovava a un giorno di marcia da una frontiera nemica.

Un Paese che per superficie si collocava al 17mo posto in Europa, tra il regno di Sicilia e quello della repubblica di Venezia, e che per popolazione contava poco più di due milioni di abitanti, un decimo di quelli della Francia, è diventato una potenza continentale con quasi sei milioni di sudditi e con le casse dello Stato rigurgitanti di denaro. Le riserve lasciate ammontano infatti a 50 milioni di talleri, una somma colossale, se si considera che l’Austria rimane sempre indebitata fino al collo e la Francia oscilla perennemente sull’orlo della bancarotta.

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Le foto che raccontano quando Palermo cercò di riprendersi la città

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AGI – Un’installazione immersiva con le grandi fotografie appese ai palchi del teatro, a ricordare la protesta dei lenzuoli sciorinati dai balconi per dire No alla mafia.

Scatti di un bianco e nero furioso che sulle balaustre scarnificate di quello che un tempo fu un gioiello ottocentesco, oggi acquistano un significato ancora più importante: testimoni di dolore e di speranza, delle guerre tra clan mafiosi, di innominabili, di protagonisti di una stagione che arriverà – ma non si chiuderà – agli attentati in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, e Paolo Borsellino, e le rispettive scorte.

E della rivolta germinata da quelle stragi, dalla rivalsa della città che ha avviato un cammino di riappropriazione degli spazi, fisici ma soprattutto morali ed etici. Tony Gentile allora era uno dei giovani fotografi di cronaca: sin dagli anni Ottanta – i suoi inizi – ha documentato delitti e arresti, visi imperscrutabili e politici conosciuti, bambini nei quartieri popolari, manifestazioni, scene quotidiane, i primi respiri di libertà e di rinascita; e fu lui a realizzare l’immagine iconica che racconta in uno sguardo, la grande complicità e amicizia tra i giudici Falcone e Borsellino, scattata precisamente 57 giorni prima della strage di Capaci, quasi uno scherzo del destino visto che passarono altri 57 giorni esatti prima dell’attentato di via D’Amelio.

Il fotografo più noto e sconosciuto d’Italia

“Tony Gentile è il fotografo più famoso ma paradossalmente sconosciuto per quanti in Italia hanno visto una sua fotografia tanto eccezionale da essersi trasformata in un’icona della storia italiana contemporanea”, scrive Ferdinando Scianna nella prefazione al volume “Sicilia 1992. Luce e memoria” (Silvana editoriale) che racchiude anche i trenta scatti scelti per la mostra “Tony Gentile. Luce e memoria” inaugurata il 22 maggio al Teatro Garibaldi, che viene così restituito alla comunità dopo quattro anni di chiusura.

Ed espone per la prima volta la fotografia dei giudici – ha una data, 27 marzo 1992 – restituita nella sequenza esatta dello scatto e trattata con un supporto digitale di “morphing” (realizzato da Luca Lo Iacono) che fa apparire, leggero, il sorriso di Paolo Borsellino mentre ascolta la frase, forse una battuta, dell’amico Giovanni Falcone. “Uno scatto a cui tutti si aggrappano perché è il simbolo del desiderio di rinascita di un popolo” dice Tony Gentile ricordando che la prima pubblicazione fu il 20 luglio 1992 sul Messaggero.

Ma ci sono le altre, archivio di memoria, quasi un album di famiglia di Palermo: bambini che giocano tra le strade polverose della Kalsa anni Ottanta – quello stesso quartiere dove sono cresciuti i giudici Falcone e Borsellino e dove ha sede il teatro che con questa mostra torna alla vita – una catena umana NoMafia del 1993, Bruno Contrada e Giulio Andreotti, i morti ammazzati e il pianto delle donne. Tutti scatti e personaggi che sembrano guardare lo spettatore che entra in teatro, chiedendo un impossibile perché.

“Credo non possa esistere un’occasione più simbolica per ridare a questo teatro la sua nuova vita”, dice il sindaco Roberto Lagalla mentre l’assessore alla Cultura Giampiero Cannella è convinto che “il miglior modo per combattere la mafia è intervenire sul piano culturale: è il messaggio di questa mostra”. Per l’assessore regionale ai Beni Culturali, Francesco Paolo Scarpinato, “vediamo foto che riportano indietro le lancette e danno coraggio, memoria e luce su un percorso di legalità portato avanti da Falcone, Borsellino e da tutti i siciliani”.

La mostra, organizzata dalla Fondazione Le Vie dei Tesori e dal Comune di Palermo -assessorato alla Cultura su un progetto della Fondazione Tricoli, è stata realizzata con il supporto dell’ARS, dell’assessorato regionale ai Beni culturali, di Confcommercio Palermo, del Cresm, dell’Ersu.

“Questo teatro riapre dopo quattro anni con Le Vie dei Tesori che ha fatto della riappropriazione degli spazi, la sua missione – interviene Laura Anello, presidente della Fondazione Le Vie dei Tesori – E lo facciamo in questa Kalsa dove Falcone e Borsellino sono cresciuti”.

Per la Fondazione Tricoli “le foto di Tony Gentile per le nuove generazioni sono una testimonianza forte di cosa ha rappresentato la barbarie mafiosa degli anni ’70 e ’80 – dice Fabio Tricoli – Dopo questo momento di riflessione, ci attende il trentennale della morte di don Pino Puglisi: ci impegneremo a diffondere la cultura delle legalità con nuovi progetti che possano arrivare nelle periferie”.

Inaugurato nel cuore dell’antica Kalsa nel 1861 dall’Eroe dei due mondi che da questo palcoscenico arringò la folla, il Teatro Garibaldi subì una prima chiusura fino al 1906, poi funzionò trent’anni come cinema (si chiamò anche Araldo) poi fu serrato di nuovo per riaprire a metà anni Novanta.

Storia di un teatro instabile

Occupato nel 2012 dai lavoratori dello spettacolo, venne sgomberato e affidato a Manifesta 12 durante Palermo Capitale italiana della cultura. Era chiuso dal 2019. Il Comune ha provveduto alla pulizia degli spazi e delle uscite di sicurezza, ed è stato sradicato l’albero nel giardinetto attiguo che era diventato instabile. È stato nominato un comitato di gestione che valuterà le proposte di spettacoli da ospitare e si sta già pensando a costruire un cartellone. La mostra sarà visitabile fino al 9 luglio, ogni giorno dal martedì al giovedì dalle 11 alle 19; da venerdì a domenica dalle 11 alle 21. 

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Nell’Avellinese è stato ritrovato il corpo di un uomo trascinato via da un fiume d’acqua

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AGI –  La Protezione civile sta intervenendo con squadre di soccorso territoriali in Irpinia, dopo che una bomba d’acqua si è abbattuta nel primo pomeriggio tra Forino e Montoro. In quell’area si registrano allagamenti

Nella frazione Celzi di Forino, provincia di Avellino, è stato ritrovato il corpo dell’uomo di 45 anni morto nell’incidente legato al maltempo in Irpinia. Era residente a Contrada e stava lavorando in localita Varosano di Forino quando è stato travolto dalla sua vettura. Sul posto personale dei carabinieri, del 118 e vigili del fuoco.

In tutto il circondario di Avellino il temporale che ha causato danni e disagi soprattutto alla viabilità. Un fenomeno che si ripete costantemente per la conformazione del territorio e per la scarsa manutenzione dei canali. Due anni fa furono evacuate con i mezzi anfibi dei vigili del fuoco diverse famiglie

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Murakami ha ricevuto il Premio Principessa delle Asturie

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AGI – Il giapponese Haruki Murakami, uno dei nomi più noti della letteratura contemporanea mondiale, ha ricevuto il Premio Principessa delle Asturie per “l’unicita’ della sua letteratura”, secondo la motivazione della giuria.

La maggior parte dei media giapponesi ha dato eco alla notizia, spiegando che si tratta di uno dei “premi letterari più prestigiosi d’Europa”, come ha sottolineato l’emittente statale Nhk. È la prima volta che il riconoscimento viene assegnato a un giapponese.

Murakami è stato tradotto in cinquanta lingue e ha ricevuto altri premi letterari internazionali come il Franz Kafka e il World Fantasy Award (entrambi nel 2006), l’Hans Christian Andersen for Literature (2016), oltre a premi in Giappone come come il Tanizaki e lo Yomiuri.

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Chi è Adriana Vella, l’avvocata di Messina Denaro: “Non ho paura, entrerò nella storia” 

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AGI – Adriana Vella, da Caltanissetta, ha 43 anni e da due mesi è difensore del boss Matteo Messina Denaro. E avvocata da circa 15 anni. Da dieci collabora con l’avvocato di Riesi Vincenzo Vitello. E adesso ci crede al fatto di essere in un procedimento destinato a entrare – e con esso anche lei, dunque – “nella storia”.

Altri due avvocati hanno rinunciato a difendere Messina Denaro 

È stata nominata dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta legale d’ufficio dell‘ex superlatitante arrestato a Palermo il 16 gennaio, lo scorso 23 marzo dopo la rinuncia al mandato degli avvocati Calogero Montante e di Lorenza Guttadauro, quest’ultima nipote del boss e figlia della sorella Rosetta, donna forte della famiglia di Castelvetrano finita in carcere venti giorni prima.

Le prime parole di Vella subito dopo la nomina furono queste: “Matteo Messina Denaro è un imputato come gli altri e lo difenderemo con lo stesso impegno che mettiamo per gli altri. Sarà molto impegnativo, ma non mi preoccupa. Le minacce non mi spaventano”.

Va assolto perchè era “un mero soldato”  

Nella sua arriga ne ha chiesto l’assoluzione. E nell’aula bunker del carcere era presente anche la mamma di Adriana Vella, la quale non ha perso un solo passaggio delle parole pronunciate dalla figlia che, per l’occasione, indossava un tailleur bianco.

Nel corso della sua arringa, l’avvocata Vella, in difesa del suo assistito, accusato di essere uno dei mandanti delle stragi del ’92, ha parlato, davanti alla corte presieduta da Maria Carmela Giannazzo, per quasi quattro ore sostenendo l’innocenza del boss in quanto “mero soldato” che non poteva avere avuto un ruolo delle stragi.

L’arringa è durata quattro ore

La legale non ha nascosto la sua emozione, “e il motivo nasce dalla consapevolezza che la designazione casuale come difensore d’ufficio mi ha dato l’opportunità di essere in un procedimento che entrerà nella storia perchè parla di fatti che hanno segnato la storia del nostro Paese. La designazione fa di me l’espressione massima della tutela del diritto di difesa che lo Stato assicura a tutti. Credo fermamente che questa corte sappia giudicare con imparzialità l’imputato, sappia leggere i motivi di Appello, sgombrandoli dal nome dell’imputato e sappia con la medesima imparzialità ascoltare le mie riflessioni”.

Tanto studio per preparare la difesa

Per preparare la difesa del boss, ha avuto a sua disposizione un paio di mesi: “È stato molto difficile preparare la difesa perchè ho dovuto studiare la sentenza, molti atti processuali e mi sono dovuta confrontare anche con sentenze precedenti che sono state acquisite su fatti in cui altri giudici si sono già pronunciati”.

La sentenza attesa per il 19 luglio 

Il 19 luglio, nel giorno della strage di Via D’Amelio, è attesa la sentenza. Difficile che Messina Denaro si presenti pur in videocollegamento dal supercarcere abruzzese… del resto ha sempre disertato le udienze.

Lei ha detto chiaramente che preferirebbe che ci fosse: “Lo avrei apprezzato perchè sicuramente chi meglio di lui avrebbe potuto darmi ulteriori spunti e suggerimenti in ordine alla mia discussione…”. Per lei, comunque, il processo della vita.

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