AGI – “Combattere senza paura e senza speranza” è il titolo delle memorie del generale tedesco Frido von Senger und Etterlin, cattolico praticante, soldato dalla profonda etica cristiana, antinazista dalla prima ora.
Combattere senza speranza e senza paura è anche il manifesto degli insorti dell’eroica e disperata rivolta di Varsavia del I agosto1944. Non c’era infatti alcuna possibilità di sconfiggere le SS nello scenario della guerriglia urbana, ma c’era il coraggio di battersi per la dignità e per il proprio Paese oppresso dal 1939. È questa una delle pagine più controverse della seconda guerra mondiale. L’inopportunità di quella sollevazione venne soppesata anche dal Governo polacco in esilio a Londra, e il generale Władysław Anders era contrario perché intravedeva dal prevedibile fallimento lo smantellamento dell’esercito clandestino che avrebbe dovuto impedire la sovietizzazione della Polonia, con l’Armata Rossa di Stalin giunta davanti alla capitale.
Quel I agosto del 1944, alle ore 17, scattava l’Operazione Burza, ovvero “Tempesta”. Tutto spingeva ormai in quella direzione e il corso della storia non poteva più essere fermato. Il presidente del consiglio dei ministri del governo polacco in esilio a Londra, Stanisław Mikołajczyk, dal 30 luglio si trovava a Mosca per un colloquio con Stalin che il dittatore aveva spostato al 3 agosto, avendo già riconosciuto l’Unione dei patrioti polacchi (Zpp) di Bolesław Bierut (futuro presidente della Polonia socialista) e Wanda Wasilewska come rappresentante del popolo polacco.
Il futuro stesso della Polonia è in gioco, poiché Stalin intende appropriarsi di metà del Paese stabilendo la nuova frontiera secondo al Linea Curzon tracciata nel 1919 e superata con la vittoria militare dei polacchi sui bolscevichi nel 1920 come sancito poi dal Trattato di Riga. Quel I agosto il bollettino dell’agenzia di stampa tedesca Deutsche Nachrichten-Büro (Dnb) aveva diffuso la tranquillizzante nota «Varsavia è calma». I tedeschi avevano mobilitato la popolazione per i lavori forzati a difesa della città ormai minacciata dall’Armata Rossa acquartierata sulla sponda orientale della Vistola. Per la resistenza sarebbe stato un colpo letale, perché i combattenti dell’Armia Krajowa non sarebbero più stati disponibili per quello che aspettavano da anni.
Alle 17 i reparti del colonnello Antoni Chrusćiel (‘Monter’) aprono il fuoco e danno inizio alla rivolta. I vertici dell’AK hanno deciso di tenere impegnati i tedeschi per tutto il tempo in cui Mikołajczyk deve condurre i negoziati, quindi per cinque, sette giorni al massimo: è quanto consentono le scorte di viveri e di munizioni. Oltre 45.000 insorti costituiti in circa 600 compagnie di cinquanta-cento combattenti, uomini e donne, spuntano come funghi dal tessuto urbano di Varsavia. La Kotwica, l’àncora simbolo dell’AK con la lettera ‘P’ che sormonta la ‘W’, viene dipinta e disegnata dappertutto.
I polacchi portano bracciali biancorossi, sfoggiano stemmi e distintivi con l’aquila bianca sugli elmetti tedeschi, le bandiere polacche sostituiscono quelle del Terzo Reich. Il quartier generale guidato da Tadeusz Bór Komorowski , dalla fabbrica Kammler, il 2 agosto via radio informa gli Alleati che «la battaglia per Varsavia è cominciata». Stalin reagisce dando l’ordine all’Armata Rossa di fermarsi al Quartiere Praga e di non attraversare la Vistola: sarebbero stati i tedeschi a fare il lavoro sporco sul campo di battaglia e a “ripulirlo” dall’Armia Krajowa che i sovietici avevano smantellato ovunque fossero entrati nel territorio polacco con fucilazioni, imprigionamenti e deportazioni. Un copione ormai classico. A Mikołajczyk il dittatore non lascia alcun margine di trattativa, arrivando pure a negare l’insurrezione di Varsavia. Ai polacchi non resta allora che combattere senza speranza e senza paura.
Le SS del generale Erich von dem Bach-Zelewski mostrano il loro volto più feroce, con i ranghi irrobustiti da detenuti e criminali che si macchiano di indicibili stragi di civili, con decine di migliaia di morti. L’AK, stando al Diario della 9ª Armata tedesca, si batteva in modo fanatico e con molta decisione, ma dopo l’iniziale slancio non poteva che perdere continuamente e sanguinosamente terreno. I combattenti resistono a condizioni inenarrabili, senza acqua e cibo, senza medicine.
Stalin ha negato all’aeronautica alleata il permesso di sorvolo e di scalo sui territori presidiati dall’Armata Rossa, e tanto per far capire come la pensa li fa accogliere dal tiro della contraerea. Le missioni partite dagli aeroporti pugliesi hanno perdite altissime e risultati irrisori nel lancio di rifornimenti: un quadrimotore abbattuto per ogni tonnellata di materiale lanciato e il 16% della flotta. A un certo punto, per beffa, Stalin farà effettuare lanci dall’aeronautica sovietica, ma da altezze troppo basse in modo che il carico vada in frantumi, e casse con munizioni di calibro non compatibile con le armi di rivoltosi.
Dopo 63 giorni di lotta disperata, il 2 ottobre, il generale Bór Komorowski firma la resa, avendo ottenuto tutte le garanzie delle convenzioni internazionali. I reparti superstiti, 11.000 soldati (di cui 2.000 donne) sfilano cantando in ordine e armati davanti ai tedeschi, che li riconoscono legittimi combattenti, mentre loro gridano «Lunga vita alla Polonia! Viva la libertà». Il 3 ottobre da Londra il Comitato nazionale polacco diffonde un commovente bollettino: «Non abbiamo ricevuto alcun sostegno effettivo […]. Siamo stati trattati peggio degli alleati di Hitler in Romania, in Italia e in Finlandia». Hitler per vendetta farà evacuare tutta la popolazione da Varsavia e ordinerà di cancellare la città dalla faccia della terra. Quando finalmente arriverà dal Cremlino l’ordine di oltrepassare la Vistola, i soldati sovietici troveranno davanti a loro un mare di macerie al posto dell’elegante capitale d’anteguerra. Per quella rivolta erano morti oltre 200.000 soldati e civili. Finita l’occupazione nazista, per la Polonia iniziava l’era dell’occupazione sovietica