ROMA (ITALPRESS) – Martedì conosceremo l’agenda 2024 del Governo in materia di conti pubblici. Il Consiglio dei ministri varerà il Def, il Documento di economia e finanza, principale strumento di programmazione con il quale si fissano gli obiettivi per l’anno in corso e per i prossimi. Il ministro Giancarlo Giorgetti ha detto che sarà un testo “asciutto e leggero” e ha fatto capire che non ci saranno risposte puntuali rispetto ai grandi interrogativi che accompagnano il cammino di finanza pubblica in vista della manovra d’autunno. Ballano sul tavolo almeno 20 miliardi di euro, necessari per rinnovare una serie importantissima di misure varate però solo per un anno. Ci riferiamo alla replica del taglio del cuneo fiscale, all’accorpamento al ribasso delle tre aliquote Irpef, alla super deduzione fiscale per le assunzioni da parte delle imprese, alla riduzione dei contributi per le mamme con almeno due figli, al calo del canone Rai a 70 euro, misure che si aggiungono alla gestione delle spese obbligatorie. Un bel carico di provvedimenti che hanno caratterizzato la politica economica dell’esecutivo e che si presume si intenda rinnovare. Tutto ciò dovrebbe affiancarsi al rifinanziamento della sanità e al miglioramento dell’offerta previdenziale. Una montagna enorme da scalare, visto che un nuovo scostamento di bilancio per finanziare il tutto appare poco realistico alla luce delle nuove regole europee e del fardello pazzesco di un Superbonus che grava e graverà per 30-40 miliardi all’anno da qui al 2026. Le previsioni di crescita saranno più o meno quelle già ipotizzate: 1% per il 2024, 1,2 per il 2025, 1% per il 2026. Esaurita la crescita drogata dal Superbonus, si punta quasi tutto sulla spinta degli investimenti alimentati dal PNRR (peraltro pesantemente inquinati dalle italiche e altrui truffe) con i fondi stanziati per il triennio in corso. Da verificare poi se il processo di disinflazione inciderà positivamente sulla ripresa dei consumi interni. Sono forti i dubbi in tal senso. Non si è purtroppo mai visto che i prezzi aumentati calino di botto, registrando invece un consolidamento in alto, soprattutto quelli del cosiddetto “carrello della spesa”. Più probabile che scendano invece quelli che sono determinati dalle variazioni internazionali di prezzo delle materie prime, come quello energetiche. Quello che comunque il Governo ha detto chiaramente di voler fare è lo stop alla cosiddetta moneta fiscale, cioè il ricorso ai crediti di imposta, alla base del trauma finanziario registratosi con il Superbonus edilizio, ricorrendo piuttosto ai normali contributi. Anche perché dobbiamo rimettere in carreggiata due indicatori decisivi. Come quelli del deficit e del debito, entrambi appesantiti dalle varie misure varate nel post pandemia. Il deficit chiude il 2023 al 7,3% sul Pil, il debito al 137,3%. Con il varo del nuovo Patto di stabilità non si scherza più. Dovremo avviare un percorso di recupero e contenimento, a colpi di mezzo punto all’anno per contenere il disavanzo. Sappiamo già, come ha confermato Giorgetti, che dopo le elezioni europee Bruxelles aprirà nei nostri confronti una procedura per deficit eccessivo, come farà con la Francia ed altri 10 paesi. Dovremo essere bravi a negoziare condizioni non troppo penalizzanti.
In tutto questo, senza ancora conoscere i dettagli del Def, la polemica politica impazza. Si rimprovera al Governo, lavoro ordinario per qualsiasi opposizione, una serie di omissioni rispetto agli impegni presi con l’elettorato. Ci si chiede che fine hanno fatto la flat tax, il nuovo quoziente familiare, quota 41 per le pensioni, per citare tre dei grandi temi dell’ultima competizione elettorale. Tutto legittimo per carità, ma sembra oggettivamente cambiato lo scenario che ha proposto variabili imprevedibili come la guerra in Ucraina, che ha comportato impegni di spesa ingenti, e un Superbonus che ha generato un costo altissimo per la finanza pubblica e la comunità. Duecento miliardi di detrazioni fiscali che sono costati oltre 80 miliardi nel solo 2023, con un boom del deficit oltre il 7%, in calo dal picco dell’8,8. E con pesanti ipoteche per i prossimi anni. Tutto questo per beneficiare 500 mila abitazioni, il 4% degli immobili italiani.(ITALPRESS).
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