AGI – Alcuni l’hanno definita una sposa per finta, ma moglie lo è stata per davvero. Del resto Silvio Berlusconi l’ha sempre chiamata, in quegli incisi che vengono spontanei quando un rapporto è così consolidato, “mia moglie”. Ma nelle cronache Marta Fascina ha sempre avuto il titolo di compagna, come se la ratifica dinanzi a un ufficiale civile o religioso per la ‘cum panis’ fosse indispensabile per passare dal desco a condividere la vita.
Se quel quasi-matrimonio fu, per i critici e i maligni, una recita a soggetto, l’epilogo è stato da tragedia greca, con la giovane non-moglie che si è sacrificata fino all’ultimo istante. E non quando i riflettori erano accesi nella Cattedrale, o gli obiettivi di fotografi e operatori hanno cercato anche il minimo segnale di un sospiro liberatorio. Ma quando i vetri erano oscurati, le porte inaccessibili, i telefoni muti. Lo stesso Cavaliere gliel’ha sempre riconosciuto con parole di gratitudine e ammirazione.
Un trucco leggerissimo, i capelli raccolti, niente occhialoni scuri, e l’abito “blu Fininvest” con una camicia accollata. Inappropriato per il sole che picchiava in piazza Duomo a Milano, perfetto dress code per un funerale di Stato.
E quella distanza siderale di età e di provenienza, che ha sempre sorretto l’ironia di prammatica nel caso di un fidanzato molto agée e sconfinatamente ricco e potente per una donna troppo giovane per avere un curriculum, si è colmata in un attimo non per lo sguardo triste e le lacrime del saluto finale con la carezza al feretro, ma per quella mano stretta forte in chiesa e fuori da Marina, la figlia-consigliera, l’ombra del padre e forse l’erede designata.
Che ne sarà di Marta Fascina se lo chiedono in tanti. Che forse, ora, si accorgeranno di aver sottovalutato la non-vedova con la passione per la politica.