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Da Torre Annunziata all’Africa per far sorridere i bambini

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AGI – Essere medico, di per sé, significa dedicarsi alla cura degli altri. Cosa scontata. Meno scontato è andare oltre la professione, gettare, come spesso si usa dire anche in maniera retorica, il “cuore oltre l’ostacolo”. Cioè fare la differenza dove il bisogno è più acuto, magari prendendo un aereo per andare in zone remote del pianeta dove la medicina, la sanità, è qualcosa di non scontato. Dove le strutture di cura sono spesso fatiscenti o inesistenti.

Dove anche un piccolo intervento, può fare la differenza tra la vita e la morte. Giulio Carotenuto, medico odontoiatra, 27 anni di Torre Annunziata in provincia di Napoli, il “cuore oltre l’ostacolo” lo ha buttato, ha preso l’areo ed è andato in Africa. “Ho sentito che potevo fare una differenza reale nella vita delle persone che vivono in situazioni difficili – ci spiega – specialmente in alcune parti dell’Africa dove le risorse sanitarie sono limitate. Sono motivato dalla passione per contribuire a migliorare le condizioni di salute e benessere di coloro che ne hanno più bisogno, e credo che tutti abbiano diritto a un accesso equo alle cure mediche, indipendentemente dalla loro posizione geografica o condizione socioeconomica”.

E come se volesse mettersi alla prova, mettersi in gioco, “confrontarmi con un mondo più vero, meno artefatto”, come lui stesso sostiene.

Dunque una sfida anche con sé stessi? “Si, ho avuto anche la possibilità di misurarmi con me stesso e con le mie capacità, seppur con pochi mezzi ma con tanta voglia di fare. Ma c’è molto di più. Nel corso delle mie missioni, ho dato poco e nulla a quelle persone, ma in cambio ho ricevuto tantissimo. In un sorriso, in un abbraccio, in un grazie ho ricevuto molto più di quanto avessi potuto mai immaginare”. Come sempre quando si va in Africa le emozioni, così come le preoccupazioni, sono forti, segnano uno spartiacque: cioè continuare nella missione oppure tornare indietro.

Giulio Carotenuto ha continuato. “Il viaggio per me più significativo fatto finora è stato il primo a Zanzibar. Ero alla mia prima esperienza, carico di emozione e di tensione. Ero in fibrillazione all’idea di andare in Africa, non come turista ma come volontario. Appena arrivati lì, passati i convenevoli, è iniziata la missione, inizialmente per me in ottica unicamente umanitaria. In quella occasione ho conosciuto il direttore dell’unità medica Zanzibar Outreach Program, il dottor Nowfal che, saputo della mia laurea in odontoiatria, mi ha chiesto se volessi prendere parte ad alcune visite con loro nei villaggi dell’isola di Zanzibar. Il giorno dopo ho iniziato a lavorare con loro”.

Le visite si susseguono, si passa da un paziente altro, e poi capita l’imprevedibile: “Quella mattina d’improvviso prende una piega diversa: una donna fuori dall’ambulatorio urla a squarciagola e colpisce forte la porta. Esco, voglio capire cosa sta succedendo. La donna parla solo kiswahili, una lingua che non capisco. Passano i minuti e dopo un’ora e mezza arriva, finalmente, l’interprete. La donna spiega che non si è rassegnata all’idea che sua figlia, 7 anni, abbia perso più di 15 chili. Mi do da fare per cercare di capire in che modo possa essere aiutata. Con il dottor Nowfal concordiamo sul fatto che debba essere operata. Rimuoviamo una serie di lesioni ossee e apparentemente di cheratina, dalla bocca della bambina. I giorni proseguono con le visite. Prima di partire, per tornare in Italia, vado a casa della bambina per vedere come sta e fare le medicazioni del caso. La madre mi accoglie, questa volta con un viso molto più disteso e sereno, con in mano una collana con un dente di squalo – simbolo di forza e coraggio – che mi regala, la conservo ancora. La bambina l’ho trovata mentre mangiava del pesce pescato dal padre. Insomma si era ripresa. Le ho chiesto come si chiamasse e mi ha risposto, Aisha. In quel momento mi sono reso conto di aver cambiato la sua vita per sempre. Ecco, grazie a quella bambina è nata la mia associazione, Aisha Foundation. Il mio obiettivo è quello di portare un sorriso ovunque ce ne sia bisogno”.

Essere medico, occidentale e bianco, in luoghi remoti dell’Africa, significa venire a contatto con tradizioni ancestrali, molto lontane dal nostro modo di concepire la medina, legate ai guaritori tradizionali. “Sì, è vero ed è un’esperienza molto interessante”. Ci spiega il dottor Carotenuto. “All’inizio, alcune persone erano un po’ diffidenti, perché ero diverso da loro sia culturalmente che fisicamente. Capisco che le credenze siano profondamente radicate nella loro cultura e ho cercato di rispettarle e di apprendere da esse. Ho cercato di instaurare un rapporto di fiducia con la comunità locale, ascoltando le loro storie, i loro punti di vista e i loro bisogni. Ho lavorato a stretto contatto con gli operatori sanitari locali, cercando di condividere le mie conoscenze mediche in modo rispettoso e di imparare dalle loro conoscenze tradizionali. Nel tempo, ho notato che la mia volontà di ascoltare e di imparare ha aiutato a creare un legame più forte e una maggiore fiducia reciproca. Insieme, abbiamo cercato di unire l’approccio medico occidentale con le pratiche tradizionali per fornire cure migliori alla comunità”.

Nei prossimi giorni partirà per la Costa d’Avorio, anche qui in un villaggio remoto dell’entroterra del paese, dove le strutture sanitarie, se esistono, non riescono a soddisfare i bisogni della popolazione. “Questa missione nasce dalla cooperazione con un’altra associazione chiamata Hamef, nella persona della presidente, Fatou Diako. Lei di nazionalità ivoriana, ma figlia oramai di Napoli, mi ha raccontato della carenza di servizi sanitari nella comunità di Ouragahio, meta della nostra missione. Mi ha raccontato di come la professione odontoiatrica non sia mai stata esercitata e di come, ancora oggi, spesso, si muoia o si resti sfigurati per malattie orali e per questo allontanati dalla comunità.

Faremo visita proprio a queste persone, agli ultimi, a coloro che vivono nel cosiddetto Villaggio degli Emarginati, persone allontanate dal villaggio perché albine, sfigurate da malattie, disabili. Gli ultimi, gli invisibili. Nel corso della missione, forniremo farmaci di prima necessità a chi ne avrà bisogno, grazie a una donazione dell’organizzazione ‘Un Farmaco per Tutti’ dell’Ordine dei Farmacisti di Napoli. Iniziativa che ha lo scopo di raccogliere milioni di euro ogni anno in farmaci inutilizzati a sostegno di popolazioni che ne hanno bisogno. Ma non solo. Grazie a una cooperazione con Givova, partner ufficiale di Aisha Foundation doneremo divise da calcio e accessori per facilitare l’accesso allo sport. Quest’anno ho vissuto un’emozione fantastica con il mio caro Napoli campione d’Italia. Il nostro bomber, Victor Osimhen, ha scoperto e coltivato il suo talento, cercando scarpette da calcio nella discarica di Lagos, in Nigeria. Anche così, cerchiamo di facilitare l’accesso allo sport, nel nostro piccolo, per dare un futuro migliore a tutti”.

Un’ultima domanda: il dottor Giulio Carotenuto, non ha mai pensato di lasciare l’Italia e vivere a tempo pieno in Africa? “Ci penso spesso, ma probabilmente non avrebbe lo stesso valore che ha oggi. Qui in Italia ho la mia famiglia alla quale sono ovviamente molto legato, è proprio grazie alla tenacia e al coraggio di mio padre, alla determinazione e all’amore di mia madre, alla fiducia e ammirazione di mia sorella che oggi sono quel che sono. Vado dove c’è bisogno e andrei in capo al mondo per vedere un bambino sorridere. Il mio destino è questo, ma la strada da fare è ancora lunga”.

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