AGI – “Nei giorni successivi a ogni evento alluvionale spunta inevitabilmente la polemica riguardante i corsi d’acqua “non puliti”: molti sono convinti che “dragarli” possa far aumentare la sezione di deflusso del corso d’acqua e migliorare l’efficienza idraulica. I corsi d’acqua sono spesso considerati come elementi territoriali scomodi, in conflitto con le esigenze di uso del suolo, particolarmente nelle aree pianeggianti e soprattutto nell’attraversamento delle aree urbanizzate”. A parlare è Fabio Luino, coordinatore nazionale Area Tematica Rischio Geo – Idrogeologico della Società Italiana di Geologia Ambientale, che sottolinea come asportare i sedimenti aumenta i rischi.
“Asportare i sedimenti, come è stato ampiamente dimostrato da studi scientifici, altera il naturale equilibrio del corso d’acqua, che nel giro di qualche anno tenderà a definire un nuovo profilo di equilibrio aumentando la propria azione erosiva sulle sponde e, se queste sono protette, asportando materiale dal fondo, determinando la scomparsa del materasso alluvionale presente e il conseguente restringimento dell’alveo stesso. Asportare i sedimenti aumenta il rischio a valle perché accelera e concentra i deflussi (che non sono mai solamente liquidi) – ha continuato Luino – accentua di conseguenza il picco di piena e la sua velocità di trasferimento verso valle”.
“Inoltre, rende instabile l’equilibrio geomorfologico, generando un effetto domino: le costose opere di contenimento e di mitigazione dell’erosione realizzate lungo le sponde (scogliere, gabbionate, argini etc.) in molti punti perdono la propria funzionalità, essendo ormai sospese rispetto al corso d’acqua – ha aggiunto Fabio Luino – a monte, oltre all’abbassamento diretto del livello del fondo nella zona di estrazione, l’escavazione modifica il profilo longitudinale, provocando un aumento locale di pendenza che tende a migrare verso monte, creando una erosione regressiva.
Quindi possiamo affermare che asportare sedimenti dai corsi d’acqua comprometta inevitabilmente la stabilità delle opere longitudinali sulle sponde e anche quelle di attraversamento. In passato sono crollati ponti per sotto escavazione delle pile: nel 1966 (dopo pochi anni di estrazione) crollò il ponte di Romito sul Fiume Magra, nel 1993 il ponte della tangenziale di Biella sul Torrente Cervo, fenomeno avvenuto proprio a causa di anomali approfondimenti del fondo alveo (in Cervo sino a 6 metri) dovuti all’asportazione per decenni di grandi quantitativi di materiale ghiaioso-ciottoloso”.
“Inoltre, l’abbassamento dell’alveo condiziona anche l’equilibrio tra acque superficiali e acque sotterranee diminuendo il livello della falda freatica e quindi della captazione delle acque nei pozzi – ha spiegato l’esperto della Società Italiana di Geologia Ambientale – L’asportazione di inerti comporta anche effetti lungo le aree costiere marine provocando un deficit di trasporto solido che sbilancia il delicato equilibrio tra ingressione marina e ripascimento naturale delle spiagge che determina i dati ormai tristemente noti che vedono le nostre aree costiere marine per lo più soggette a erosione e arretramento”.
“Gli studi che geomorfologi fluviali, ingegneri idraulici e civili da decenni conducono sui corsi d’acqua hanno dimostrato che vi sono stati molti danni in tutti i corsi d’acqua ove le ruspe hanno depauperato il letto dei corsi d’acqua da milioni di metri cubi di pietrisco: sottraendo materiale si favorisce un’ulteriore incisione e si accresce il pericolo idraulico – ha concluso Luino – il problema della gestione degli eventi alluvionali non si risolve facendo scorrere più velocemente l’acqua nei fiumi, alzando gli argini in terra o utilizzando in cemento, per mitigare le alluvioni è necessario dissipare l’energia dei fiumi laminando le piene, rimuovere dagli alvei piante morte e i grandi alberi che possono incastrarsi sotto i ponti ostacolando il transito delle acque”.
L’allarme di Anbi: “104 episodi alluvionali nel 2022”
Mentre in Emilia Romagna si continua a lavorare per superare l’emergenza alluvionale, l’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche illumina una verità sotto traccia, che conferma l’immagine di un’Italia alla merce’ della crisi climatica e che, accanto alle tragedie, annovera una serie impressionante di episodi, che avrebbero potuto avere ben più gravi conseguenze. Nel solo 2022, anno per altro caratterizzato da una grave insufficienza idrica soprattutto nel Nord Italia, i fenomeni alluvionali sono stati 104, cioè due alla settimana.
“E’ un dato che allarma e che dovrebbe sollecitare una grande piano di manutenzione del territorio, la più importante opera pubblica, di cui l’Italia abbisogna – sottolinea Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) -. Per questo, rendiamo noto un elenco delle più gravi emergenze meteo registrate dall’agosto scorso, cioè dalla fine della fase più acuta della siccità”.