AGI – Se il padre Alexandre non avesse cambiato provvidenzialmente il cognome, oggi a Parigi svetterebbe la Tour Bönickhausen, e per i francesi sarebbe un bel problema conciliare la grandeur con una parola spiccatamente tedesca proveniente dalla Renania; se il figlio Gustave si fosse intestardito a fare il chimico, la Ville Lumière sarebbe paesaggisticamente un’altra cosa e miliardi di cartoline e fotografie non avrebbero riprodotto una torre di ferro dalla sagoma inconfondibile e tipica.
Per fortuna o per lungimiranza Alexandre Boenickhausen adottò ufficialmente il nomignolo di Eiffel col quale veniva chiamato nell’Armée di Napoleone (anche se sarà ufficializzato solo nel 1879) e il primogenito Gustave, venuto alla luce a Digione il 15 dicembre 1832, sarebbe divenuto universalmente noto per la sua “creatura” destinata in origine a essere smantellata dopo l’esposizione universale del 1889.
La forza del destino decise altrimenti nei bivi della vita. Eiffel doveva infatti lavorare come chimico nella fabbrica di vernici dello zio Jean-Baptiste Mollerat, ma un litigio familiare dalle venature politiche (Alexandre era ovviamente bonapartista, l’altro repubblicano) gli chiuse quella via. Era entrato quindi in contatto con l’ingegnere Charles Nepveu che costruiva macchine a vapore e materiale ferroviario il quale l’aveva nominato capo progettista nel 1857, quando firmò il primo progetto: il Ponte di Bordeaux in ferro, lungo 500 metri. Aveva solo 25 anni.
Nel 1864 creava una propria società e nel “decennio della gloria” 1870-1880 la Compagnie Eiffel aveva una solida reputazione in termini di qualità e innovazione, in tutto il mondo, considerato pure che tutta l’ossatura di contenimento della Statua della Libertà a New York, progettata per sostenere l’immane peso della scultura di Frédéric-Auguste Bartholdi altrimenti irrealizzabile, era opera sua, come ponti, viadotti e persino la stazione centrale di Budapest.
Il progetto
Il progetto della Tour è del giugno 1884, a firma di Gustave Eiffel, Maurice Köchlin ed Emil Nouguier (scelto tra 107 che avevano partecipato al concorso) e il cantiere viene aperto il 28 gennaio 1887. L’inizio del montaggio dei piloni risale al I luglio, il primo piano è completato il I aprile 1888, il secondo il 14 agosto, il completamento avviene il 31 marzo 1889. I lavori durano 2 anni, 2 mesi e 5 giorni e l’inaugurazione avviene il 21 marzo 1889, con lo stesso Eiffel che posiziona in vetta il tricolore francese dopo aver salito i 1.710 scalini che scandiscono i 300 metri di altezza che fino al 1929 ne faranno l’edificio più alto del mondo.
Nonostante le immancabili critiche, il successo è immediato, con due milioni di visitatori durante l’Expo che celebra il primo centenario della Rivoluzione francese. Già previsto che al massimo dopo 20 anni la torre sarebbe stata smontata per recuperare 7.300 tonnellate di ferro, ma poi si era dimostrata utilissima, se non indispensabile, per le trasmissioni radio e le telecomunicazioni. Ed è ancora lì, e non solo per l’avvento della tv e di internet.
In mezzo ai trionfi, anche la disavventura del crac politico-finanziario del progetto del canale di Panama, al quale aveva partecipato nel 1887, che a causa delle polemiche e delle azioni legali, lo aveva fatto finire alla sbarra per frode agli azionisti depauperati dei loro risparmi, con conseguente condanna nel 1893 a due anni di carcere e a una pesante multa. Da queste accuse infondate sarà del tutto scagionato nello stesso anno da una sentenza della Cassazione.
La Tour Eiffel diventerà uno straordinario e irripetibile strumento pubblicitario grazie all’intuizione di un fiorentino trapiantato in Francia, Fernando Jacopozzi, considerato da tutti “il mago delle luci“. Fu lui a ricordarsi di André Citroën, che aveva conosciuto casualmente al Ministero della guerra nel 1914, e a fargli nel 1922 la proposta di realizzare un progetto di illuminazione della torre con 200.000 lampadine, 100 km di cavi elettrici e una centrale da 1200 kw alimentata dalle acque della Senna, per scrivere il nome del costruttore sui quattro lati con lettere di 30 metri e realizzare la più grande réclame del mondo, non solo luminosa.
Citroën, che aveva convertito l’industria bellica in quella automobilistica producendo vetture innovative, aveva visto nascere giorno dopo giorno il capolavoro di Eiffel e aveva pensato persino di utilizzarlo per varare una Radio Citroën che era stata bloccata sul nascere dal Governo francese per motivi di monopolio delle frequenze. Era un visionario proiettato verso il futuro, ma si spaventò per i costi elevatissimi, salvo aderire quando Jacopozzi bluffò dicendo che allora avrebbe fatto la stessa proposta al concorrente Louis Renault che invece, preventivamente consultato, l’aveva rifiutata.
E così, nonostante il gravoso impegno economico della società per l’acquisto dagli Stati Uniti dei macchinari di stampaggio delle monoscocche, si assicurò per dieci anni il contratto di esclusiva della Tour. Le cronache raccontano di un esercito brulicante di persone, dai trapezisti del circo ai militari della Marina, per montare le lampadine. E il 4 luglio 1925 fu stupore e ammirazione, ogni notte fino al 1934.
Saranno quelle luci a indicare a Charles Lindbergh la meta della prima trasvolata atlantica in solitaria e a far posare le ruote dello Spirit of St. Louis sulla pista dell’aeroporto di Le Bourget la sera del 21 maggio 1927, alle ore 22.22, dopo 5.790 km, 33 ore, 30 minuti e 29 secondi di volo. Gustave Eiffel era morto novantunenne per ictus quattro anni prima, il 27 dicembre 1923, nella sua casa parigina al civico 1 di rue Rabelais, dove si era ritirato vivendo gli ultimi tempi accanto all’amata figlia Claire. La sua torre era già per tutti sinonimo di Parigi e di Francia.