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Cultura

Esce ‘I Malarazza’, il romanzo sugli italiani che fecero grande l’America

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AGI – Guerra, emigrazione, politica, affari, violenza ma anche amore e relazioni fra persone appartenenti a classi sociali diverse: l’appassionante storia corale raccontata ne I Malarazza (Rizzoli, 490 pagine) da Ugo Barbàra, giornalista dell’Agi e scrittore al suo settimo romanzo,  è una saga familiare che comincia a Castellammare del Golfo, nella sua Sicilia, più di un secolo e mezzo fa, ma miscela tutti gli ingredienti di una storia che non potrebbe essere più attuale. 

L’epoca storica è la stessa del Gattopardo: siamo infatti nel 1860 e Garibaldi in arrivo con i Mille cambierà per sempre la storia dell’isola. Come fa dire Tomasi di Lampedusa al nipote del principe di Salina, “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”: nei Malarazza si dice invece che “non c’è miglior sistema per conservare il potere che mantenere il caos”.

Qui il contesto non è però quello di una nobiltà che vorrebbe continuare ad accontentarsi delle ricche rendite della terra e del lavoro dei “viddani”. La fortuna di Antonio Montalto e della moglie Letizia Battaglia è conseguenza delle loro scelte, determinate dagli accadimenti storici ma coraggiose e non scontate: scelte importanti, che coinvolgono tutta una serie di persone che ne beneficiano o, al contrario, ne risentono pesantemente.

I Malarazza è però soprattutto una storia di emigrazione. Non quella dettata dal bisogno, che aveva già riversato sulle coste americane milioni di irlandesi e tedeschi proprio in quel periodo e avrebbe portato milioni di italiani ad attraversare l’oceano nei decenni successivi.

Il viaggio di Antonio Montalto, Letizia Battaglia e i loro figli è un viaggio in prima classe, e a New York amplieranno la loro fortuna rispetto all’attività agricola della terra di origine, fino a fondare una banca e una compagnia di navigazione, a frequentare senatori, deputati e generali e ad essere direttamente coinvolti nella guerra di secessione americana

Antonio Montalto è un imprenditore brillante e disinvolto, le cui scelte e comportamenti sono a volte senza scrupoli e discutibili, ma quando ottiene per la moglie il diritto a fondare e presiedere una banca, una possibilità fino a quel momento negata alle donne in America, dice che “è stata una battaglia di civiltà”. 

L’autore descrive con accuratezza storica quanto accadeva nell’East Lower Side di New York, quartiere di Manhattan in cui gli immigrati vivevano stipati in edifici attaccati l’uno all’altro e in condizioni igieniche pessime, divisi per nazionalità di origine, in una condizione in cui il valore della vita umana era infimo e le violenze all’ordine del giorno, ma anche sui campi di battaglia della Virginia e del Kentucky, dove una guerra fratricida “languiva sanguinosamente”. Una sintesi che fa venire in mente la situazione dell’ultimo anno e mezzo in Ucraina: “Ogni metro conquistato dai sudisti veniva perso l’indomani per essere riconquistato il giorno dopo. Un esasperante tiro alla fune che costava la vita a centinaia di uomini e non era mai risolutivo”.

Anche nei Malarazza, come nel Gattopardo, la scena madre avviene durante una grande festa, anche se le carrozze che portano gli ospiti nella ricca dimora dei Montalto si muovono lentamente sotto una fitta nevicata, un clima un po’ diverso da quello di Donnafugata.  La dettagliata descrizione di abiti, arredi e cibi consente al lettore di sentirsi partecipe dei festeggiamenti e dei continui colpi di scena, oltre a suggerire un’auspicabile trasposizione del romanzo sullo schermo. Ma è il finale del romanzo, dopo 500 pagine avvincenti, a lasciare con il fiato sospeso e a farci sperare che l’autore ci regali anche un seguito. 

Redazione

Autore Redazione