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I trent’anni di Ghali, gli ‘happy days’ del rivoluzionario del rap 

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AGI – Tre album e una raccolta, quattro pubblicazioni in tutto che hanno ottenuto 47 dischi di platino, 18 d’oro: Ghali Amdouni, in arte solo Ghali, allo scoccare dei 30 anni d’età (è nato il 21 maggio 1993) ha raccolto questi numeri. Ma non sono i numeri, i dati, non soltanto perlomeno, a renderlo uno degli artisti più seguiti dell’ultimo decennio in Italia.

Non è nemmeno l’appartenenza alla scena hip hop italiana, di gran lunga la più streammata del nostro panorama musicale, a trascinarlo verso lo status artistico raggiunto. Sono le modalità con le quali il ragazzo nato a Milano da genitori tunisini ha coscientemente portato avanti fin qui la sua carriera.

Percorrendo una gavetta che parte dalla folgorazione per il rap guardando “8 Mile”, il film che racconta la storia di Eminem, lo ha portato a essere prima Fobia e poi Ghali Foh, a fondare in quel periodo i Troupe D’Elite (tra di loro anche Er Nyah, oggi meglio conosciuto come Ernia), messi sotto contratto da Guè (ai tempi Pequeno), ad aprire i concerti di Fedez, e alla pubblicazione di un album, “Lunga vita a Sto”, che ricevette critiche controverse.

Il primo mixtape con Sfera Ebbasta

A 20 anni pubblica il suo primo mixtape (dentro anche un Sfera Ebbasta in erba), poi comincia a farsi un nome pubblicando singoli su YouTube, i numeri si moltiplicano, il nome cambia in Ghali, il suo nome; cominciano così a comporsi i connotati dell’artista che sarà, gira in quel periodo un videoclip in Tunisia e viene arrestato durante le riprese, commenterà su Facebook: “Paura non ne abbiamo, per la musica questo e altro”.

Il debutto discografico ufficiale della sua etichetta, la Sto Records, con “Ninna nanna”, non potrebbe essere dei migliori, il singolo fracassa il record di ascolti nelle prime 24 ore su Spotify, come se il pubblico non aspettasse altro. “Pizza kebab”, il secondo, è un divertissment sull’unione delle sue due culture. “Album”, disco d’esordio, va alla grande, lui si impone come icona di stile, è misurato nelle apparizioni e quando parla si dimostra artista vero, impegnato e pensante.

Il passaggio a star della scena è immediato, in linea con i tempi della discografia contemporanea, così nel 2018 esce “Cara Italia”, un brano da un lato sfruttato per le incredibilmente efficaci sonorità, la Vodafone infatti lo adotterà per un suo spot, dall’altro lo metterà ufficialmente nella lista di quegli artisti che, andando oltre la musica, diventano punto di riferimento, impegnati nel sociale, megafono delle proprie idee; una posizione finora mai lasciata, una posizione che ha anche punto certi ambienti della politica. 

La conquista dei luoghi cult del live

Si moltiplicano anche le collaborazioni, i più importanti producer della rivoluzione t/rap del 2016 (Charlie Charles, Sick Luke…) vedono in lui, a ben ragione, uno strumento perfetto per dare nuove sfumature a questo suono entrato dentro i cuori di tutti i giovani e giovanissimi italiani.  Allora non è un caso che il “Ghali in tour” del 2018 trasforma quei numeri sotto i video del proprio canale YouTube, sotto il proprio nome su Spotify, in ragazzi che prendono letteralmente d’assalto le biglietterie online per aggiudicarsi i tagliandi per una data del tour che, a questo punto, parte direttamente dai palazzetti, il ragazzo così, a soli 25 anni, espugna con la sua musica luoghi cult del live italiano come il Palalottomatica di Roma e il Forum D’Assago di Milano; l’anno dopo si esibirà in Europa e al Tomorrowland, uno dei più importanti festival del mondo.

“DNA” rappresenta una svolta, Ghali fa un netto passo in avanti in termini di complessità e studio del suono, si percepiscono le influenze internazionali, in particolare naturalmente quelle sonorità che lo riportano alle sue radici tunisine, quelle radici che onora, quelle radici che in qualche modo lo riportano sempre a casa, in particolare guardando all’amata madre, la sua unica “Habibi” (“Amore mio”), come il titolo di una delle sue più belle canzoni. Radici che letteralmente celebrerà in “Sensazione ultra”, il disco uscito nel 2021 in cui Ghali decide di integrare le proprie origini nella propria musica.

La svolta verso i temi arabeggianti

Per realizzare il disco, infatti, il rapper sceglie producer stranieri, che è un modo come un altro per proporsi in un mercato che si fa sempre, fisiologicamente, più internazionale. Ma invece di utilizzare i soliti trick discografici lavora su un suono che possa essere percepito con chiarezza anche all’estero. Si butta su temi arabeggianti e in questo senso si scatena, chiaramente lo studio, la passione, l’impegno, il lavoro fatto in due anni (tanto ci ha messo a realizzare l’opera) sono evidentemente così profondi che alla fine anche la lingua usata, spesso, più spesso rispetto al passato, è l’arabo.

Arabo che arriva come una specie di straripamento, arabo che arriva lì dove l’italiano non arriva, arabo che non è un segno di protesta per una sorta di plastificata autoaffermazione, che non viene utilizzato contro qualcuno ma per rafforzare e definire una parte di se. È un disco rap, con una lavorazione raffinata in fase di produzione e che procede con un taglio ironico e malinconico per ciò che riguarda invece la stesura dei testi; e questo vale per tutti i brani del disco.

La forza di Ghali è anche quindi quella di non bastarsi, di andare avanti, di seguire il proprio istinto, la propria ispirazione, raccontarsi con il suono, aldilà della parola o, come hanno provato a fare, del colore della pelle. Ghali è senza alcun dubbio tra gli artisti italiani più appetibili per il mercato internazionale, riuscendo come fa a vivere e poi decifrare e poi declinare in musica il mondo, tenendosi stretto, dentro di sé, come una spugna, il fascino di ogni luogo, di ogni lingua, di ogni cultura. 30 anni oggi, di difficoltà e risalite, dalla strada da vivere a quella da raccontare, di grandi successi, da artista, da uomo.

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