AGI – Sono stati quasi 170 i testimoni dell’accusa sentiti in 84 udienze calendarizzate in poco meno di un anno, ma la sentenza sul processo per il crollo di Ponte Morandi non arriverà prima del 2024. Il procedimento, cinque anni dopo il disastro, è quasi arrivato al giro di boa e a settembre, in aula, è previsto l’avvio degli esami degli imputati.
Sono solo una ventina su 58 quelli che si sottoporranno alle domande: tra questi anche l’ex ad di Aspi, Giovanni Castellucci. Alcuni rilasceranno solo spontanee dichiarazioni. Dopo di che sarà la volta dei testimoni delle difese.
Nel frattempo, la procura ha chiesto il rinvio a giudizio per 47 persone nel filone bis di inchiesta sulle autostrade liguri, nato dopo il crollo. Aspi e Spea, le due società coinvolte nel filone principale, sono invece uscite dal processo, patteggiando un risarcimento di quasi 30 milioni. Secondo l’accusa il ponte è crollato perché per decenni si è risparmiato sulle manutenzioni in modo tale da poter distribuire maggiori dividendi ai soci.
In questi mesi, con un ritmo di tre udienze alla settimana, sotto la tensostruttura installata nel cortile di palazzo di giustizia a Genova, sono state ascoltate le drammatiche testimonianze dei sopravvissuti, si è fatta luce sui rilievi tecnici dei periti che hanno accertato le cause del collasso.
In aula anche le parole degli ex vertici di Atlantia, con le importanti dichiarazioni dell’ex ad Gianni Mion che ha confermato che nel 2010 si parlò di “rischio crollo” per il viadotto in una riunione coi vertici di Aspi, ed Edizione, rispettivamente la holding e la cassaforte della famiglia Benetton, ma anche gli ex ministri come Graziano Delrio e Antonio Di Pietro.
Per la lunghezza e complessità delle udienze ai pm Massimo Terrile e Walter Cotugno, che hanno coordinato le indagini della guardia di finanza, è stato affiancato anche il collega Marco Airoldi. Sempre in autunno potrebbe iniziare l’udienza preliminare per il filone bis che vede imputate 47 persone, la maggior parte le stesse del processo principale.
L’indagine riguarda i falsi report sullo stato dei viadotti, le barriere antirumore pericolose, il crollo della galleria Berté in A26 (30 dicembre 2019) e il mancato rispetto delle norme europee per la sicurezza nei tunnel.
Per 12 di loro la procura ha proposto il patteggiamento. Le due società Aspi e Spea sono uscite anche da questo procedimento, dopo avere patteggiato circa un milione di euro.