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La lunga storia della protesi del pene: cinque secoli di tentativi e il successo 50 anni fa 

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AGI – Dalle protesi di legno create nel XVI secolo in Francia da Ambroise Paré, all’inserimento di ossa degli anni ’30, alle stecche acriliche degli anni ’50, fino all’inserimento di impianti di polietilene negli anni ’60, bisognerà attendere fino al luglio del 1973 quando la prima protesi peniena idraulica impiantata veniva descritta sulla rivista Urology da Scott, Bradley e Timm.

L’intervento, eseguito con successo senza problemi di rigetto né di infezioni dagli autori presso la Divisione di Urologia del Baylor College of Medicine Texas Medical Center di Houston, venne realizzato con due pompe anziché una, collocate nella zona scrotale e l’inserimento submuscolare nell’addome di un serbatoio piatto, che diventerà cilindrico successivamente con un cambio di forma dettato soprattutto per facilitare il lavoro del chirurgo.

“Dal primo impianto, le protesi sono evolute con l’avvento di nuove tecnologie, materiali e con il perfezionamento della tecnica chirurgica sono diventate una procedura sicura, mininvasiva ed efficace. Il posizionamento protesico richiede circa un’ora ed è completamente nascosto perché non ci sono componenti esterne”, spiega Alessandro Palmieri, presidente SIA e professore di Urologia all’Università Federico II di Napoli.

Quanto tempo ci vuole per essere operativi

“La convalescenza è molto breve e i tempi di recupero complessivamente rapidi: nel giro di un mese e mezzo circa si può riprendere ad avere una vita sessuale attiva con una erezione ripristinata al 100%. Il principale rischio è quello di infezione della protesi, che ne richiede l’immediata rimozione. Tale complicanza è tuttavia molto bassa e avviene in un caso ogni mille impianti”.

I due tipi di protesi

La protesi del pene è un dispositivo meccanico che ripristina il meccanismo interno dell’erezione senza alterare la sensibilità esterna del pene nell’emissione del liquido seminale. Esistono attualmente due classi di protesi: gonfiabile e non gonfiabile. La prima detta anche semirigida è un dispositivo formato da due cilindri di silicone rigido che vengono inseriti nei cilindri naturali del pene, chiamati corpi cavernosi. Il dispositivo conferisce una rigidità tale da consentire la penetrazione in ogni momento, per cui il pene è sempre “pronto all’uso” ma ha una anima malleabile alla base, che permette all’organo di essere riposto nel cavo dell’inguine.

La protesi gonfiabile, detta anche idraulica, può mimare uno stato di flaccidità o di erezione a seconda che sia gonfia o no. È costituita da un circuito chiuso molto sofisticato, fatto da due cilindri di silicone che vanno a occupare l’interno dei corpi cavernosi che si riempiono di acqua proveniente da un serbatoio, posizionato vicino alla vescica all’interno dell’addome. Il liquido dal serbatoio passa ai cilindri della protesi attraverso quella che in gergo viene definita una “pompetta”.

Si tratta di un attivatore inserito all’interno dello scroto il cui schiacciamento fa passare l’acqua dal serbatoio ai due cilindri, che si riempiono di fluido anziché di sangue e vanno in erezione. Una volta che il rapporto viene completato, lo stesso attivatore viene utilizzato per sgonfiare l’impianto, permettendo all’acqua di compiere il passaggio inverso dai cilindri al serbatoio. La protesi così si svuota e il pene ritorna flaccido.

Il prototipo ‘touchless’

Dalla prima protesi nel 1973 la ricerca in campo chirurgico e nella produzione di device ha fatto passi da gigante e oggi punta a realizzare protesi touchless, capaci di funzionare senza “pompetta”, di utilizzo più agevole e minori rischi di rotture delle componenti idrauliche.

“Oggi è in sperimentazione presso l’ospedale universitario Eleuterio Gonzalez della Universidad Autonoma di Monterrey in Messico, un prototipo penieno che ha il vantaggio di essere attivato senza la necessità di pompare manualmente sullo scroto, come avviene tipicamente negli impianti idraulici convenzionali”, dichiara Simone Cilio, andrologo del Dipartimento di Neuroscienze, Scienze Riproduttive e Odontostomatologia, Unità di Urologia dell’Università “Federico II” di Napoli.

“In questo caso, è un neurotrasmettitore modulare che percepisce lo stimolo eccitativo dal sistema nervoso centrale per innescare l’erezione. Per il futuro – aggiunge l’andrologo – si sta studiando anche un altro meccanismo che permette di innescare la funzione di erezione per induzione termica, grazie alla attivazione di un elettromagnete. L’impianto protesico, da pochi anni introdotto anche in Italia e oggi in sperimentazione presso la Urological Institute and Department of Urology della “Johns Hopkins” University School of Medicine di Baltimora, è stato descritto nello studio pubblicato su The Journal of Sexual Medicine.

Il prototipo di protesi è costituito da un cilindro impiantabile che usa tubi in lega di nichel-titanio al posto di silicone rigido. Questa tipologia di protesi non gonfiabile elimina la necessità di serbatoi e pompe, rendendo il dispositivo più facile da utilizzare”, conclude Cilio.

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Autore Redazione