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Cultura

La missione di Castellano per l’armistizio

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AGI – Il commendator Raimondi del Ministero Scambi e valute era partito da Roma il 12 agosto 1943 per un estenuante viaggio in treno verso la Spagna. Era stata scelta la linea ferroviaria e non quella aerea sicuramente molto più rapida per attirare di meno l’attenzione della polizia tedesca.

Quel civile, infatti, è in realtà il generale Giuseppe Castellano, il più giovane dello Stato maggiore generale, in missione segreta e su ordine del capo di stato maggiore Vittorio Ambrosio, a sua volta per incarico di Vittorio Emanuele III.

Castellano ha in tasca una lettera di presentazione rilasciatagli dall’ambasciatore britannico presso la Santa Sede, Godolphin d’Arcy Osborne, da consegnare all’ambasciatore a Madrid, Samuel Hoare.

D’Arcy Osborne non può condurre alcuna trattativa con il governo italiano perché questo esula dal suo mandato diplomatico, e neppure può fare da tramite diretto perché si è accorto che lo spionaggio tedesco di Kappler ha violato i suoi codici.

La missione di Castellano, che si basa solo su quella lettera, è delicata e fragilissima: se fosse accaduto qualcosa sarebbe stato immediatamente sconfessato, perché ufficialmente il governo non sapeva nulla della sua trasferta in un Paese neutrale, per di più con documenti falsi.

Le cose erano state fatte come le circostanze permettevano e con mille cautele, tanto da passar sopra al fatto che il pseudo commendator Raimondi doveva interfacciarsi con gli inglesi e non ne parlava la lingua, e il suo documento diplomatico di accredito valeva solo per la Spagna, quando invece la meta finale era Lisbona, in Portogallo.

La parte più rischiosa gravava dunque sulle sue spalle, poiché buona parte del tragitto ferroviario, in Francia, era su territorio controllato dalla Gestapo in stato di allerta su tutto quello che si muoveva dall’Italia, e perché le sue credenziali erano di scarso rilievo.

A nome di chi parlava? E che potere di negoziazione gli era stato conferito? Castellano era comunque riuscito a raggiungere Madrid senza problemi e qui a contattare subito il console Franco Montanari, parente del Maresciallo Badoglio, che parla perfettamente inglese (la madre è americana), al quale si era pure rivolto il ministro degli Esteri Raffaele Guariglia, guarda caso all’insaputa del generale emissario. I due vengono ricevuti nell’Ambasciata britannica da Hoare: questi è un diplomatico esperto, mostra affabilità, assicura che informerà subito Churchill il quale parlerà direttamente a Roosevelt, visto che i due sono impegnati in un vertice politico a Québec.

Poi Hoare scrive a sua volta una lettera di referenze da mostrare all’ambasciatore a Lisbona, Ronald Hugh Campbell. Gi angloamericani, da questo momento, sanno che l’Italia vuole uscire dalla guerra e che ha mosso il primo passo in tale direzione, per quanto in maniera avventurosa e informale. Questo, però, non cambiava minimamente i loro piani militari che, anzi, venivano intensificati per stringere i tempi della resa.

Il giorno stesso dell’arrivo a Lisbona di Castellano e Montanari, il 16 agosto, la città di Foggia viene violentemente bombardata, e così Viterbo.

Gli Alleati sanno che i bombardamenti sono particolarmente avversati dalla popolazione civile che ne scarica le responsabilità sul governo, e questa è un’ulteriore arma psicologica di pressione.

Il primo contatto degli emissari con Campbell avviene la sera del 19, quando Lisbona è stata raggiunta anche dai plenipotenziari inviati da Roosevelt, ovvero il capo di Stato maggiore delle forze alleate del Mediterraneo, Walter Bedell-Smith, l’incaricato d’Affari degli Stati Uniti, George Kennan, e il capo dell’Intelligence Service delle forze alleate, il generale britannico Kenneth Strong. Si comincia a fare sul serio, in quel rapporto del tutto squilibrato: Castellano non ha nulla su cui contrattare, gli Alleati non flettono dall’accettazione della resa incondizionata.

Così come stanno le cose, il generale deve fare del suo meglio per non essere subito messo alla porta perché non ha alcuna delega di rappresentanza, e formalmente parla per sé.

Per accattivarsi la controparte lancia sul tavolo alcune confidenze e indiscrezioni di carattere politico-militare, pur di mantenere vivo quell’esile filo che deve portare l’Italia all’uscita dalla guerra. A Roma riusciranno però a complicargli la vita inviando persino altre due missioni segrete paradiplomatiche, ovviamente l’una all’insaputa dell’altra, come avremo modo di vedere in seguito

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