AGI – Di sicuro c’è solo che è morto. Le parole con cui Tommaso Besozzi raccontava sull’Europeo la morte del bandito Salvatore Giuliano a Castelvetrano il 5 luglio 1950 si sposano perfettamente alla vicenda del capo della milizia personale Wagner, Evgenij Prigožin, precipitato il 23 agosto 2023 col suo jet privato Embraer Legacy 600 dai cieli di Trer’. Dalla Sicilia alla Russia, dal sistema mafioso a quello sovietico e post-sovietico, dai colpi di mitra e di Beretta a quelli della contraerea: problemi di banditismo e di eversione nati dalla violenza e risolti nella violenza.
All’incidente occasionale non crede nessuno, neppure chi non crede al complottiamo. Mentre l’aereo con l‘ex cuoco autoproclamatosi generale e superpatriota di tutte le Russie si schiantava al suolo, in Italia su La7 per ironia o cinismo della sorte andava in onda un documentario russo su Ivan il terribile, manifesto sulla presa e sull’imposizione del potere senza scrupoli e a tutti i costi.
Cambiano i tempi e le forme, ma non i sistemi. La morte del capo dell’esercito mercenario risolve un grosso problema a Vladimir Putin, che appena due mesi fa si trovò spiazzato dalla marcia poi abortita verso Mosca delle milizie dell’ex amico che sferrò un duro colpo alla sua credibilità interna ed esterna e incrinò il sistema di potere del Cremlino.
Gli osservatori azzardarono che la neutralizzazione apparentemente consensuale di quell’inclassificabile tentativo di golpe sarebbe stato il preludio a una resa dei conti non altrettanto pacifica o senza conseguenze. L’epilogo non ha stupito gli esperti di politica internazionale e neppure chi ha dimestichezza con la storia di quelle latitudini.
A Putin, impegnato nella riscrittura dei libri di storia e nella rivalutazione della grandezza di un criminale come Stalin creatore dell’impero rosso, per il colore della bandiera e del sangue che fece scorrere a fiumi, non difetta la spregiudicatezza nel profilarsi in ombra alle spalle di sparatorie che provvidenzialmente gli eliminano oppositori e giornalisti scomodi, e persino di apparentemente innocui the corretti al polonio senza che lui tocchi neppure il samovar.
D’altronde viene dalla scuola del KGB. Stalin nel 1944 commissionò al regista Sergej Ejzenštein un film su Ivan il Terribile che doveva esser apologetico di lui stesso e della sua visione politica e del potere. Quello stesso anno, ad agosto, mentre Varsavia insorgeva contro i nazisti, dava ordine alla contraerea sovietica di aprire il fuoco contro i quadrimotori alleati che partivano dagli aeroporti pugliesi per paracadutare armi, munizioni e medicinali ai combattenti dell’Armia Krajowa, dopo aver prima negato che a Varsavia ci fosse una rivolta e poi il permesso di sorvolo dei territori controllati dall’Armata Rossa e di atterraggio negli aeroporti sovietici per fare rifornimento.
Le analogie con la morte nel 1943 di Władysław Sikorski
La contraerea russa, si tratti di B-24 del 1944 o di Embraer del 2023, non fa complimenti. E neppure i servizi segreti quando si tratta di eliminare personaggi scomodi. Se ci sono gli aerei di mezzo, è persino più semplice. Il 4 luglio 12943 moriva in un incidente aereo a Gibilterra il capo del governo polacco in esilio e comandante in capo dell’esercito polacco, generale Władysław Sikorski. Aveva preteso un’indagine internazionale indipendente da affidare alla Croce rossa internazionale dopo la scoperta in primavera dell’eccidio di Katyn, con migliaia di ufficiali polacchi giustiziati con un colpo alla nuca e sepolti nella foresta bielorussa.
Le fosse comuni erano state scoperte dai tedeschi dopo le rivelazioni di alcuni contadini bielorussi e una commissione internazionale formata da esperti di riconosciuta fama ai quali venne garantita la massima libertà su prelievi ed esami necroscopici e scientifici, concluse all’unanimità che il massacro era avvenuto nel 1940, quando la zona era sotto controllo dell’Armata Rossa. Tra i membri c’era l’anatomopatologo Vincenzo Palmieri. Sikorski pretendeva la verità e il Cremlino per tutta risposta il 25 aprile ruppe le relazioni diplomatiche col governo polacco di Londra.
Intervenne allora Winston Churchill che costrinse Sikorski a rinunciare, poiché temeva una frattura nella coalizione antihitleriana. Ma nulla garantiva che il generale non potesse rivolgersi al presidente americano Franklin Delano Roosevelt. Di ritorno da un’ispezione alle truppe polacche in Medio Oriente, per un incontro con il generale Władysław Anders, il quadrimotore B-24 Liberator pilotato dal fedele ed esperto tenente cecoslovacco Eduard Prchal aveva fatto uno scalo tecnico a Gibilterra. Il 4 luglio 1943, 16 secondi dopo il decollo, l’aereo si era schiantato al suolo.
Solo Prchal si era miracolosamente salvato, dichiarando che i timoni del B-24 non rispondevano ai comandi. Il sospetto del sabotaggio divenne palese. L’indagine venne condotta dai servizi segreti inglesi che conclusero invece per la tesi dell’incidente fortuito. Al vertice, a Gibilterra, c’era Kim Philby, che nel 1964 si scoprirà essere stato sempre un agente doppio al servizio di Stalin, e nel 1965 riparerà in Unione Sovietica celebrato come un eroe.
La morte di Sikorski eliminò comunque dall’orizzonte geo-politico di Stalin un temibile antagonista: a Jalta riuscirà a imporre la sua prospettiva sulla Polonia, inglobandosene nel 1945 un pezzo e facendone un Paese satellite. E tale rimarrà fino al 1989. Mentre sui documenti su Katyn proprio Putin ha riapposto il segreto di stato impedendone la consultazione, sull’incidente di Gibilterra nel 2014 l’Istituto nazionale per la memoria di Varsavia ha chiuso una propria inchiesta documentale (non tutte le carte sono disponibili: per quelle del Cremlino c’è poco da fare) non trovando riscontri all’ipotesi di complotto, lasciando però aperta una porta nel caso emergessero nuove prove. Che potrebbero arrivare solo da Mosca, dove i segreti, è notorio, sono difficilmente penetrabili, da Ivan il Terribile a Putin senza soluzione di continuità.