AGI – La prima donna regista del cinema italiano. Si chiama Elvira Notari ed è la protagonista del libro “La figlia del Vesuvio. La donna che ha inventato il cinema” di Emanuele Coen, giornalista de L’Espresso e scrittore, che sei anni fa era a Napoli per lavoro per fare un reportage sulla proliferazione di film e serie tv ambientate in città a partire da “Gomorra”.
“Non ne avevo mai sentito parlare – racconta – Mi è sembrata da subito una storia straordinaria. Nelle settimane successive mi sono documentato, ho realizzato che si trattava di una figura di riferimento per gli addetti ai lavori, gli esperti di cinema, ma assolutamente ignota al grande pubblico. E agli stessi napoletani. Basti pensare che durante la sua carriera, oltre sessanta film e centinaia di documentari andati quasi tutti perduti, non aveva mai rilasciato un’intervista. O meglio, nessuno gliela aveva chiesta. Non si sa cosa pensasse, quali emozioni provasse, la sua vita per certi aspetti resta un mistero. Dunque, la sfida è stata colmare quel vuoto attraverso la finzione, il racconto immaginario della sua esistenza. In un certo senso la parte inventata del romanzo è quella più autentica. Il personaggio di Elvira è molto più ricco della persona che conoscevamo”.
Ne è nato un romanzo (edizioni Sem) che tra realtà e finzione rievoca la vita di questa figura avvolta nel mistero che a fine Ottocento fu capace di intuire la novità e il miracolo di quel “o’mbruoglio int’o lenzuolo” che dai primi anni Venti a Napoli faceva sognare le diverse umanità. Un meticoloso lavoro documentario basato su fonti consultate in archivi sparsi tra l’Italia e l’America che restituisce al pubblico una figura irripetibile, offuscata dalla polvere del tempo capace di fondare la Dora film, una delle più importanti case di produzione del cinema italiano.
La ricerca dei materiali per restituire la storia di Elvira Notari. Quanto tempo ha impiegato? Ci racconta qualche curiosità e qualche scoperta fatta per questa scrittura?
Tra ricerche d’archivio e scrittura ho impiegato circa due anni per realizzare La figlia del Vesuvio. È stata una scoperta continua, ho effettuato la maggior parte delle ricerche nella biblioteca Renzo Renzi della Cineteca di Bologna, dove è custodita la maggior parte delle opere dedicate a Elvira Coda Notari. Non essendo uno storico, durante la lavorazione del libro ho scoperto dettagli e aneddoti che non conoscevo affatto. Un esempio: l’incontro a Firenze tra Benito Mussolini e due divi di Hollywood, Douglas Fairbanks e Mary Pickford.
Il Duce, abile comunicatore e grande fan del cinema americano, capì l’importanza delle celebrità, si fece bello di quell’intesa. All’epoca, alla faccia dell’autarchia fascista, i film di Hollywood sbancavano al botteghino. Più tardi, Mussolini decise di spedire in giro per l’Italia decine di furgoni dotati di schermo e cinepresa per educare le masse al cinema di propaganda. Il cinema ambulante dell’Istituto Luce. Un’altra scoperta riguarda l’abbigliamento dei personaggi del romanzo. Per ricostruire ogni dettaglio mi sono procurato i cataloghi originali dei Grandi Magazzini Mele di Napoli, dove sono descritti scrupolosamente abiti e accessori da donna, uomo e bambino.
Dal libro escono anche fuori il racconto di una Napoli all’avanguardia dove fioriva il cinema. Come si incrocia la storia di Elvira con quella della città?
All’inizio, appena trasferita insieme alla famiglia da Salerno, Elvira detesta Napoli. La trova caotica, invadente, decadente. Trascorre interi pomeriggi a guardare il soffitto, sconfortata e quasi spaventata dalla città e dai suoi abitanti. Poi piano piano si innamora di Napoli e della sua gente, scopre il cinema e si innamora anche di quello, conosce l’uomo che diventerà suo marito, Nicola, che lavorerà insieme a lei alla costruzione di questo sogno collettivo. Perché in quegli anni Napoli, insieme a Torino, è la capitale italiana del cinema. In questo senso “La figlia del Vesuvio” è anche un romanzo d’amore.
Come ha ricostruito il carattere di questa figura?
Non è stato facile costruire il personaggio di Elvira. La letteratura è ricca di personaggi femminili raccontati dalla penna di un uomo, basti pensare a “Anna Karenina” di Lev Tolstoj e “Madame Bovary” di Gustave Flaubert. A parte i paragoni ovviamente impropri, ho sentito la responsabilità di questa grande sfida. Le sue fragilità, i punti di forza, i complessi di inferiorità, la voglia di riscatto, la sensibilità e l’intuito imprenditoriale. Le idiosincrasie e le passioni di una donna determinata ma con un carattere a tratti duro, inflessibile. Non dico altro per non spoilerare il romanzo.
Per dare forma al personaggio di Elvira si è ispirato a qualche donna del contemporaneo?
A dire la verità nessuna in particolare. Oggi viviamo in un’epoca in cui, per effetto dei social, punti di vista e opinioni sono fortemente polarizzati. La comunicazione prevale sull’azione. Elvira invece è donna del fare, imprenditrice e artista, giorno dopo giorno costruisce la propria reputazione, la propria credibilità come regista e libera la propria creatività. Parla poco e agisce molto. Non voglio dire che non esistono donne come lei, ma non mi sono ispirato ad alcuna figura contemporanea. Forse l’autore di un romanzo non si dovrebbe innamorare dei suoi personaggi ma devo ammettere che di Elvira mi sono un po’ innamorato.
Come si intreccia la storia di Elvira regista con la storia d’amore con il marito Nicola?
Nicola è un uomo generoso, discreto e lungimirante. Accetta che la moglie prenda la scena, in un’epoca in cui le donne sono soltanto madri e non hanno alcun ruolo pubblico nella società. Insieme scoprono il cinema mentre nasce, la loro storia d’amore si sovrappone all’epopea del cinema muto, in una simbiosi che ha del miracoloso.
Cosa è rimasto oggi di Elvira Notari? La sua eredità sia professionale che personale?
Di Elvira Notari rimane poco dal punto di vista materiale. Solo tre film, “A Santanotte”, “È piccerella” e “Fantasia e surdato”, conservati nella Cineteca nazionale di Roma. Gli altri film e cortometraggi sono andati perduti. Dal punto di vista della storia del cinema, invece, Elvira Notari viene considerata una figura fondamentale, pioniera del Neorealismo, femminista ante-litteram. Gli studiosi di cinema la celebrano ma purtroppo il pubblico continua in gran parte a ignorarla. Spero che La figlia del Vesuvio possa accendere la curiosità dei lettori.
La trama del libro potrebbe essere quella di un film…ha avuto proposte?
Sì, la storia di Elvira sembra fatta apposta per una trasposizione cinematografica o televisiva. Del resto ho costruito il romanzo per immagini, per scene, raccontando i fatti come se si materializzassero davanti a me. Ho depositato alla Siae il soggetto di un film, già alcuni mesi fa, non ho ricevuto proposte ma il lavoro da questo punto di vista comincia ora. Dal romanzo ho ideato uno spettacolo, “Il suono di Elvira”, che prevede la presentazione, un reading a due voci e la performance di alcuni musicisti sulle immagini di “Napoli sirena della canzone” (1929) di Elvira Notari. Lo abbiamo messo in scena a Napoli con l’attrice Cristiana Dell’Anna, che in queste settimane sta leggendo alcuni brani del libro su alcuni frammenti dei film della regista. Nel corso del prossimo anno abbiamo in cantiere alcune repliche e poi, chissà, magari da cosa nasce cosa.