AGI – Per cinque giorni i soldati italiani erano caduti sul fronte meridionale combattendo gli angloamericani, e così i civili sotto i bombardamenti, resistendo a un nemico che non era più un nemico e al fianco di un alleato che si sarebbe dimostrato un feroce occupante.
La fine delle ostilità e l’uscita dalla guerra dell’Italia, che l’aveva persa e anche malamente, erano state consacrate dalla firma del generale Giuseppe Castellano sul documento fornito dal generale Dwight Eisenowher in una tenda posizionata in un uliveto a Cassibile, in Sicilia, il 3 settembre.
La “resa” agli alleati
Eisenhower l’avrebbe rivelato al mondo cinque giorni dopo, nel pomeriggio dell‘8 settembre e dalle frequenze di Radio Algeri: non era neppure necessario calcare sulla parola «resa», perché solo questa offrivano gli angloamericani che durante la trattative si erano strettamente attenuti a quanto stabilito nella conferenza di Casablanca (14-24 gennaio).
Per Vittorio Emanuele III, per il maresciallo Pietro Badoglio per i vertici militari quell’annuncio era stato una sorpresa e uno choc, ma non c’era alcun motivo perché lo fossero: la notte prima erano stati tirati giù dal letto per l’arrivo in missione segreta del generale Maxwell Taylor e del colonnello Gardiner a Roma che stando agli accordi (e ciò stava precisamente ad avvisare che l’indomani era il giorno dell’armistizio) volevano sapere dove far sbarcare una divisione autotrasportata, ma si erano sentiti rispondere dagli italiani che non potevano assicurare il controllo di nessun aeroporto.
Badoglio attendeva l’annuncio il 12 settembre
Gli americani avevano annullato l’Operazione Giant 2, complemento dello sbarco a Salerno, Giant 1, e Badoglio e i suoi avevano voluto credere che fosse stato annullato anche l’annuncio, cullando l’ipotesi che nulla sarebbe accaduto prima di domenica 12 settembre, loro data di riferimento frutto di un calcolo avventuroso e clamorosamente sbagliato.
L’8 settembre un maresciallo del Lehrbataillon della 2a divisione paracadutisti tedeschi di stanza ai Colli Albani, sintonizzato sulle frequenze della radio alleata nonostante fosse proibito, aveva ascoltato la voce di Eisenhower e aveva immediatamente avvisato il suo comandante, il maggiore Harald Mors che quattro giorni dopo avrebbe liberato Mussolini dall’albergo-prigione di Campo Imperatore: era scattata la catena gerarchica e la notizia era arrivata fino a Berlino facendo subito scattare il piano di invasione dell’Italia e di neutralizzazione dell’esercito studiato sin da maggio.
Scatta il piano di invasione dell’Italia
Ai tedeschi basta una sola parola, «Achse», per stringere la morsa contro l’ex alleato. Alle 18, mezz’ora dopo l’annuncio di Eisenhower, al Quirinale si tiene il Consiglio della corona, dove il generale Giacomo Carboni propone addirittura di sconfessare Castellano anche a rischio di far cadere il governo.
Badoglio non dice una sola parola, ma parla il maggiore Marchesi che era a Cassibile e ricorda a tutti che la cerimonia della firma era stata fotografata e ripresa, e il discredito per l’Italia sarebbe stato insostenibile. Vittorio Emanuele impone allora a Badoglio di fare un proclama agli italiani, che viene diffuso dall’Eiar alle 19.42, e dove si parla di armistizio, non di resa incondizionata.
Gli ordini di reagire senza prendere iniziativa
Gli ordini operativi per opporsi ai tedeschi c’erano, erano stati inoltrati, come la segretissima memoria OP 44, ma nessuno si voleva prendere la responsabilità di provocare una guerra contro i tedeschi. E così l’operatività rimane ingessata nella formula di reagire ma di non prendere l’iniziativa, lasciandola così nelle mani della Wehrmacht e della Luftwaffe.
Roma veniva attaccata dalle strade consolari, altrove si combatteva, molto spesso si rispondeva all’intimazione dei tedeschi di deporre le armi e tornarsene a casa, mentre al Nord il Feldmaresciallo Erwin Rommel iniziava a caricare i treni delle deportazioni nei lager, che interesseranno oltre 650.000 soldati italiani declassati a internati militari.
La fuga da Pescara
Più di due milioni di italiani in grigioverde subiranno gli eventi successivi alla Fuga di Pescara, quando si sfalda l’intera catena di comando per le scelte scellerate di una classe dirigente incapace e velleitaria, che antepone la salvezza personale e quella della dinastia alla salvezza dell’Italia.
L’ultimo approdo di quel disastro, sancito dalle decisioni prese all’aeroporto di Pescara il 9 settembre 1943, è l’ingresso nel porto di Brindisi della corvetta “Baionetta” sotto la scorta dell’incrociatore “Scipione Africano”.
Badoglio si imbarca senza dirlo al re
Non fu un allontanamento ma una fuga precipitosa e confusa, la cui immagine è consegnata alla ressa vergognosa sul molo di Ortona per garantirsi uno dei 52 posti sulla corvetta: uno di quelli è stato precauzionalmente occupato da Badoglio che si è imbarcato primo a Pescara, senza neppure dirlo al re.
I Savoia e i vertici militari erano in salvo, per l’Italia si apriva la parentesi del Regno del Sud e, con la liberazione di Mussolini e la costituzione della Repubblica sociale, quella drammatica e sanguinosa della guerra civile che lacerò il Paese e le coscienze, con l’onda lunga arrivata sino ai nostri giorni.