di Raffaele Bonanni
ROMA (ITALPRESS) – Nel mondo sta accadendo di tutto, ma mezza politica italiana si dedica prioritariamente alla soppressione del Jobs Act che peraltro lei stessa ha ideato dieci anni fa per modernizzare il lavoro italiano, già allora in forte ritardo di allineamento rispetto agli altri paesi OCSE. Qualche mese fa la stessa agitazione politica aveva riguardato la fallimentare questione del salario minimo. Sembrava fosse la soluzione ad ogni problema dell’Italia e dei suoi cittadini, e così si diffusero molti dati improbabili per comprovare le proprie tesi e clamori scatenati da taluni casi ristretti che avrebbero dovuto rappresentare soluzioni da applicare per tutti. Tali iniziative politiche però segnalano la inadeguatezza della classe dirigente ad affrontare tempi nuovi e diversi da quelli vissuti nel passato anche prossimo. Molti sono gli errori madornali che tali approcci indicano nel farli diventare prioritari nel confronto politico. Utilizzando addirittura l’istituto referendario, come per il caso della richiesta di abrogazione del Jobs Act.
O come si è fatto con la richiesta di una legge, persino in contrasto con le direttive UE, come per il caso del cosiddetto salario minimo. Un errore è quello di voler riportare indietro le lancette della storia. Infatti facendo così si mette la testa nella sabbia per non vedere le nuove dinamiche di produzione per raggiungere la efficienza necessaria per la competitività nella conquista dei mercati dei prodotti. L’illusione che si alimenta riguarda la falsità disastrosa che i temi del reddito dei lavoratori e della economia del Paese non dipenda dal riposizionamento generale dei fattori che hanno influenza sulla capacità di ben posizionarsi nell’agone della divisione internazionale del lavoro, ma essenzialmente dalle leggi che si varano o no nel Parlamento. Il clima di frustrazione che deriva dai fallimenti gravi che provengono dalla inapplicabilità di questi approcci economici costituisce una delle ragioni delle gonfie vele del populismo. Deriva proprio dal deragliamento di tragitto su cui insiste gran parte della politica nella sua caparbia volontà di rimanere nel posizionamento ideologico già sconfitto nel passato.
Eppure le parole di Draghi pronunciate per conto della Commissione europea qualche settimana fa a Bruxelles per fare il punto sulle sfide necessarie per il continente erano tutte concentrate sul raggiungimento della competitività in ogni settore riguardante lo sviluppo dell’Europa. Parole orientate alla competitività europea e dunque ad esplorare le nuove frontiere della prospettiva di costruzione di una compiuta istituzione politica continentale, all’education, della finanza, alla ricerca applicata alle produzioni, alla transizione alle fonti fossili a quelle rinnovabili per la conquista della indipendenza energetica. E allora ci si chieda con onestà se il cambiamento che richiede la realtà complessa mondiale, delle guerre dichiarate o non dallo schieramento sempre più evidente costituito da paesi autocratici, possa farsi con il ritorno al passato o attraverso forzature misere orientate ad alleanze improbabili.
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