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L’Enrico VIII ‘sovrappeso’ di Jude Law seduce Cannes

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AGI – Dopo il ‘Luigi XV’ di Johnny Depp, il Festival di Cannes ha srotolato il tappeto rosso per Enrico VIII d’Inghilterra, re geloso e paranoico, interpretato da Jude Law. Se “Jeanne du Barry” di Maiwenn ha ricevuto critiche contrastanti, “Firebrand” – “Il gioco della regina” – di Karim Ainouz, presentato in concorso, è un affresco che dovrebbe sicuramente lasciare la sua impronta sulla Croisette, grazie soprattutto alla straordinaria interpretazione di Law.

La dinastia dei Tudor è stata un’inesauribile fonte di ispirazione per il grande e il piccolo schermo, ma pochi evocano, come “Firebrand”, il destino di Catherine Parr, la sesta e ultima moglie del re. Come se fosse uscito dai dipinti di Hans Holbein, il film offre un bellissimo gioco di luci e colori, con frequenti fermi immagine su Jude Law e Alicia Vikander, che presta le sue fattezze a Catherine Parr. Law è quasi irriconoscibile nei panni di Enrico VIII, che alla fine della sua vita era diventato obeso e zoppo a causa di un’infezione alla gamba.

L’attore riesce, come in una favola dark, a rendere molto reale Enrico VIII, il Barbablù che ripudio’ due delle sue mogli (Caterina d’Aragona e Anna di Cleves), ne decapito’ altre due (Anna Bolena e Caterina Howard) e ne perse un’altra di parto (Jane Seymour). “Non sapevo nulla della Casa Tudor, ma è stato il personaggio di Catherine Parr a motivarmi perché nessuno aveva fatto un film su di lei. Si parlava sempre delle mogli che morivano e non di quella che sopravviveva, o del re, che era un mostro”, ha dichiarato all’AFP Karim Ainouz.

“Jude Law ha cercato davvero di incarnare il fisico di Enrico VIII. Ha camminato per mesi con dei pesi sulle gambe… Dopo le riprese aveva la schiena dolorante perché aveva imitato la zoppi’a del re”, ha proseguito il regista, aggiungendo che l’attore ha anche letto una ventina di libri sul monarca per fare suo il personaggio. Nel film, Enrico VIII va su tutte le furie quando il vescovo Stephen Gardiner riesce a convincerlo che la regina sostiene attivamente la “nuova fede”, in un periodo in cui la fede protestante stava guadagnando terreno in Inghilterra.

“Ci siamo già passati”, continua a ripetere, e il film mostra abilmente come i dubbi si insinuino gradualmente nella sua mente. Il resto del cast è di prim’ordine, soprattutto Alicia Vikander nel ruolo di una regina che ha la reputazione di calmare il temperamento burrascoso del re. “Era una donna estremamente intelligente (…) che è sopravvissuta a un tiranno. Non riesco a immaginare come sia stato per lei”, ha dichiarato l’attrice, nota per aver interpretato un androide in “Ex Machina”. Il film racconta la sua simpatia per Anne Asqew, una poetessa protestante che fu condannata al rogo per eresia.

Sebbene non vi siano prove storiche, “Firebrand” mostra gli incontri tra le due e la chiara adesione della regina alle idee riformiste, in particolare in una scena in cui la si vede pregare in inglese anzichè in latino, uno dei pilastri del protestantesimo. È stato rischioso per un regista brasiliano di origine algerina fare un film sulla monarchia inglese? “Quando gli americani fanno un film su Cleopatra con Elizabeth Taylor, non ci poniamo la domanda”. Autore di film girati in Brasile, Algeria (dove ha le sue origini familiari) ed Europa, Ainouz dimostra ancora una volta con questo film, in concorso per la Palma d’Oro, di essere un cineasta senza confini né vincoli storici. “Firebrand” è una commissione che ha ricevuto nel 2020, in un momento in cui i suoi progetti erano fermi in Brasile.

“Non sapevo nulla dei Tudor”, ha confessato. “Ho incontrato questo meraviglioso produttore che mi ha parlato di Catherine Parr e ho iniziato a studiare il personaggio: è stata un’opportunità per fare qualcosa di diverso, ma allo stesso tempo ci sono cosi’ tante somiglianze tra lei e altri miei personaggi femminili”. Ainouz ha vinto il premio nella sezione Un Certain Regard di Cannes nel 2019, per “La vita invisibile di Euridice Gusmao”, una storia di donne ambientata in una famiglia brasiliana degli anni ’50, dominata dalla figura del padre. Questo nuovo film “per me è come un inno contro il patriarcato: non dobbiamo solo metterlo da parte, dobbiamo ucciderlo”, dice con un sorriso.

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Autore Redazione