“I miei padroni sono i lettori”, diceva Montanelli. Io ne ho tanti e ognuno con facoltà se non di pretendere almeno di chiedere. E uno, subito, mi chiede di parlare del Frosinone che ha annientato il Sassuolo. E io rispondo che siamo in una favola nuova che si afferma a latere della citatissima sfida biblica: Davide ha sconfitto Davide preparandosi a sfidare Golia. Come fu per il Sassuolo di Giorgio Squinzi, ricco e abile imprenditore che seppe distribuire la sua potenza fin nel calcio, oggi tocca a Maurizio Stirpe, proprio in questi giorni candidato alla presidenza di Confindustria della quale è vicepresidente. Complimenti a lui e al rinato Eusebio Di Francesco: il suo Frosinone e il Sassuolo rappresentano quella misurata quota di club che resisterebbero all’invocato ritorno a una Serie A a 18 o ancor meglio a 16 squadre, quando l’Ascoli di Costantino Rozzi rappresentava la forza qualificante della Provincia.
Giustizia informativa è fatta, passiamo al frutto di una giornata di campionato che ha cominciato a costruire un pronostico scudetto registrando il franco successo della Juventus con grande gioia di quel popolo tifoso che non volle Lukaku e fortissimamente volle la conferma di Doppietta Vlahovic. Con somma soddisfazione delle concorrenti, il Napoli ha toppato anche con il Genoa pagando il noviziato di Garcia. La sconfitta casalinga con la Lazio aveva fatto pensare alla genialità di Sarri ma in realtà brillava l’ingenuità di Garcia imbrogliato tatticamente dal contropiede. Ma appena il Comandante ha affrontato Vlahovic, Chiesa e chi li ispira al contrassalto s’è vista una Lazio incapace di spendere la forza di Immobile. Fortunato comunque, il tecnico del Napoli, per avere scoperto del tutto le potenzialità di Raspadori, un gran 10 d’assalto più che un risolutivo 9 come avevo già visto in Nazionale. Proprio ai danni del pur valoroso Ciro.
Ma la motivata pretesa di scudetto – speciale, quello della seconda Stella appetito anche dal Milan – è stata rappresentata splendidamente a San Siro dall’Inter più bella dai tempi di Helenio Herrera (e chiedo scusa al Trap dell’89, al Mancio del 2008 e al Mou del 2010). Quando gioca l’Inter di Inzaghi non c’è dibattito fra giochisti e risultatisti, solo il piacere di veder calcio al massimo livello: quello che dà spettacolo e vittoria con le armi dei padri e l’audacia dei figli, alcuni dei quali – come Simone – aggiornano tatticamente Difesa & Contropiede. Una squadra aggressiva, dinamica, cinica, solare. A me – che posso – ricorda la memorabile squadra di Helenio Herrera che conquistò la prima Stella nel ’65-66 con Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani (Peirò), Suarez, Corso. Poesia. I tifosi già immaginano di cantare la gloria di Sommer, Darmian, Acerbi, Bastoni, Barella, Frattesi, Calhanoglu, Mkhitaryan, Dimarco, Thuram e Lautaro. Troppo presto? Cercasi Davide…