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Messina Denaro al primo interrogatorio: “Non mi pento di nulla”

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AGI – Il concorso esterno”? È un reato “farlocco”. Parole di Matteo Messina Denaro pronunciate ai magistrati della procura di Palermo il 13 febbraio. Si tratta del primo interrogatorio i cui verbali sono stati depositati oggi.

“Il mafioso riservato – ragiona l’ex superlatitante catturato il 16 gennaio a Palermo, rispondendo su Andrea Bonafede che gli aveva ‘prestato’ l’identità e ritenuto un ‘mafioso riservato’ – è tipo un altro argomento di legge, se vogliamo dire, farlocco, come il concorso esterno, io preferirei, se fosse una mia decisione: tu favorisci… il favoreggiamento prende da 4 a 5 anni, se favorisci un mafioso sono 12 anni; meglio cosi’, si leva il farlocco di torno”.

“Non mi pentirò mai”

“Non sono un mafioso” e “non mi pentirò mai”. E ancora: “Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia“. Matteo Messina Denaro, nel primo interrogatorio reso ai magistrati di Palermo il 13 febbraio e i cui verbali sono stati ricoverati oggi, si dimostra poco disponibile a concessioni.

“Ora che ho la malattia – spiegava il cambiamento di vita e di stile della latitanza che lo hanno esposto maggiormente – non posso stare più fuori e debbo ritornare qua. Allora mi metto a fare una vita da albero piantato in mezzo alla foresta”. A Campobello di Mazara “mi sono creato un’altra identità: Francesco” e pochi conoscevano la sua vera identità: “Giocavo a poker, mangiavo al ristorante, andavo a giocare”.

Assicura: “Io mi sento uomo d’onore, ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali… magari ci facevo affari e non sapevo che era Cosa nostra”. E afferma di non avere commesso i reati di cui lo accusano: “Stragi e omicidi… non c’entro nella maniera più assoluta. Poi mi possono accusare di qualsiasi cosa, io che ci posso fare”.

Non c’entrerebbe neppure con l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo: “Una cosa fatemela dire: forse e’ la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo, ma con l’omicidio del bambino non c’entro”. Per il boss decise tutto Giovanni Brusca, “e io mi sento appioppare un omicidio, invece secondo me mi devono appioppare il sequestro di persona. Non lo faccio per una questione di 30 anni o ergastolo, per una questione di principio. E poi a tutti… cioè loro lo hanno ammazzato, lo hanno sciolto nell’acido e alla fine quello a pagare sono io? Ma ingiustizie quante ne devo subire?”.

In un audio inviato a una paziente della clinica di Palermo dove era anche lui in cura per un tumore, Matteo Messina Denaro se la prendeva con Giovanni Falcone perché una commemorazione lo costringeva a stare nel traffico. “Io non è che volevo offendere il giudice Falcone, non mi interessa…”, diceva ai magistrati della procura di Palermo nel primo interrogatorio del 13 febbraio, i cui verbali sono stati depositati oggi. “Il punto qual è? Che io – aggiungeva – ce l’avevo con quella metodologia di commemorazione. Allora, se invece del giudice fosse stato Garibaldi, la mia reazione sempre quella sarebbe stata, perche’ non si possono permettere di bloccare un’autostrada per decine di chilometri: cosi vi fate odiare”.

“E lei perché scriveva a Bernardo Provenzano?”, chiede a Matteo Messina Denaro il procuratore Maurizio de Lucia. E il boss: “Perché quando si fa un certo tipo di vita poi arrivato ad un dato momento ci dobbiamo incontrare perché io latitante accusato di mafia lui latitante accusato di mafia dove si va?”. È uno dei passaggi del verbale che il capomafia ha reso ai magistrati di Palermo il 13 febbraio, depositato oggi: “Ma lei – insiste il capo della Dda siciliana – se lo ricorda quello che scriveva a Bernardo Provenzano?”. “Si’, pressappoco sì, io chiedevo favori a lui se me li poteva fare e lui chiedeva favori a me se glieli potevo fare. Omicidi non ce n’erano, questo è sicuro”.

“Questioni di soldi ce n’erano tante”, continua De Lucia. “È da 30 anni che travisano ma non che travisano voglio dire sempre volutamente…”. 

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Autore Redazione