L’avvento di Luciano Spalletti alla guida della Nazionale segna una tappa importante nella storia della panchina azzurra. E’ stato un passaggio di mano laborioso, quello da Mancini a Spalletti, per la presenza della clausola sul contratto del nuovo c.t. per svincolarsi dal Napoli. Chi la pagherà? Lo stesso Spalletti con l’aiuto della Figc? La situazione è stata risolta, con molte difficoltà, ma non si risolverà in quattro e quattro otto: si andrà per carte bollate. Così è svanita la concorrenza di Conte, unico vero avversario di Spalletti nella corsa alla panchina azzurra. E’ stato discusso l’atteggiamento del presidente del Napoli De Laurentiis, dopo la “fuga” di Giuntoli, dello stesso Spalletti e della partenza di Kim. Nessuno vuole negargli i meriti per lo scudetto e il gran lavoro fatto col club partenopeo, ma non si può sottacere che se i personaggi di primo piano hanno tagliato la corda, un motivo ci sarà. Quanto a Mancini, che in una intervista ha mostrato un certo livore nei confronti del presidente Gravina e della stampa, il tempo ci spiegherà tante cose.
Vedremo a posteriori se è vero che il c.t. non ha avuto la tentazione di andare ad allenare in Arabia Saudita, a suon di milioni, per trarne le conseguenze. A nostro avviso, i protagonisti del calcio, specie quelli portati troppo in palmo di mano, si convincono di essere delle intoccabili divinità e non tengono conto del fatto che nella vita – e specialmente nel calcio – tutto è provvisorio e ci si dimentica in fretta dei meriti, mentre restano in mente per sempre i demeriti. In passato, i c.t. azzurri generalmente arrivavano dai ranghi della federazione e solo dagli anni più recenti, dopo l’avvento di Berlusconi, la Nazionale ha veramente “strappato” (o accolto pro bono pacis) i tecnici ai club. Pochi hanno conquistato titoli importanti, prima di passare in azzurro: diciamo lo tesso Sacchi, Lippi, Conte, Mancini e ora Spalletti. Come i suoi immediati predecessori, l’ex allenatore del Napoli ha accumulato una grande esperienza nei club passando, dopo l’esordio nell’Empoli, alla Samp, Venezia, Udinese (in varie circostanze), Ancona, Roma (due volte), Zenit San Pietroburgo, Inter e infine ha vinto sotto il Vesuvio. Dal 1996 ben 27 anni trascorsi in panchina.
In Italia, prima di lui, solo Trapattoni (7), Lippi (5) Conte (4), Helenio Herrera, Mancini e Viani (3) Bernardini e Foni (2) e Sacchi (1) avevano vinto lo scudetto e allenato la Nazionale. Tre tecnici cioè Pozzo (2), Bearzot e Lippi (1) hanno vinto i Mondiali. Luciano Spalletti si accinge quindi a guidare la Nazionale dopo lunga esperienza nei club, accompagnata da poche vittorie. A breve dovrà fare le prime convocazioni per le partite contro Macedonia e Ucraina, valide per le qualificazioni agli Europei, e verrà giudicato senza sconti. Già si son fatti facili profezie sulle sue prossime scelte, pronosticando la fuoriuscita di personaggi come Bonucci, Jorginho e Verratti e promuovendo i nomi di Baldanzi e Casale. Insomma tutti cercano di prendere posizione, proponendo i propri nomi, ma Spalletti ragionerà con la propria testa e dovrà fare i conti con l’anagrafe e con le poche scelte che offre il nostro calcio: il problema dell’attacco esiste sempre e ha poche soluzioni: si gira attorno ai nomi del collaudato Immobile e del nuovo arrivato Retegui. Ma il problema delle scelte ha profonde e obiettive motivazioni: troppi stranieri e Spalletti non avrà la bacchetta magica per fare miracoli.
Il momento ci presenta un calcio al bivio: ormai si parla solo di soldi e la nuova frontiera dell’Oriente, foriero di ricchezze e di voglia di “comprarsi” tutto, sta alterando secolari equilibri. Lo sport ha lasciato spazio alla finanza e alla politica e a chi vuol vincere con tutti i mezzi una battaglia culturale che poco ha di decoubertiniano.