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Cultura

Oppenheimer, il dramma dell’uomo che inventò l’atomica

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AGI – Con ogni probabilità il film evento di quest’anno sarà ‘Oppenheimer’ di Christopher Nolan, in sala in Italia dal 23 agosto. La pellicola è uscita negli Usa e in altri Paesi ed è già record di incassi al box office mondiale: al 15 agosto 2023 ha incassato oltre 266 milioni di dollari nel Nord America e 384 milioni di dollari nel resto del mondo, per un totale complessivo di oltre 650 milioni di dollari. Un ottimo risultato per Nolan che probabilmente vedrà questa pellicola salire sul suo personalissimo podio insieme al secondo e terzo capitolo di Batman (entrambi hanno incassato circa un miliardo di dollari) e a ‘Inception’, il cui incasso totale di 728,5 milioni di dollari potrebbe essere superato dal nuovo film. 

Robert Oppenheimer è tra le figure più geniali e controverse del XX secolo. Come direttore del laboratorio di Los Alamos, supervisionò l’operazione, riuscita, per battere i nazisti nella corsa allo sviluppo della prima bomba atomica, una svolta destinata ad avere importanti e drammatiche conseguenze sul genere umano e a rendere lo scienziato il padre delle armi nucleari. Un grande organizzatore, carismatico e competente, che paradossalmente fu ‘perseguitato’ fin dall’inizio della sua missione da sospetti di tradimento per le sue simpatie per il comunismo. 

Sulla figura di questo scienziato il cui nome è legato al simbolo di morte per eccellenza, la creazione di un ordigno in grado di distruggere il mondo, sono stati scritti molti libri. Il più importante di tutti, ripubblicato in Italia da Bompiani, è ‘Robert Oppenheimer – L’uomo che inventò la bomba atomica’ (Tascabili Saggistica, pagg. 1216; prezzo: 28 euro), scritto nel 2014 da Ray Monk, professore emerito di filosofia all’Università di Southampton, acclamato autore di ‘Ludwig Wittgenstein: Il dovere del genio’ (Bompiani 1991, Tascabili Bompiani 2000), che gli è valso il John Llewellyn Rhys Prize e il Duff Cooper Prize, e di una biografia di Bertrand Russell in due volumi.

In questo libro monumentale e accuratissimo Ray Monk, scava più profondamente di chiunque altro nelle motivazioni di Oppenheimer e nella sua complessa personalità, attraverso un’indagine sensibile condotta con grande erudizione, che ci restituisce una storia di scoperte, segreti, scelte impossibili e inimmaginabile distruzione.

Un libro nato dalla lettura di ‘Robert Oppenheimer: Letters and Recollections’ di Alice Kimball Smith e Charles Weinerin cui, racconta l’autore, si scopre quanto fosse “un uomo dalle molteplici e affascinanti sfaccettature”, che scriveva poesie e racconti, che avesse una grande cultura e passione per la letteratura francese e “che avesse trovato di così grande ispirazione le scritture hindu da mettersi a imparare il sanscrito allo scopo di leggere nella loro lingua originale”. Per non parlare dei suoi intensi rapporti con i genitori, le ragazze, gli amici e i suoi studenti. 

Monk afferma ancora nella prefazione che il suo obiettivo è quello di produrre “una biografia interna piuttosto che esterna”, che si addentri nella complessità psicologica di Oppenheimer e che leghi più saldamente i suoi contributi alla fisica alla sua vita. Il risultato è un’opera accurata che forse non riesce a entrare così tanto nella psiche dello scienziato come vorrebbe l’autore. I dettagli della fisica di Oppenheimer, benché esposti in modo chiaro, rivelano poco della sua controversa psicologia. Mentre la sua infanzia è ben delineata – figlio privilegiato di ebrei tedeschi non osservanti e prodotto della scuola privata di cultura etica di New York – non apprendiamo quasi nulla del suo matrimonio o del suo rapporto distante con i figli.

Da giovane scienziato, il suo talento e la sua grinta gli consentirono di entrare in una comunità composta dai giganti della fisica del XX secolo – da Niels Bohr a Max Born, da Paul Dirac ad Albert Einstein ed Enrico Fermi – e di giocare un ruolo fondamentale nei laboratori e nelle aule dove il mondo stava per essere cambiato per sempre. Ma quella di Oppenheimer non è stata solo una storia di integrazione, successo scientifico e fama mondiale.

Nella prima parte del libro l’autore descrive la giovinezza di Oppenheimer, figlio di ebrei di origine ebraica tedesca emigrati a New York, ragazzo di eccezionale intelletto, guidato dall’ambizione di superare il suo stato di outsider e di penetrare nel cuore della vita politica e sociale. La seconda parte del libro affronta i temi della seconda guerra mondiale e soprattutto la costruzione della bomba atomica. In questa corposa seconda parte, l’autore si immerge completamente nella vicenda della decisione di sganciare le atomiche sul Giappone, facendo venire fuori il peggio da certi personaggi dell’élite americana, che da liberatori si trasformarono i spietati carnefici.

Monk pone la sua attenzione e quella dei lettori sulla trasformazione vissuta da Robert Oppenheimer, che passò dall’entusiasmo per la ricerca e l’impresa scientifico-bellica al tormento seguito alla scoperta di aver creato un ordigno dall’inaudita potenza distruttiva. Qualunque cosa Oppenheimer abbia fatto per impressionare a fondo il generale di brigata Leslie Groves che lo scelse come direttore del laboratorio della bomba e per motivare gli scienziati di Los Alamos non emerge nel libro.

Anche se appare chiaro che durante un incontro a Berkeley, Oppenheimer colpì il generale per l’ampiezza delle sue conoscenze e, soprattutto, per quella che Groves considerava la sua praticità. Più di ogni altro scienziato con cui il generale aveva parlato, Oppenheimer sembrava capire cosa bisognava fare per passare da teorie astratte ed esperimenti di laboratorio alla realizzazione di una bomba nucleare. Una cosa che tra tutti aveva capito forse il solo generale Groves che difese sempre Oppenheimer dagli attacchi di Fbi, servizi segreti e fanatici anticomunisti che ne chiedevano la sostituzione.

Groves sapeva bene che Oppenheimer era un uomo eccezionale perfette per guidare il laboratorio. Non si trattava solo di un problema di fisica, infatti, bisognava realizzare un’impresa ingegneristica senza precedenti, che doveva progredire mentre si stavano ancora risolvendo i problemi teorici di base.

Oppenheimer riteneva che non ci fosse posto migliore per farlo se non al di fuori delle università, in un laboratorio remoto e centrale. E lo trovò in una zona del New Mexico appena accessibile – un luogo improbabile che Oppenheimer aveva scoperto durante una vacanza a cavallo – che divenne una piccola cittadina abitata dagli scienziati con le loro famiglie a dai militari e non solo un laboratorio nucleare avanzato. Oppenheimer, infatti non si opponeva all’idea che l’operazione fosse supervisionata dai militari e, come osserva Monk, sembrava avere “un senso infallibile di ciò che Groves voleva sentire”.

Ma quando la guerra finì, l’incantesimo si ruppe. Ora il nemico era l’Unione Sovietica e gli appelli di Oppenheimer a evitare la resa dei conti termonucleare condividendo la tecnologia e rinunciando alla bomba all’idrogeno furono usati dai suoi avversari per etichettarlo come un comunista. E si fece appello ai suoi trascorsi in cui risultava simpatizzante del Partito comunista seppure non un suo membro. Si svolsero anche delle ‘udienze di sicurezza’ ma non emerse alcuna prova che Oppenheimer avesse compiuto atti di spionaggio e una commissione per il personale della Commissione per l’Energia Atomica concluse che era un cittadino leale. Ma non era al di sopra di ogni sospetto.

Questo è stato sufficiente per privarlo dell’autorizzazione di sicurezza e per sottoporlo a numerosi processi a fine della guerra. Monk ricorda infine la delusione di Oppenheimer quando capì che gli Usa non avrebbero mai condiviso il segreto della bomba atomica, credendo ingenuamente che i sovietici non sarebbero riusciti a realizzarla. Emblematico l’incontro col presidente Truman al quale disse di sentirsi “le mani sporche di sangue”. Una frase che Truman non capì e che di fatto rappresentò una sorta di congedo dall’esercito parte di quello che il presidente definì “scienziato piagnucoloso”.

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