Non ho mai disdegnato Mel Gibson nelle vesti di regista, anzi l’ho forse apprezzato di più che in quelle da attore. Ho visto quasi tutti i suoi film (da regista), mi manca solo L’uomo senza volto e ho sempre denotato la sua meticolosità nel racconto, il suo modo ineccepibile di tessere la trama ma soprattutto di svolgerla attraverso l’utilizzo di sequenze ed inquadrature costruite ad hoc. Anche qui tutto ciò è presente: l’ambientazione è straordinariamente pertinente, quanto il modo equilibrato di suddividere il racconto tra la vita e la storia del protagonista. Non ci sono buchi narrativi, vuoti di trama o dialoghi inopportuni ne tantomeno distribuiti male. Ma l’elemento che manca è forse quello che più caratterizzava, almeno fino a qui, il suo cinema, l’emozionalità. Certo, devo ammettere che vedere quel giovane uomo scorticarsi le mani fino a sanguinare pur di salvare più compagni possibili dalle grinfie del nemico e poi anche il nemico stesso, smuove qualcosa nell’anima, ma è un sentimento talmente lieve e fugace che non riesce a trattenersi per tutta la durata, come era invece piacevolmente accaduto per le sue precedenti opere. Questo naturalmente non sminuisce in nessun modo l’operato di Mel Gibson che ci regala un film ineccepibile un conformazione, con tutti gli elementi al posto giusto. Il cast non eccelle ma il film scorre talmente bene che gli attori passano in secondo piano, tutto il resto è di gradimento cinefilo piuttosto medio/alto. Bravo Mel, come sempre.
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