Non digerisco molto i musical, non apprezzo particolarmente Ryan Gosling e, quando ho letto la trama, mi sembrava di aver visto il film almeno un paio di volte. Ebbene sì, lo ammetto, l’unico motivo che mi ha spinto ad andare a vederlo al cinema sono state le quattordici nomination all’Oscar e, in minima parte, la presenza di Emma Stone. Il film inizia e parte una canzone, dopo cinque minuti ne parte un’altra, poi un’altra ancora. Giuro che avrei voluto alzarmi e abbandonare la sala ma, una delle regole del “buon cinefilo” è: “non interrompere mai la visione di un film”; quindi mi sono accomodata meglio sulla poltrona e mi sono abbandonata alle sequenze della pellicola. La qualità devo dire che va’ in crescendo. Se l’incipit era sembrato quasi la rivisitazione (in meglio) di Grease, da poco prima di metà film, la storia comincia a svilupparsi come una trama logica e molto più piacevole da seguire, non essendo interrotta continuamente dalla sceneggiatura cantata ma solo sporadicamente e in casi che finiscono per essere piacevoli. La colonna sonora meriterebbe un discorso a parte: un inno per le orecchie (sempre a partire dalla seconda metà del film) e candidature agli Oscar più che meritata tanto, se non di più, quella di Emma Stone che si innalza per l’intera durata, regalandoci una performance colma di espressioni e di intensità, mai viste, fino ad oscurare anche Ryan Gosling che, nonostante credo sia essere l’attore più sopravvalutato del momento, almeno qui sembra essere capace di recitare. La magnifica fotografia, che gioca tra gli abbinamenti di colori sgargianti e le luci che oscurano o catalizzano l’attenzione sull’attore in scena. Resta il fatto che quattordici candidature mi sono sembrate piuttosto eccessive ma è senza dubbio qualcosa di diversamente nuovo che, per forza di cose, è riuscito ad incantare l’Academy.