AGI – “Un dolore indicibile” vedere scritta quell’accusa di omicidio colposo ed epidemia colposa poi caduta con l’archiviazione decisa nei giorni scorsi dal Tribunale dei ministri di Brescia.
Quando gli vennero notificate dalla Procura di Bergamo le gravissime ipotesi di reato, il pensiero di Luigi Cajazzo, direttore generale della sanità lombarda nei giorni più feroci del Covid, tornò a quella sera dei primi di marzo del 2020.
La chiamata a Mattarella
“Uno dei medici più anziani e con maggiore esperienza iniziò a piangere. Mi avvicinai per capire e mi rispose che era la prima volta, nella sua storia di medico, che aveva paura di non riuscire a curare tutti coloro che si stavano ammalando. Quel volto pieno di dolore mi colpì”. Tanto che “chiamai il presidente Fontana e lo raggiunsi al 35esimo piano del palazzo della Regione. Il presidente chiamò subito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e invocò aiuto”.
Secondo i giudici di Brescia, “viene erroneamente addebitato a Cajazzo di non aver censito e monitorato i posti letto nelle Unità di malattie infettive e di non aver costituito una riserva di antivirali, di DPI, vaccini anticovid, kit diagnostici”, attività, quest’ultima che, scrivono, sarebbe spettata al Ministero. Il Tribunale ha archiviato dalle stesse accuse mosse all’ex dg anche l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza e tutti gli altri indagati, compresi i ‘tecnici’ del Cts.
“I giudici dicono che ho fatto quello che dovevo”
“I magistrati stabiliscono che ho fatto quello che dovevo sin dal mese di gennaio quando iniziavano a diffondersi le notizie provenienti dalla Cina – spiega all’AGI -. Da subito la Direzione Generale del Welfare aveva approvato un piano per il trasporto, il trattamento e il ricovero degli eventuali pazienti Covid, individuato i laboratori per la diagnostica e sollecitato tutte le aziende sanitarie a verificare le scorte di DPI”.
Aggiunge che, dopo le riunioni con gli operatori sanitari, “fu avviato subito il tracciamento di tutti i casi sospetti e, prima del caso 1, furono oltre 100 le persone sottoposte a tampone perché sospettate di aver contratto la malattia”. Si ferma. “Poi, è arrivata la tempesta: che dirle? Abbiamo lavorato senza fermarci mai, sanità pubblica e privata, uniti per far fronte a un’epidemia sconosciuta e violentissima che ha mietuto molte vittime a cui va ora il mio pensiero ma che ha segnato anche le nostre vite. E ho ricevuto anche gli apprezzamenti di un alto funzionario dell’Oms che lavorò per una decina di giorni nella nostra Unità di Crisi e alla fine mi chiese una relazione per imparare dalla nostra esperienza”.
“Roma non aveva capito all’inizio”
A metà marzo del 2020 Cajazzo venne colpito da una forma grave del virus e fu ricoverato al Sacco. “In un articolo mi si accusava di aver abbandonato gli ospedali. Tornai in ufficio dopo un mese, non riuscivo a fare dieci metri senza sedermi”. Dagli scambi di messaggi con Roma agli atti dell’inchiesta emerge la sensazione che la Lombardia si sentì abbandonata dal governo. “Ma è chiaro che quei messaggi vanno contestualizzati. Sicuramente nelle fasi iniziali ho avuto l’impressione che a Roma non fosse del tutto chiara la situazione lombarda, cosa che neanche quei sindaci lombardi che invitavano a non fermarsi avevano colto. Il 4 marzo venne il ministro della Salute Speranza e, quando gli mostrammo l’evoluzione esponenziale del virus, rimase molto scosso tanto che firmò il decreto per la zona rossa nella bergamasca”.
“Mio padre morto col dolore nel cuore per me”
Archiviate le accuse più pesanti, per Cajazzo resta quella di ‘rifiuto d’atti d’ufficio’ per non aver applicato il piano antinfluenzale del 2006 che è stata trasferita alla Procura perché il tribunale dei ministri non si è ritenuto competente. Tra i momenti peggiori, ricorda “le minacce di morte dopo che una trasmissione televisiva gettò fango su di me e i miei collaboratori”.
“L’indagine ha penalizzato me come gli altri coinvolti ma guardo avanti ringraziando il mio avvocato Fabrizio Ventimiglia e il suo team che non hanno mai smesso di lottare per la giustizia. Ora dirigo la Asst della Franciacorta e sono pronto ad affrontare nuove sfide”. Gli resta, dice riferendosi alle accuse di omicidio ed epidemia, una porta che non può più riaprire. “Mio padre, a cui ero legatissimo, è morto nel dicembre del 2021 con questo dolore nel cuore”.