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Cultura

Una croce, una foto: l’omaggio di Agira ai canadesi morti nello Sbarco

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AGI – Qualcuno ha la moglie accanto, un altro un figlio in braccio, altri ancora semplicemente il viso senza una ruga: c’è una foto sbiadita e in bianco e nero per ciascuno dei 480 soldati canadesi che riposano nel cimitero militare di Agira, affacciato sullo specchio d’acqua Pozzillo che ricorda vagamente i laghi del Canada: sono giovani e giovanissimi, caduti tra Leonforte, Assoro e Agira, e sono la maggioranza dei 562 Loyal “Eddies” morti 80 anni fa nello sbarco alleato in Sicilia, quella Operazione Husky che nel 1943 diede il via alla sconfitta militare del nazismo.

Tjarco Schuurman, un uomo imponente di quasi due metri, presidente della D-Day Dodgers Foundation, da tre anni li cerca a uno ad uno, contattando le famiglie che, sorprese e felici, hanno tirato fuori dai cassetti gli scatti dimenticati.

E’ nato così “Faces of Agira” (I volti di Agira), progetto che viaggia sui social per dare una memoria a soldati di fatto sconosciuti, e che si lega profondamente al Wrap (Walking for Remembrance & Peace) il “cammino” che un gruppo di canadesi, guidati da Steve Gregory, ha condotto sulle tracce delle truppe alleate nel luglio 1943, da Marzamemi e Pachino, luoghi dello sbarco, ad Adrano. Una toccante commemorazione, al suono delle cornamuse dei Seaforth Highlanders, ha chiuso il Wrap, avviato il 10 luglio a Pachino.

Al cimitero di Agira si sono ritrovati in tanti al tramonto: dopo un primo ricordo, un particolare “saluto al sole” di un militare canadese, nativo pellerossa, è stato letto l’elenco dei caduti: ad ogni nome, una voce, un distino “presente”. C’era anche Tony Loffreda, unico senatore canadese di origine italiana, che ha voluto seguire l’intero “cammino”. “Tjarco Schuurman ha dato loro un viso, noi abbiamo aggiunto un segno della nostra memoria”, ha detto Gregory.

In tre anni, costruendo un’imponente rete di contatti e di volontari anche tra gli abitanti di Assoro e Agira, Schuurman è riuscito ad abbinare 480 foto ai nomi dei caduti, degli oltre 500 militari sepolti in questo cimitero bianco. Quando gli viene chiesto come è stata accolta la sua richiesta dalle famiglie dei caduti, Schuurman risponde che “alcune neanche sapevano che un loro parente era morto in Sicilia, ma hanno comunque cercato le immagini in cassetti e armadi. Mancano ancora una ventina di foto, ma non ci fermiamo”. A Marzamemi sono stati piantati sulla spiaggia di fronte al mare, 130 markers (marcatori), in ricordo di coloro che non sono morti in battaglia, ma sono caduti durante le operazioni dello Sbarco o facevano parte degli equipaggi dei velivoli abbattuti in Sicilia.

Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943, più di 25 mila soldati della 1 Divisione di fanteria e della 1 Brigata corazzata del Corpo di spedizione canadese al comando del Maggior Generale Harry Crerar, sbarcarono tra Marzamemi e Pachino, nella Sicilia orientale. Sole cocente, pochissima acqua potabile, strade polverose: i volontari canadesi sono disorientati ma procedono abbastanza speditamente verso il cuore dell’isola e all’inizio non incontrano resistenza.

“Gli americani marciano verso Palermo e gli inglesi tagliano la costa verso Catania: i canadesi rimangono al centro dove si ritroveranno impegnati nella conquista di cittadine arrampicate sui monti, vere roccaforti tedesche e italiane” ricorda lo storico Alfio Caruso. Il 16 luglio i Loyal Edmonton entrano a Piazza Armerina, poi a Valguarnera, Enna, Assoro, Leonforte, Nissoria e infine Agira: è la battaglia più sanguinosa, migliaia saranno le vittime civili sotto i bombardamenti, e altrettanti i militari dei due schieramenti che restano sul terreno, tra cui un numero altissimo di canadesi, oggi sepolti nel cimitero militare di Agira.

“Mio nonno è stato interprete durante la Seconda guerra mondiale, noi olandesi dobbiamo parecchio al Canada – spiega Tjarco Schuurman -. Da qui sono partito per dare un viso a queste tombe. Vogliamo cambiare il modo in cui si guarda alla guerra: non più grandi eroi o storie conosciute, ma semplici militari, ragazzi che partirono volontari perché credevano nella pace”.

Furono i canadesi a costruire il primo ponte Bailey in Europa sotto il fuoco nemico: lo allestirono in una sola notte, tra il 21 e il 22 luglio 1943, i genieri dei Royal Canadian Engineers per superare la gola Strigilo’ visto che i tedeschi avevano fatto saltare l’unica via d’accesso alla cittadina di Leonforte, nelle campagna di Enna, il ponte sul torrente Petrangelo sulla SS121. Per ricordare questa battaglia e l’altissimo numero di caduti delle diverse bandiere, canadese, italiana e tedesca, proprio a Leonforte è stato inaugurato un monumento che riproduce quel ponte Bailey che permise agli alleati la conquista della cittadina che ospitava la più importante, linea difensiva tedesca.

“Questo monumento – spiega Gregory – per noi è molto importante perchè ci permette di ricordare e lasciare una traccia dei quasi 600 militari canadesi caduti durante l’Operazione Husky”. La battaglia per la presa di Leonforte duro’ tre giorni interi, e vide contrapposte la 2a Brigata canadese con l’artiglieria divisionale, contro elementi della 15a Panzergrenadier – Division tedesca supportati da reparti della 4a Divisione Livorno.

Gli Engineers canadesi cercarono a più riprese di superare il burrone Petrangelo per raggiungere la cittadina, ma finirono sotto il fuoco delle mitragliatrici e dei mortai tedeschi e persero molti uomini: i pochi che riuscirono a risalire la gola e passare, si trovarono coinvolti in combattimenti all’arma bianca, nell’assenza di comunicazioni radio, ed ebbero la peggio, mentre la popolazione di Leonforte (soprattutto donne e bambini) si era rifugiata nella galleria della ferrovia: i morti civili furono 33, la più piccola di 5 anni, il più anziano di 61.

“L’unica possibià fu quella di far intervenire i carri armati che pero’ non potevano superare il vallone: mentre i Loyal Edmonton combattono fuori dall’abitato, i genieri si mettono al lavoro sotto il comando dell’ingegnere capo, tenente colonnello Geoff Walsh e installano il primo ponte Bailey europeo”, spiega lo storico Angelo Plumari. è una struttura in ferro e acciaio a moduli che viene montata ed estesa man mano che viene costruita: non appena una sezione di 3,05 metri di lunghezza è pronta, viene spinta su rulli e fissata alla sezione successiva, soltanto cosi’ riuscirà a sostenere carichi pesanti. Soltanto transitando sul ponte, i carri armati alleati potranno raggiungere e conquistare Leonforte.

I canadesi pagheranno un prezzo alto: 57 morti e 105 feriti, tra i quali anche due Seaforth Highlanders pellerossa, i primi dei 50 volontari delle tribù native del Canada. Ma molti di più furono i caduti italiani e tedeschi: tra questi il sottotenente Luigi Scapuzzi, decorato al Valor militare ed altri sconosciuti che riposano in tombe senza croce. Il ponte Bailey di Leonforte resta il primo di una lunga serie: durante la Seconda Guerra Mondiale solo in Italia furono costruiti più di 3000 ponti Bailey, con una lunghezza totale di 90 km, per sostituire i ponti distrutti dai tedeschi.

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