AGI – L’attenzione di tutti era concentrata sul colloquio con il Patriarca Kirill. Forse più interessante si rivelerà essere quello con Maria Lova-Belova, la cosiddetta commissaria russa per i diritti dei bambini, compagna di Vladimir Putin in un ordine di arresto della Corte penale internazionale con l’accusa di deportazione di bambini dall’Ucraina.
In diplomazia uno gli interlocutori non se li sceglie, nemmeno se uno è un principe della Chiesa. Quindi Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei inviato in missione a Mosca dopo aver visitato Kiev, con lei ha dovuto conferire, visto che senza questo passaggio le prospettive di riportare i piccoli a casa sono pressoché nulle. L’incontro ha avuto luogo oggi, in tarda mattinata.
Non se ne conosce l’esito, ma non vuol dire: gli effetti si capiranno nel dipanarsi del tempo. Se la situazione si sbloccherà lo vedremo in seguito. Lo stop, piuttosto, è tutto sul canale puramente negoziale. Zuppi ha messo in chiaro fin da subito che la sua doppia missione – prima Kiev, oggi la Russia – era di ascolto e buona volontà, nessuna mediazione in senso classico.
Ugualmente le parole con cui il Cremlino commenta gli incontri di ieri del porporato lascia intendere che un negoziato di pace resta nel campo dell’inimmaginabile. Nell’incontro tra il responsabile del Cremlino per gli Affari esteri Yuri Ushakov con Zuppi non si è arrivati a “accordi concreti”. Lo scandisce il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov: le parti si sono “scambiate opinioni e informazioni su questioni umanitarie nel contesto degli affari ucraini, ma non sono state raggiunte decisioni o accordi concreti”.
Resta quindi aperta come unica strada la prosecuzione della trattativa per le questioni umanitarie. I precedenti, a riguardo, non sono negativi. In fondo lo scopo dichiarato era esattamente questo: creare le condizioni per creare una prima disponibilità, su qualsiasi tema, nella speranza di imbastire ulteriori momenti di dialogo. La differenza tra la tappa ucraina della missione e quella moscovita è tutta qui: a Kiev Zuppi si è sentito chiedere da Volodymir Zelensky se il Vaticano avesse un piano concreto per il rientro dei bambini.
Oggi il primo passo concreto è stato fatto. Logico attendersi, a questo punto, una terza tappa: il ritorno a Kiev con le controproposte. E poi, magari, di nuovo a Mosca, senza che nessuno senta l’urgenza di andare in Daghestan. Vedremo, ma uno sbocco di questo tipo rientrerebbe nel normale sviluppo della situazione. Forse certe citazioni, poi, non giungono a caso.
I riferimenti a Kissinger
Prima di partire per Kiev, il cardinal Zuppi ha avuto modo di ricordare la posizione espressa sulla guerra in Ucraina da Henry Kissinger. Ai più è sembrato qualcosa di per lo meno di inusuale: Kissinger di solito è ritenuto il maestro della Realpolitik; è famoso per tutto meno che per le doti di ascolto e di comprensione. E invece Zuppi lo ha citato.
Lo ha citato, forse, in virtù di un precedente. Era il 1973, Guerra dello Yom Kippur. Anche lì, si badi, Mosca minacciò l’uso della bomba atomica (nella fattispecie: se Israele avesse continuato l’avanzata verso il Cairo). Kissinger, ebreo tedesco scampato all’Olocausto perché riparato per tempo in America, fece grossomodo quel che il cardinal Zuppi ha fatto in queste ore.
Vale a dire: si presentò alle capitali coinvolte (non c’erano solo Tel Aviv e Il Cairo) quando apparentemente nemmeno un pertugio di possibilità era aperto, e iniziò ad ascoltare. Arrivava, ascoltava, partiva; atterrava, ascoltava, ripartiva. Così per settimane. La chiamarono la Shuttle Diplomacy, la diplomazia della navetta. Pendolari per una giusta causa. Ora, pare che l’allora Consigliere per la Sicurezza Nazionale americano non disdegnasse tecniche più care alla trattativa di un suk che non all’alta diplomazia.
Vale a dire: fu accusato di andare dall’uno imbellettando la posizione dell’altro a vantaggio della superiore causa della pace. Di ogni posizione, insomma, riferiva quel che a lui faceva piu’ gioco. A chi gli rimproverava la metodologia, lui rispondeva senza mezzi termini: “Ho già visto un Olocausto, non voglio vederne un secondo“.
A conclusione della rievocazione: al chilometro 101 della strada tra il Cairo e Gerusalemme, in una tenda, si trovo’ la pace. Segui’ cinque anni dopo il disgelo, e poi ancora l’abbandono del Sinai da parte di Israele – a buon intenditor poche parole – e rapporti, se non normali, almeno accettabili. Pace fredda, sì, però almeno era convivenza pacifica. È per questo che viene in mente Kissinger, a pensare al viaggio a Kiev del cardinal Zuppi: iniziare a parlare chissà dove poi porta. Le vie del cielo sono infinite. Se percorse con uno Shuttle, poi, diventano anche più brevi.